Colombo: “Se l’inchiesta sulla P2 fosse rimasta a Milano, avrebbe anticipato di almeno 10 anni Tangentopoli”
Il 17 marzo 1981 partiva l’indagine sulla Loggia P2. Quaranta anni dopo, Ezia Maccora ne parla con Gherardo Colombo, protagonista, insieme a Giuliano Turone, di una delle indagini più importanti della storia del nostro Paese e delle sue Istituzioni.
1. Facciamo un salto indietro nel tempo. Oggi ricorrono i quaranta anni dell’indagine svolta da te e da Giuliano Turone. Ci parli del modo in cui siete giunti alla scoperta delle liste della P2?
Stavamo investigando sul falso rapimento di Sindona e scoprimmo i suoi rapporti con Licio Gelli e da lì l’esistenza della loggia P2, l’organizzazione più volte toccata dall’interesse dei media e indicata come sede di trame occulte. Molti elementi emersi dalle indagini collegavano queste due persone, ne parlo nel dettaglio nel mio libro Il vizio della memoria.
Collaboravano con noi gli uomini della Guardia di Finanza, coordinati dal comandante del nucleo di Milano, colonnello Vincenzo Bianchi, di cui Giuliano Turone si fidava moltissimo per precedenti indagini complesse nell’ambito delle quali era stato arrestato Luciano Liggio, capo di Cosa Nostra all’epoca.
Demmo loro l’ordine di perquisire residenze e dimore di Gelli, raccomandando di non avvisare i loro superiori dell’operazione che si apprestavano a compiere, di fare attenzione a che nessuno si accorgesse della loro presenza sui luoghi di intervento. L’operazione si svolse il martedì 17 marzo 1981 e interessò diversi luoghi, compresi quelli di lavoro, in cui ritenevamo che Gelli potesse custodire del materiale interessante.
Come mi è già capitato di dire, Giuliano ed io non immaginavamo che il raccolto potesse essere così abbondante e non confidavamo di scoprire la P2.
Cominciammo a capire che avevamo trovato qualcosa d’importante quando i militari, sempre in contatto con noi telefonicamente, eseguirono la perquisizione a Castiglion Fibocchi, dove Gelli dirigeva La Giole. Fu lì che trovammo una valigia piena di documenti e altro materiale contenuto all’interno della cassaforte, materiale che facemmo trasferire a Milano presso il Nucleo della Guardia di Finanza e visionammo l’indomani mattina. Avevamo trovato l’elenco delle persone iscritte alla loggia P2, con relativo numero di tessera e posizione contributiva, pacchi di corrispondenza intercorsa tra gli iscritti, elenchi d’iscritti divisi per professione o geograficamente. Quasi tutto il materiale riguardava l’organizzazione della Loggia P2 ed il suo organigramma.
Tra i nomi, quelli del ministro per il commercio in carica, del ministro per il lavoro, del capo dei servizi di sicurezza militare e di quelli civili, segretari particolari del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio, oltre quaranta parlamentari, prefetti, questori, ufficiali dell’esercito, generali dei carabinieri, magistrati (tra cui l’ex procuratore generale Carmelo Spagnuolo), giornalisti, editori, banchieri… tra le tante carte sequestrate c’era anche la domanda di iscrizione alla Loggia, con firma in originale, dell’allora ministro della Giustizia.
Oltre l’organigramma c’erano interi dossier su persone, fatti e organizzazioni simili a quelli che confezionavano i servizi segreti.
E poi soprattutto una trentina di buste, che Licio Gelli aveva sigillato personalmente, che contenevano documenti che rimandavano alla notizia di commissione di reati.
Un materiale molto rilevante, e forse proprio per questo subito oggetto di tentativi di ridimensionamento. A partire dal Procuratore della Repubblica di Milano, a cui ci eravamo rivolti perché avevamo pensato di chiedergli di emettere un comunicato per informare che le perquisizioni erano state positive e chiarire, per evitare possibili strumentalizzazioni e falsità sulla composizione della Loggia, che nessuna notizia sul materiale sequestrato potesse essere considerata attendibile salvo che provenisse o fosse confermata dall’autorità giudiziaria.
Il Procuratore ci disse subito che avremmo dovuto restituire le carte, ed a fronte del nostro stupore, ridimensionando il suggerimento, ci invitò ad aprire le buste in presenza dei difensori di Gelli, ed ovviamente si rifiutò di predisporre qualunque comunicato.
Siccome temevamo che qualcuno sarebbe venuto a trafugare le carte, le catalogammo e le descrivemmo con pedanteria, foglio per foglio, in modo che anche se ci fossero stati sottratti gli originali avremmo mantenuto la prova di quel che i documenti contenevano. Custodimmo l’originale nella cassaforte di Giuliano, una copia nel mio armadio blindato, e delle cose più importanti nascondemmo copia in un fascicolo di un collega, conservato nell’archivio dell’ufficio, che riguardava un’indagine per terrorismo.
