Presentata in Parlamento, nel generale disinteresse, l’ultima relazione della DIA
Alcuni giorni fa la ministra dell’interno Lamorgese ha presentato al Parlamento la periodica relazione della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) con dati e analisi riferiti al primo semestre del 2020.
Seicento pagine contenenti analisi e dati sulle attività e i risultati conseguiti dalla DIA e dalle forze di polizia territoriali che danno conto “di come le grandi organizzazioni criminali siano riuscite a sfruttare una situazione del tutto particolare e imprevedibile per trarne vantaggio sul piano economico nonostante il periodo di lockdown e la conseguente forzata immobilità negli spostamenti che ha avuto riflessi anche sulle attività criminali tipiche legate al controllo del territorio”.
La relazione (pubblicata anche sul sito della Polizia di Stato), presentata nello sconfortante generale disinteresse, anche degli organi di informazione, evidenzia, tra l’altro, nel capitolo “Linee evolutive della criminalità organizzata. Il modello imprenditoriale mafioso” “il comune denominatore” che ha caratterizzato nel periodo esaminato le strategie delle mafie “collegato alla capacità di operare in forma imprenditoriale per rapportarsi sia con la Pubblica Amministrazione, sia con i privati”, acquisendo nel primo caso “appalti e commesse pubbliche, nel secondo per rafforzare la propria presenza in determinati settori economici scardinando o rilevando imprese concorrenti o in difficoltà finanziaria”. E basterebbero solo queste sintetiche osservazioni scaturite da risultanze investigative per inserire, subito, la questione mafie e criminalità organizzata come una priorità nell’agenda politica.
Impietosi, poi, i dati statistici relativi a quattro tipologie di reati selezionati in quattro aree e precisamente una prima area in cui vengono inseriti i delitti strettamente mafiosi, associativi; una seconda area che comprende quelle che la DIA classifica come “attività criminali di primo livello” e cioè i traffici di stupefacenti, le estorsioni i sequestri di persona, l’usura, le ricettazioni e le rapine; la terza inquadra le “attività di secondo livello” e sono riferite alla capacità delle organizzazioni criminali di riciclare e reimpiegare denaro, di corrompere funzionari pubblici, di spostare capitali; nella quarta area sono ricompresi i delitti collegati al contrabbando di sigarette (attività che ha avuto un notevole impulso nel 2020 anche nella fase di produzione clandestina, in particolare nelle regioni del Sud), alla contraffazione e alle violazioni alla proprietà intellettuale.
Se, da un lato, il lockdown ha determinato un decremento apprezzabile delle “attività criminali di primo livello” (su tutte le estorsioni, i furti, la ricettazione, le rapine) a causa della minore mobilità sul territorio, non si è di certo attenuata la capacità delinquenziale dei mafiosi se si pensa al numero delle persone denunciate per associazione di tipo mafioso nel 2020 che è sostanzialmente in linea con i precedenti analoghi periodi e a quello dei denunciati con l’aggravante del metodo mafioso che è stato il doppio dei periodi passati.
Aumentati anche i casi di riciclaggio di denaro e di corruzione nel 2020. Nella relazione si evidenzia, poi, un “forte incremento”, nelle regioni del Centro Italia, di persone denunciate per associazione mafiosa e con l’aggravante del metodo mafioso mentre un “lieve calo” si è avuto nelle regioni del Sud e nelle Isole per quanto attiene ai denunciati per associazione mafiosa che sono, invece,raddoppiati per fatti commessi con il metodo mafioso.
Un dato, infine, su cui molti dovrebbero riflettere: sempre nel periodo esaminato nella relazione, i casi di scambio elettorale politico mafioso si sono quintuplicati con il dato del Sud che coincide con il totale nazionale.
Quanto basta perché le Istituzioni tengano alta l’attenzione sulle infiltrazioni delle mafie negli Enti locali e sulle ingenti risorse in fase di assegnazione nei prossimi mesi destinate al rilancio dell’economia del Paese.
