Mafia: imprenditori antiracket, così abbiamo denunciato
Aziende che vedono drasticamente ridotta la propria attività e i propri guadagni quando diventa di dominio pubblico la scelta del titolare di denunciare il racket; mafiosi che si tengono alla larga dai commercianti che si schierano contro il pizzo; uno Stato celere nel celebrare il processo agli estortori, ma lento nei ristori economici. Luci edombre ricorrenti nelle storie degli imprenditori siciliani che si ribellano al racket, raccontate da tre vittime che si sono rivolte alle forze dell’ordine spezzando il giogo mafioso.
Sono il titolare dell’Antica focacceria S. Francesco VincenzoConticello, che ha denunciato e fatto condannare gli esattori delle cosche; Rodolfo Guajana che ha sfidato in aula i boss di San Lorenzo, dopo aver visto distrutta la sua azienda devastata da un attentato, e Ignazio Cutrò che ha portato alla sbarra il suo estortore, un vecchio compagno di scuola. Tutti e tre hanno raccontato a un gruppo di studenti, nell’ambito del Festival della legalità in corso a Palermo, che “dire no al pizzo, non solo si può, ma si deve”.
Una verità in cui credono fermamente, nonostante il prezzo da pagare,quando si denuncia è alto. “Dopo che il mio gesto è stato reso noto – ha raccontatoConticello – ho perso più del 20% della clientela e questo mi ha costretto a mettere in cassa integrazione 15 dipendenti che poi sono riuscito a tutelare aprendo una succursale a Milano”.
“Bisogna tener conto, però – ribatte Guajana – che schierarsi contro il pizzo è come stipulare un’assicurazione per la propria attività. I mafiosi, quando vedono attaccatosulla vetrina del negozio l’adesivo di Addiopizzo, nemmeno entrano più”. Luci e ombre che si intravedono anche nel prosieguo dell’attività commerciale delle aziende taglieggiate.
“Se loStato – spiega Conticello – ci è innegabilmente vicino nella fase dei processi che si celebrano celermente, non si può dire altrettanto della fase del ristoro economico che continua ad essere troppo lento”. E problemi, come testimonia Cutrò, si verificano spesso anche nei rapporti con le banche che “dopo la denuncia storcono il naso”. Considerazioni che, però, non impediscono ai tre imprenditori di ribadire la bontà della loro scelta: conveniente perché “il pizzo è una tassa in più” e morale.”E poi – conclude Guajana – da cristiano vi dico che chi crede in Dio non può pagare il pizzo”.
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