Temendo che in qualche modo l’indagine potesse venire inquinata, e che occorresse fare presto, per qualche giorno lavorammo anche la notte…
2. Avete quindi incontrato difficoltà nel portare avanti l’indagine?
Eravamo usciti dall’ufficio del Procuratore di Milano convinti che di ostacoli ne avremmo trovati tanti, ma anche consapevoli che l’indipendenza del nostro ufficio di giudice istruttore ci avrebbe in qualche modo tutelato da intromissioni e pressioni. Al momento non avevamo dato particolare peso al rischio che gli intralci sarebbero potuti arrivare dall’interno della magistratura.
Qualche tempo dopo, dall’esito di un’altra indagine scoprimmo che i servizi di sicurezza diretti da Giuseppe Santovito e Giovanni Torrisi, entrambi iscritti alla P2, avevano cercato di screditarci frugando nella nostra vita privata. L’unica cosa che riuscirono a riferire fu che Giuliano Turone frequentava una donna sposata, senza però precisare che nel frattempo lei aveva ottenuto il divorzio ed era diventata sua moglie.
Pochi mesi dopo, nei primi giorni di luglio, venne intercettata all’aeroporto internazionale di Roma la figlia di Licio Gelli, Maria Grazia, con una borsa al cui interno furono trovate lettere, scritti, il programma politico della P2 e materiale diffamatorio nei nostri confronti; Turone e Viola (il pubblico ministero titolare dell’inchiesta) sarebbero stati titolari di conti correnti in Svizzera, che servivano a depositare svariate centinaia di milioni per insabbiare le indagini, ed anch’io sarei stato sul punto di accettare di vendere la mia funzione.
Da lì si è mossa la macchina capace di strapparci l’indagine.
Con la pubblicazione degli elenchi degli appartenenti alla Loggia, avvenuta più o meno in quei giorni, la Procura della Repubblica di Roma cominciò ad interessarsi della P2. Ricevemmo la visita del Procuratore di Roma, Achille Gallucci, e del suo sostituto Domenico Sica, per via delle carte sequestrate alla figlia di Gelli. Le prime dichiarazioni del Procuratore erano collaborative, disse che era utile continuare nelle indagini senza alcuna interferenza reciproca.
Solo pochi giorni dopo, però, la Procura di Roma “ordinò” a quella di Milano e a quella di Brescia (per alcuni atti che avevamo trasmesso a quell’ufficio) di trasferire a Roma i procedimenti sulla Loggia P2 e , subito dopo, in mancanza di un nostro riscontro, sollevarono conflitto di competenza.
Alcuni dei media pronosticarono la conclusione dell’iniziativa. E’ del 25 giugno un articolo di Franco Scottoni, che su La Repubblica scrive: «Gallucci ha ricordato soltanto che in caso di conflitti di competenza l’ultima decisione spetta alla Suprema Corte di cassazione. Purtroppo l’esperienza fatta in passato, in particolare per alcune inchieste scottanti…lascia presagire che quando vengono sollevati conflitti di competenza c’è qualcosa che cova sotto il fuoco. Il più delle volte i conflitti preannunciano affossamenti e depistaggi. Sarà così anche per la P2?».
Il 2 settembre 1991 la Corte di Cassazione – Sezione feriale – presieduta da Giovanni Cusani, disattendendo le conclusioni del Procuratore generale, secondo il quale le indagini dovevano rimanere a Milano e a Brescia, risolse il conflitto di competenza a favore della Procura di Roma, a cui tutti i procedimenti furono trasmessi.
3. Quali furono le reazioni della politica, della stampa e del Paese?
Chiedo scusa, ma mi viene proprio da riportare un pezzettino de Il Vizio della Memoria a proposito dell’atteggiamento del mondo politico quanto ai white collar crimes: «Sembra che i politici stiano letteralmente impazzendo perché non sono in grado di attribuirci un’appartenenza. Non si capacitano: ritengono che in Italia, come succede a loro, e come succede evidentemente a tanti altri (perché altrimenti si capaciterebbero), non esista nessuno che non abbia un’appartenenza. Che possano esistere magistrati indipendenti, neanche a pensarci». Si pensava che solo qualche scavezzacollo non rispondesse a nessuno, ma comunque fosse compito dei capi controllarli e renderli inoffensivi.
La nostra indipendenza li disorientava.
La pubblicazione della lista degli appartenenti alla P2 travolse il mondo della politica e delle stesse Istituzioni.
Cadde il governo guidato da Arnaldo Forlani (che peraltro era stato, fin dall’inizio, messo da noi a conoscenza dell’esistenza della Loggia e del pericolo che poteva rappresentare) e se ne formò uno presieduto da un esponente laico, Giovanni Spadolini, rompendo l’egemonia democristiana che durava da quasi quant’anni. A settembre venne istituita con legge la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2 che espresse valutazioni inequivocabili sull’oggetto delle sue indagini e che finì i suoi lavori circa tre anni dopo l’insediamento (oggi tutto il materiale è pubblico e consultabile qui).
