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Accelerare la confisca dei beni mafiosi

Gian Carlo Caselli * il . Economia, Istituzioni, L'analisi, Mafie

Buon compleanno! Il 7 marzo la legge 109/96, sulla destinazione a finalità socialmente utili dei beni confiscati ai mafiosi, ha compiuto 25 anni.

Potremmo tranquillamente chiamarla legge Ciotti-Libera, perché “spinta” dalla forza irresistibile di un milione di firme raccolte appunto dall’Associazione fondata da Luigi Ciotti. Figlia di una “gran madre” (la Rognoni-La Torre del 1982), la legge 109/96 è stata l’equivalente del passaggio dalla locomotiva a vapore a quella elettrica. Nel senso che al fatto positivo di togliere ai mafiosi beni sporchi di sangue, sì è aggiunto quello di renderli capaci di produrre “utili sociali”, cioè vantaggi per la collettività cui quei beni erano stati rapinati.

Una normativa che è motivo di orgoglio nazionale e di apprezzamento anche all’estero. Ovviamente contrari sono i mafiosi. Tant’è che nel nostro paese da sempre si battono (coi loro metodi) per l’abrogazione di queste norme. Invise anche ai “galantuomini” che ne temono l’efficacia se estese all’illegalità dei “colletti bianchi”.

Un bilancio (dopo 25 anni) si impone. Se non altro perché tutto è migliorabile.

Le esperienze positive sono molte: immobili che erano di mafiosi trasformati in centri per il recupero di tossicodipendenti, residenze per anziani o soggetti in difficoltà, scuole o caserme; aziende che operavano con capitali di origine mafiosa, alterando la concorrenza, passate a cooperative di giovani che riescono, con il loro lavoro pulito, a “stare sul mercato”. La dimostrazione che lo Stato, oltre ad usare quando occorre le “manette”, sa restituire alla comunità occasioni di solidarietà e di sviluppo.

Nello stesso tempo, molte cose pesano negativamente.

Innanzitutto i tempi eccessivamente lunghi per dare effettività alle confische e alla loro destinazione. Tanto lunghi da determinare – in troppi casi – vere e proprie situazioni di abbandono e deperimento dei beni. Di qui la necessità di risorse finanziarie ingenti per far ripartire ciò che non deve restare fermo troppo a lungo.

L’Anbsc (Agenzia nazionale beni sequestrati e confiscati) ha un sito costantemente aggiornato che però “fatica” a svolgere i compiti di gestione dei beni presi in carico. Di nuovo, un problema di risorse, finanziarie e professionali.

La stagione che viviamo, funestata dal covid, paradossalmente può essere propizia. Mi riferisco ai miliardi del Recovery found, che il Pnrr (Piano nazionale ripresa e resilienza) ben potrebbe – dovrebbe! – destinare in parte al miglioramento della operatività della legislazione riguardante il settore dei beni confiscati.

In verità c’è anche un problema a monte. Alla realizzazione delle finalità previste dal legislatore per i beni confiscati, da tempo sono destinate importanti risorse finanziarie europee e nazionali messe a disposizione delle Regioni. A tutt’oggi però solo alcune si sono date gli strumenti normativi ed operativi necessari. Senza tacere di quei Comuni, al Nord e al Sud, che resistono strenuamente alla prospettiva di prendersi in carico un immobile confiscato.

Le proposte fin qui esposte sono da agganciare alle più ampie riflessioni da varie parti formulate. In particolare da “Libera” e dallo specifico Gruppo di lavoro sui beni confiscati (coordinato da Francesco Gianfrotta, già capo dei Gip di Torino) creato dall’Osservatorio sulle agromafie di Coldiretti. Oggi, come sempre, si tratta di scegliere e decidere.

Pio La Torre – stroncato dalla ferocia mafiosa proprio a causa della legge che porta il suo nome – di certo sarebbe lieto di vedere un “nuovo inizio” di quel che egli aveva fortemente voluto per il bene comune.

* Fonte: La Stampa, 10/03/2021

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