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“Io ci sarò”

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Bisogna esserci sabato a Roma,
anche non partecipando direttamente alla manifestazione ma trovando
comunque in questo caso il modo di far registrare la propria presenza
stando anche lontano dalla Capitale, come accadrà a me che da
Trapani non potrò muovermi. Bisogna esserci non solo perché è
giusto che si sappia quanti sono i “farabutti” che oggi in Italia
vigilano perché l’art. 21 della Costituzione non venga calpestato,
bisogna esserci per rispondere a coloro i quali sostengono che sabato
è stata indetta una manifestazione inutile, oppure, si è anche detto
di parte. Ecco tra le cose dette preferisco quest’ultima, quella di
sabato è una manifestazione “partigiana”, espressione di una moderna
resistenza, quella che ogni giorno esercitiamo per garantire al cittadino
una informazione che non può essere fatta solo di comunicati stampa,
presi, copiati e incollati sulle pagine di carta stampata o su quelle
on line o ancora letti in modo pedissequo su radio e tv.
 

Adesso dirò una cosa
che potrebbe farmi passare per incoerente. E dico subito, io sono tra
quelli che sostengono che la libertà di informazione in Italia c’è,
c’è stata e ci sarà. Nessuno la viola e la violerà mai, l’art.
21 non cambia. Accade altro. Così come si sostiene che la libertà
di informazione esiste, coerentemente e seri nessuno può negare i tentativi
ultradecennali semmai di limitarne l’esercizio, limitare il diritto
a comunicare e di far critica, di tutto questo ce ne siamo accorti adesso
e spero che non sia troppo tardi. In tanti, di ogni colore e professione,
hanno aggirato il paletto dell’art. 21 con una serie di norme e cavilli 
che addirittura oggi rendono difficile raccontare al lettore ciò che
accade anche davanti ai nostri occhi, ciò che ascoltiamo o che leggiamo.
E tutto questo è avvenuto per anni in assoluto silenzio, senza suscitare
proteste, cominciando a colpire, l’ho già detto in altra occasione,
la periferia, i cronisti locali e di provincia, senza in questo caso
per la verità tanto bisogno di sostegni normativi, ma alzando la cornetta
e chiamando il direttore di turno, mostrandosi affabili, anche carini,
e però senza nascondere fastidio per quello o quell’altro cronista.
E la cosa più grave è quella che quando non è stato il “potente”
o l’”arrogante” di turno a muoversi, sono stati nostri colleghi,
pronti, come accade spesso a Trapani, a smentire ciò che ha scritto
il collega che qualche volta può essere anche il “vicino di srivania”.
O a mettere in giro notizie false, a mascariare (sporcare) imitando,
o eseguendo, ciò che la mafia sa fare bene.
 

La libertà di informazione
l’abbiamo messa in pericolo noi giornalisti per primi, ed è stato
grave in tanti anni che nessuno dal “centro” non si sia accorto
di cosa andava accadendo in periferia, dei giornalisti contrattualizzati
perché “fedeli” al potere che spesso risiedeva, e risiede, fuori
dalle stanze dell’editore e del direttore di turno, e di quelli costretti
a fare i precari per decine e decine di anni, sfruttati, anche dai colleghi,
pronti a “venderli”, venendo pagati a pezzo, in lire non si arrivava
quasi mai alle 10 mila lire, oggi anche meno di 5 euro, oppure 8 euro
(lorde) per confezionare un servizio tv di un minuto dopo magari avere
percorso anche 50 e passa chilometri; nei momenti tragici ci si è ricordati
dei giornalisti, se uccisi o intimiditi, poi il silenzio. Le prese di
posizione contro giornalisti e stampa da parte del presidente del Consiglio
Berlusconi, per molti di noi che lavoriamo in periferia sono scene già
viste, vissute, non era Berlusconi ma magari sindaci, politici, di tutti
i colori, anche prefetti. In periferia è da anni che è difficile raccontare
ciò che ti accade davanti gli occhi, fare il resoconto di un processo,
pubblicare il contenuto di una sentenza, o anche lettere perfettamente
autentiche dove un sindaco si permette di parlare male dell’antimafia
prendendosela con i professionisti e tacendo invece sulla mafia, sui
suoi affari, sui suoi complici. Ecco probabilmente se si fosse prestata
più attenzione a questa realtà, se i giornalisti scoperti con le mani
nella marmellata fossero stati messi alla porta, ecco probabilmente
avremmo uno spazio di libertà non tanto ampio ma più largo di quanto
lo è ora. Bisogna guardare di più a quei cronisti che si muovono dentro
le nuove Gomorra, Mafiopoli, dove non ci sono più uomini che camminano
con coppole e lupare, ma vestono la grisaglia e si muovono portandosi
appresso valigette piene di soldi. Ci sono ancora tante storie da raccontare,
per quanto mi riguarda continuerò a provarci. Nonostante tutto.
 

Rino Giacalone

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