Il fallimento del modello Abruzzo
Il terremoto in Abruzzo è, per l’Italia, una tragedia inedita. Per la prima volta è colpito un capoluogo di regione, ma è inedita anche la gestione di emergenza e ricostruzione da parte del Dipartimento di Protezione civile. Gestione che preoccupa per tante ragioni, non ultima quella delle infiltrazioni criminali. Vediamo perché.
Un dramma per decine di migliaia di persone è stato affrontato come uno qualsiasi dei grandi eventi di cui il Dipartimento si è occupato in questi anni, mettendo in scena uno show dopo l’altro. In nome dell’emergenza, sono state bruciate risorse enormi, sottraendole alla ricostruzione vera e spendendoli – grazie al potere di Ordinanza e di Deroga – praticamente fuori da ogni controllo, anche della Corte dei conti.
Per comprendere il “Modello Abruzzo” è utile ricordare il prima e il dopo terremoto. Allarmi su pericolo sismico e edifici a rischio sono stati ignorati e nessun provvedimento è stato preso nonostante i 4 mesi dello sciame che ha preceduto la devastazione del 6 aprile: eppure lo stesso Berlusconi ha dichiarato che la scelta del “Progetto CASE” è stata presa a poche ore dalla tragedia. In contemporanea – con lo slogan “Tutti al mare a spese dello stato” – sono stati trasferiti 35mila sfollati sulla costa e quasi altrettanti nelle tendopoli, tranquillizzandoli poi con la promessa “Dalle tende alle case entro settembre”.
Così in un territorio spopolato, con enti locali esautorati dei loro poteri, forze dell’ordine disarticolate nelle loro funzioni e con l’economia in ginocchio, si è praticato un intervento centralizzato e senza il coinvolgimento della popolazione. In questa situazione, il rischio criminalità e stato subito palpabile, tanté che dopo l’episodio del 13 di aprile a piazza d’Armi – dove le macerie degli edifici sotto inchiesta per crolli sospetti venivano triturate – Libera ha creato un proprio presidio in loco mentre la settimana successiva la Dna ha istituito il pool antimafia.
A un mese dal terremoto, sono state avviate una serie di indagini sugli appalti dell’emergenza. Indicativa quella sui bagni chimici, partita dopo una segnalazione fatta dal presidio di Libera proprio il giorno della sua presentazione ufficiale. La Protezione civile ne aveva noleggiato circa 3.500, almeno 1.600 in più del necessario, oltre un milione e 600mila euro al mese buttati: ora sono quattro le sezioni di polizia giudiziaria che stanno controllando “l’affaire” dei wc. Ma a far dubitare sulla efficacia dei controlli del Dipartimento è un altro episodio emblematico.
Fu sempre il presidio di Libera a rendere nota, a giugno, la presenza della Impresa Di Marco srl nel primo cantiere aperto del Progetto Case, quello di Bazzano, impegnata nel movimento terra. Il titolare Dante Di Marco, pur non essendo mai stato coinvolto in inchieste di mafia, risultava però presente anche in altre società, tra cui la Marsica plastica srl, insieme alla moglie di Gianni Lapis, il fratello di un ingegnere il cui nome compariva su un pizzino di Provenzano, uno degli avvocati di Massimo Ciancimino e due degli arrestati a Tagliacozzo nella operazione Alba d’oro, allora definita dagli stessi inquirenti come il “primo caso conclamato di presenza mafiosa in Abruzzo”.
L’attenzione sul rischio di infiltrazioni mafiose è alta: la settimana scorsa si sarebbe tenuto a Roma un vertice, seguito da una missione a L’Aquila di Olga Capasso della Dna, che ha incotrato il procuratore della Dia, Rossini. Giovedì la visita della Commissione parlamentare antimafia.
Nel corso della conferenza stampa abbiamo ricordato a Pisanu due particolari legati alla pubblicazione della notizia sulla presenza della Di Marco: il prefetto convocò una irrituale conferenza stampa in cui difese la ditta e dichiarò che gli accertamenti in corso “avrebbero avuto sicuramente esito negativo”, salvo poi vedersi costretto, due mesi dopo, a ritirargli il cer- tificato antimafia.
In contemporanea, dai contieri i cartelli con l’indicazione delle ditte sparirono, per poi ricomparire prive dei nomi di quelle subappaltatrici. Alla domanda se i controlli finora effettuati riguardavano tutte le ditte appaltatrici, subappaltrici e fornitrici e se era possibile avere gli elenchi per consentire alla stampa di fare controlli direttamente, Pisanu a risposto: «Faccio parte della Commissione parlamentare antimafia, non è nelle mie funzioni disporre di quegli elenchi».
E il problema è tutto qui: l’accentramento di tutti gli appalti nelle mani della Protezione civile e la scarsa trasparenza su chi sta effettivamente eseguendo i lavori. Con il Progetto CASE dove il costo delle piastre di fondazione e degli isolatori sismici fa lievitare il prezzo degli alloggi a quasi 3.000 euro a metro quadro, a fronte dei 1.200 euro degli edifici antismici tradizionali. Controlli sulle ditte appaltatrici, subappaltarici e fornitori ancora quasi tutti da effettuare con i cantieri ormai prossimi all’ultimazione. Ad esempio è impossibile sapere chi effettua forniture importanti, come quelle degli infissi per 4.500 nuovi alloggi.
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