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Fondi, il comune solo commissariato dal Governo

Di Stefano Fantino il . Istituzioni, Lazio

Venerdì caldo per quanto riguarda i
temi di mafia. Anche dal punto di vista istituzionale. Dopo le
rivelazioni di Anno Zero sul caso Borsellino e sulla trattativa tra
Stato e Mafia, oggi è il governo in prima persona a esporsi sul tema
del contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Lo fa
sciorinando dati e argomenti sull l’impegno antimafia da un lato,
dall’altro ratificando decisioni opinabili sullo scioglimento del comune di Fondi.

Commissariamento, poi elezioni

Il consiglio dei ministri odierno oltre
a elencare una serie di interventi portati avanti dall’esecutivo
sulla repressione del fenomeno mafioso ha di fatto preso una
decisione importante, e molto pesante, sulla questione che da mesi
attanaglia il mondo antimafia: lo scioglimento per infiltrazioni
dell’amministrazione comunale di Fondi.

In realtà le dimissioni, qualche
giorno fa, del sindaco, avevano di fatto aperto le porte a un
commissariamento per il comune pontino. Ciò che si attendeva era un
pronunciamento definitivo che facesse capire la reale volontà
politica di sciogliere un comune che la commissione di accesso
prefettizia aveva dichiarato infiltrato dalla mafia. Di fatto il
governo ha ratificato il commissariamento già in atto in atto per le
dimissioni. Alle richieste del ministro dell’Interno di andare avanti
per infiltrazioni mafiose, alcuni membri dell’esecutivo hanno
risposto con una bocciatura. Roberto Maroni ha dichiarato che per il
comune di Fondi si voterà a marzo: «Abbiamo scelto di ridare la
parola al popolo sovrano piuttosto che imporre un commissariamento di
18 mesi». Elezioni a cui gli amministratori dimissionari, alcuni dei
quali indagati, potranno ricandidarsi senza che pesi su di loro la
“valutazione politica” che uno scioglimento per mafia avrebbe
comportato.

Fondi, un pericoloso precedente

«Per Fondi ho preferito elezioni»
dice Maroni. «Alcuni ministri erano contrari» ribatte Berlusconi, a
suo fianco nella conferenza stampa. Di fatto l’anomalia del comune
pontino non sciolto racchiude un precedente pericoloso:
un’amministrazione ritenuta collusa da una commissione di accesso che
si dimette e senza problemi pochi mesi dopo può ritornare in sella.

Il referente di Libera Lazio Antonio
Turri, da anni richiama l’attenzione sui
comuni del sud pontino e non ha dubbi nel valutare la decisione: «Si
tratta di un precedente unico, un caso che farà “giurisprudenza”
sul caso. Se c’è una amministrazione collusa basta dimettersi e
andare a nuove elezioni dove la stessa amministrazione può essere
rieletta». E liquida la sfilza di arresti che il governo vanta come
pedigree antimafia: «Contro la mafia ha lavorato la
magistratura, hanno lavorato le forze di polizia, corpo indipendente
dalla politica, per cui se qualcosa il governo poteva fare, doveva
farlo in ambito politico e il caso Fondi dimostra che non l’ha
fatto».

Libera Informazione ha contattato
telefonicamente Giovanni Di Martino, sindaco di Niscemi, alla cui
guida è salito dopo il secondo scioglimento per mafia del comune
siciliano. Il primo cittadino, attualmente impegnato in Avviso
Pubblico, il coordinamento di Enti locali e Regioni per la formazione
civile contro le mafie, non ha dubbi: «Si tratta di una oscenità,
le dimissioni sono arrivate per evitare il pronunciamento del
ministero. Qui a Niscemi il secondo scioglimento avvenne dopo che
l’amministrazione era decaduta e c’era già un commissario- continua
Di Martino- perchè la logica e il valore che porta avanti una azione
politica del genere ha grande importanza e dà una valutazione di
fatto anche se l’amministrazione è già caduta».

Un marchio indelebile e doveroso alla
connivenza: «In questo modo si dà un segnale forte, in un terreno
democratico minato si dà possibilità al tessuto malato di
rigenerarsi».

Governo antimafia: le battute del
premier, gli arresti, lo scudo fiscale

Maroni durante la conferenza stampa, ha
inoltre presentato ed illustrato al Consiglio un dossier sulle misure
antimafia finora adottate dal Governo. Fra i principali campi di
azioni quello sull’aggressione dei patrimoni mafiosi, con la
distinzione fra i provvedimenti a carico del mafioso e la
destinazione dei suoi beni, che dopo la confisca non potranno più
essere restituiti agli eredi. Manca tuttavia quanto Maroni aveva
promesso: un’agenzia centrale per la gestione dei beni confiscati.
Dopo l’insediamento il ministro dichiarava: «il Governo darà parere
favorevole all’istituzione di questa agenzia, e ove ve ne fossero,
anche ad altri emendamenti che mirano rafforzare la lotta alle
mafie». Allo stato attuale non v’è traccia. Sempre sul contrasto
il governo ha ricordato l’inasprimento delle pene per chi partecipa
ad un’associazione mafiosa anche straniera e il rafforzamento delle
competenze delle Procure distrettuali e della DIA in materia di
misure di prevenzione. Nonché la creazione del Fondo unico giustizia
nel quale confluiscono le somme sequestrate alla mafia e i proventi
derivanti dai beni confiscati e, per contrastare l’infiltrazione
mafiosa negli appalti, si introduce la possibilità di controllare i cantieri dei
lavori pubblici tramite il potere di accesso dei prefetti; viene infine ampliata
la categoria dei soggetti (intermediari finanziari, agenzie di
mediazione mobiliare, etc.) per i quali saranno possibili
accertamenti per verificare il pericolo di infiltrazione mafiosa.

Gran parte è stata data alle
operazioni portate a termine: 335 le operazioni di polizia
giudiziaria (con un incremento del 40%); 3.479 gli arresti (+ 26%);
270 i latitanti tratti in arresto (+91%); sequestrati beni per un
valore totale di 5.372 milioni di euro (+52%); confiscati beni per un
valore complessivo di 1.512 milioni di euro (+ 304%). Al punto che il
premier si è concesso una battuta: «A me come mafioso non mi hai
ancora preso» invitando il ministro ad andare avanti nella lotta
alle mafie.

Tema sul quale il governo si è esposto spesso ultimamente: oltre al caso
Fondi, è di pochi giorni fa anche la decisione di approvare lo
“scudo fiscale”, rendendo operativo il rientro dei capitali
illecitamente depositati all’estero. Un governo attento al
fenomeno non avrebbe certo ignorato l’aspetto del riciclaggio
perseguendo politiche antimafie anche sul piano economico e non
solo su quello repressivo.

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