La criminalità straniera, anche mafiosa, in Italia
Non ci sono grosse novità, rispetto a quanto annotato nel passato più recente, nella ultima relazione della DIA relativamente alla presenza in Italia della criminalità straniera.
Il resoconto che è sempre molto circostanziato, si riferisce alle attività svolte e ai risultati conseguiti nei primi sei mesi del 2020 e riserva la consueta attenzione anche alle varie compagini criminali straniere che da tempo si sono insediate in molte regioni italiane assumendo, in alcuni casi, anche le connotazioni tipiche dell’organizzazione e dell’agire mafioso riconosciute da numerosi pronunciamenti giudiziari.
A cominciare da alcuni gruppi cinesi, dai cults nigeriani e, per ultimo, da una compagine di matrice romena (anche la criminalità albanese è sulla buona strada per conseguire tale “riconoscimento”).
L’analisi della DIA sottolinea come il “core business” dei gruppi criminali stranieri in Italia sia incentrato soprattutto sui traffici di stupefacenti ma come sia “significativo, per dimensioni e pericolosità, anche il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina finalizzato all’avvio di donne alla prostituzione” – nel nostro Paese la domanda per tale “servizio” è sempre molto alta – senza trascurare “il traffico di armi e di merce contraffatta nonché i reati contro il patrimonio”.
Una presenza in quasi tutte le regioni (esclusa la Calabria dove la ’ndrangheta – come sottolinea la DIA – non consente il radicamento di gruppi criminali stranieri competitivi o, addirittura, concorrenziali), con una predisposizione, nelle zone del centro-nord, a muoversi indipendentemente dalla criminalità nostrana e, anzi, in talune circostanze ad assumere addirittura ruoli egemoni “in ambiti territoriali più o meno estesi” operando con la delinquenza nazionale anche “ su un piano paritetico o come intermediario nella fornitura di merci e servizi”.
Atteggiamento ben diverso nelle regioni del sud dove le “le consorterie etniche operano in via subordinata, ovvero con l’assenso della mafia locale (per esempio i nigeriani nella zona del casertano, territorio dominato dal clan camorristico dei Casalesi o nel quartiere palermitano di Ballarò controllato da Cosa nostra ndr) talvolta attraverso la dazione di un quantum”.
Ci sono, inoltre, gruppi della criminalità organizzata straniera ai quali non è stata ancora riconosciuta l’aggravante mafiosa come per quelli provenienti dai Balcani e dai Paesi ex Urss. Così, agli interessi della criminalità “russofona” per il narcotraffico si sommano quelli per i reati predatori della criminalità balcanica e georgiana, quelli del contrabbando di prodotti petroliferi per i gruppi dell’est Europa, quelli delle organizzazioni balcaniche nella tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento della prostituzione.
Uno scenario criminale, dettagliatamente descritto nella suddetta relazione con il riepilogo delle più importanti operazioni delle forze di polizia contro le varie “specializzazioni criminali”. Uno scenario nel quale si muovono a loro agio anche sodalizi criminali di origine nord-centro africana (anche per questi il traffico/spaccio di stupefacenti hanno la prevalenza sulle altre attività), organizzazioni multietniche di matrice pakistana (traffico di eroina e tratta di esseri umani spesso finalizzata allo sfruttamento della manodopera), gruppi di provenienza filippina e bangladese (specializzati nel traffico e spaccio di metamfetamine), sodalizi sudamericani che in combutta con altri gruppi stranieri ed italiani gestisco i traffico di droga (cocaina) provenienti dall’America Latina.
Non mancano gruppi criminali a composizione multietnica tra i quali emergono per “laboriosità” e “puntualità” quelli albanesi che hanno mostrato, negli anni, “la maggiore propensione e capacità a cooperare con gli italiani”.
Una situazione generale criminale nel nostro Paese destinata a peggiorare ulteriormente con quel processo di espansione delle narcomafie.
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Sicurezza: mafie e criminalità non sono una priorità per il Governo
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