All’inizio del 1982 venne promulgata la legge sulla soppressione delle società segrete (legge 25 gennaio 1982 n. 17), la cd. “legge Spadolini-Anselmi”, che sciolse la P2 e ne confiscò i beni.
Le ripercussioni delle indagini furono rilevanti anche sul versante del potere giudiziario. Si dimise il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura prof. Ziletti (il cui nome compariva nelle liste) e nella seduta del 27 aprile 1981, presieduta dal Presidente della Repubblica Pertini, venne nominato vicepresidente il prof. Giovanni Conso. Il Consiglio Superiore successivo (1981-1986) affrontò una situazione delicatissima, perché negli elenchi rinvenuti a Castiglion Fibocchi vi erano nomi di magistrati, tra i quali anche addetti alla segreteria del Consiglio stesso.
4. Quindi anche la magistratura fu coinvolta. In che forme? E quale fu la risposta del CSM?
Credo che nelle liste ci fossero magistrati di tutte le correnti, una dozzina in tutto. In una delle buste siglata da Gelli c’era un quadernetto, nel quale erano minuziosamente annotati gli importi e la destinazione di contributi in denaro. Alcuni di questi erano registrati come destinati a Magistratura indipendente, una delle correnti della magistratura, o a suoi esponenti.
Come accennavo, alla figlia di Gelli fu sequestrato il programma politico della Loggia P2, il piano di rinascita democratica, che tra i suoi punti qualificanti poneva la riforma dell’ordinamento giudiziario con la sottomissione del pubblico ministero all’esecutivo e il forte ridimensionamento dell’associazionismo dei magistrati (tema che, guarda caso, era stato ripreso subito dopo le perquisizioni da un collega, Antonio Buono, tessera P2 n. 1757, esponente di spicco di Magistratura Indipendente, sulle pagine de Il Giornale).
Nel luglio 1981 è stata promossa azione disciplinare nei confronti dei magistrati citati negli elenchi, per essere «venuti meno ai più elementari doveri che loro incombevano e in particolare al primario e fondamentale dovere di fedeltà alla Repubblica ed osservanza della Costituzione sancito dall’art. 54 della stessa…». La relativa sentenza (pubblicata sul sito del CSM e consultabile qui) è stata depositata nel febbraio 1983 e le sanzioni inflitte sono comprensive di due rimozioni dall’ordine giudiziario. Nel corpo della motivazione, redatta dal consigliere Vladimiro Zagrebelsky, si insiste su di un punto cruciale: l’incompatibilità dell’indipendenza dei magistrati con altre obbedienze e adesioni ad associazioni che richiedono una promessa di fedeltà.
5. È giustificato e legittimo comparare o accostare il coinvolgimento di magistrati nella vicenda P2 con quanto rivelato attualmente dalle indagini perugine?
Mi pare una domanda superflua, dopo le risposte alle domande precedenti. Allora la magistratura che contava, i capi degli uffici, erano espressione di una cultura secondo la quale i cassetti del potere dovevano rimanere rigorosamente chiusi, e se per caso qualche scriteriato li avesse aperti, occorreva richiuderli rapidamente. Personalmente ne posso essere testimone non soltanto per quel che riguarda la vicenda P2. Insomma, la politica non doveva nemmeno chiedere…
6. Come valuti la legge Anselmi sulle associazioni segrete?
Credo fosse necessaria per dare un segnale forte, ma credo anche che non sia stata mai applicata, salvo per quel che riguarda lo scioglimento della P2.
7. Come si concluse l’indagine sulla P2 e che opinione complessiva trai dal suo evolversi?
Il troncone dell’indagine, sfrondato da moltissimi rami, si concluse a Roma oltre dieci anni più tardi dal ritrovamento dei documenti a Castiglion Fibocchi. Poi arrivò la sentenza di primo grado della Corte di Assise di Roma. Ci furono condanne per alcuni reati (compresa la calunnia nei confronti di Turone, Viola e me, che nei gradi successivi del giudizio si prescrisse). Purtroppo però i fatti rilevanti e la vera natura della loggia P2 si erano smarriti nella potatura dell’albero delle indagini e nell’oblio del tempo, e la Loggia si era alla fine trasformata in un lecito comitato d’affari, quasi un club. Nonostante nelle liste risultassero i nomi degli appartenenti ai servizi che avevano depistato le indagini sulle stragi che avevano insanguinato l’Italia dal 1969 al 1980, per dire.
Ero e sono convinto che se l’inchiesta fosse rimasta a Milano, avrebbe anticipato di almeno dieci anni la scoperta di Tangentopoli. Forse il sistema delle tangenti a quell’epoca non era ancora così radicato e sarebbe stato più facile estirparlo.
* Vicedirettrice di Questione Giustizia, presidente aggiunto gip Tribunale Milano
Fonte: Questione Giustizia
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