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«Ti scippo la testa!»

Di Roberto Rossi* il . Calabria

«La cosa comincia a impensierirmi seriamente». Dice di essere preoccupato Paolo Pollichieni direttore di “Calabria Ora”, anche se le sue corde vocali infuriano un alito di autentica collera più che di sommessa apprensione. «Queste sono cose che ti isolano – ripete, mentre finalmente ci rendiamo conto che non sta parlando solo dell’ennesima minaccia giunta due giorni fa con una missiva anonima ad un suo redattore, ma di un vero e proprio sistema di censura – in Calabria non esistono gli scoop. Noi di “Calabria Ora” non siamo più bravi di altri, non abbiamo più notizie di altri.

Noi facciamo una cosa semplice, diamo notizie, cosa che altri non fanno». Direttore, ci spieghi meglio. «Uno dovrebbe essere contento, dovrebbe dire: “caspita ho fatto lo scoop, ho dato il buco a tutti” e invece no! A me preoccupa dare i buchi! Soprattutto quando mi rendo conto che sono buchi tanto clamorosi quanto noti a tutti, perché questo ti espone pericolosamente, ti mette oggettivamente nella condizione di essere il rompicoglioni della situazione. Siamo preoccupatissimi, e non per via delle minacce di morte che arrivano copiose, ma perché siamo soli».  In quattro anni di vita, “Calabria Ora” ha marcato fortemente una posizione di tutto rispetto nel panorama dell’informazione calabrese. È presente, con redazioni affollate da giovani e agguerriti redattori, in tutte le provincie.

Ha chiamato le cose col loro nome, ha strillato notizie, ha sfidato un mercato editoriale asfittico per numero di lettori e contratti pubblicitari. Ne ha guadagnati parecchi di lettori, soprattutto per via del suo giornalismo da barba incolta fatto in larga parte da trentenni appassionati dal loro lavoro e animati dal desiderio di normalità. Soprattutto, “Calabria Ora” è il quotidiano i cui redattori, negli due ultimi anni, hanno ricevuto più minacce di morte. Il giornale che «ha rotto i coglioni» per il boss Pino Piromalli, intercettato in carcere mentre parla con i familiari. 

Cinque colpi di pistola dritti contro il parabrezza della macchina di una giovanissima collaboratrice di Cinquefrondi, piccolo paese della piana di Gioia Tauro, per una questione di ecomafia, di rifiuti differenziati e dati alle fiamme, di grossi finanziamenti regionali. Copertoni squarciati e teste di pesce mozzate a Gioia Tauro, mentre dentro la redazione ci si occupava delle infiltrazioni mafiose nel Comune, poi sciolto per mafia, e di una scalata mafiosa ai vertici della più grossa ditta di servizi portuali operante in uno degli hub più importanti del Mediterraneo.

Un’avventura imprenditoriale intrecciata ad una delle più sanguinose faide di mafia degli ultimi tempi. Pallottole in redazione a Vibo Valentia per aver denunciato la pericolosa fatiscenza di una palazzo crollato da vent’anni in pieno centro e per averne sostenuto la decisione di sequestrarlo, sequestro poi – a seguito delle minacce – mai avvenuto. Missiva anonima a Corigliano Calabro – paese che ha dato i natali al Ringhio campione del mondo – nel bel mezzo di un’infuocata campagna elettorale, fra il primo e il secondo turno delle comunali, per la notizia di probabili brogli elettorali. 

E ora, la vicenda inquietante di una lettera indirizzata a un giornalista nella redazione centrale a Cosenza: “Finisciala o ti facimu zumpa a capa a tia e a Citrigno”, finiscila o facciamo saltare la testa a te e al tuo editore. Il cronista non si era mai occupato di giudiziaria, ma di politica, e per questo aveva notato che un uomo politico – rinviato a giudizio per voto di scambio con i mammasantissima di un grosso centro cosentino – candidato non eletto nelle scorse amministrative, veniva chiamato a servire la cosa pubblica come consulente a capo di un gabinetto politico.

Una cosa che faceva oggettivamente a pugni con le dichiarazioni che “noi i voti dei mafiosi non li vogliamo” sciorinate durante la campagna elettorale da esponenti della sua stessa fazione politica. “Calabria Ora” è l’unico giornale ad aver fatto notare la contraddizione, l’enorme distanza fra il dire e il fare, il segno lampante di una normale anomalia tutta calabrese.  Le minacce – la cui natura è incerta perché potrebbero anche essere interpretate come la manovra politica di avversari che intendono delegittimare chi ha voluto il politico sotto processo nel suo staff – sono il risultato della semplice lettura di un atto pubblico, di un pubblico decreto di nomina.

Ma se la notizia non viene data, non esiste; se a darla è un giornale solo, non sono i politici o i mafiosi a rischiare il posto e il ruolo, ma i bravi giornalisti a rischiare la vita.

* Osservatorio sui cronisti minacciati – O2

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