Si torna a parlare della massoneria e dell’ex guru Cardella
L’indagine è ferma all’ipotesi che Vincenzo Virga, capo mafia di Trapani, in carcere all’ergastolo dal 2001 dopo sette anni di latitanza, fu il mandante del delitto e Vito Mazzara, esperto killer della mafia trapanese, anche lui in carcere all’ergastolo, guidò il commando che uccise Mauro Rostagno la sera del 26 settembre del 1988, a Lenzi di Valderice, a pochi metri dal cancello della comunità Saman. Sentenza di morte decisa dai boss. Capi mafia importanti come Francesco Messina Denaro, il patriarca della mafia belicina, morto, di morte naturale ma da latitante, nel 1998; il suo erede, Matteo Messina Denaro, è il più pericoloso dei latitanti di mafia oggi ricercati, stragista e ideatore della mafia sommersa che si è fatta impresa. Una trasformazione che era cominciata proprio quando Rostagno fu fatto fuori.
Oggi il panorama criminale di quegli anni è più chiaro, e l’inchiesta sul delitto Rostagno non ha perduto di vista l’ipotesi che «non fu solo mafia», ipotesi addirittura svelata negli anni ’90 dal pentito Francesco Marino Mannoia. Oggi si torna a parlare di «interferenze» della massoneria, che a Trapani aveva salotti che funzionavano, o funzionano ancora, da stanze di compensazione tra poteri, anche quelli criminali. È saltato fuori un verbale del febbraio 1988, quando Rostagno ai carabinieri denunciò che il capo della Iside 2 Licio Gelli a Trapani era stato e i massoni trapanesi andavano a trovarlo in Toscana. Rostagno era uno di quelli che le cose che sapeva le raccontava in tv e le denunciava. «Di noi parlava sempre male – dice un pentito, Vincenzo Sinacori – non solo di noi trapanesi, ma di tutti, dava fastidio a tutta Cosa Nostra!». Quando Rostagno fu ucciso e la tv ne diede notizia, Giovanni Brusca, ex uomo d’onore di San Giuseppe Jato ha riferito ai pm che era con Totò Riina e lo sentì dire: «Finalmente i trapanesi si sono tolti sta camurria».
La decisione del delitto fu presa a Castelvetrano, a casa di Filippo Guttadauro, genero di don Ciccio Messina Denaro; Guttadauro è appartenente alla potente famiglia palermitana di Brancaccio, quella che aveva i suoi bei contatti con la politica. In quella riunione a casa del padrino del Belice si parlava di appalti e c’era Angelo Siino, il «ministro dei lavori pubblici» all’epoca di Riina. È Siino che raccontò quella riunione: «Ad un certo punto Messina Denaro parlò in termini spregiativi di Bulgarella (Puccio, ndr) proprietario di Rtc dove operava Rostagno e coprì di insulti anche Rostagno stesso aggiungendo che “un giorno o l’altro avrebbe fatto una brutta fine”». In altra occasione Bulgarella a Siino avrebbe detto di essere preoccupato, ma poteva fare ben poco, «Rostagno è un “cane sciolto”, difficilmente controllabile».
Una indagine dalla quale sono entrati e usciti diversi soggetti, i mafiosi sono tornati per rimanerci. Ma ci sono soggetti che dall’esame degli atti giudiziari sembrano essere rimasti in una sorta di «limbo». Uno di questi è Francesco Cardella. Su di lui a Palazzo di Giustizia, a Palermo, qualche sospetto resta, dapprima indagato per favoreggiamento e poi per concorso in omicidio, reati per i quali infine è scattata l’archiviazione.
«È questa, quella di Cardella – si legge negli atti giudiziari – una vicenda complessa, essendo emersi a carico di Cardella elementi di un certo spessore indiziario, che, pur non essendo mai assurti ad un grado di gravità tale da giustificarne una formale incriminazione mediante l’adozione provvedimenti cautelari o l’esercizio dell’azione penale, d’altra parte non sono mai venuti del tutto meno, neppure alla fine di una pur prolungata attività investigativa di verifica».
I punti non chiariti. Sullo sfondo dell’inchiesta i contrasti tra Cardella e Rostagno. L’ex guru li ha sempre smentiti, per la magistratura sono stati «radicalizzati», ci sono stati e portati all’estremo, «per ragioni mai del tutto chiarite, proprio negli ultimi mesi di vita di Rostagno». Tutto questo in un contesto nel quale per i pm sono state inverosimili le versioni fornite da Cardella, «contraddette da elementi logici e da risultanze obiettive», senza dimenticare «le gravi perplessità sorte perfino sulla versione fornita da Cardella circa i suoi movimenti nella sera del delitto; il giro di affari e movimenti finanziari emersi attorno alle molteplici attività di Cardella».
Aspetti sui quali le indagini però si sono a lungo soffermate: «Il lavoro di indagine – scrivono i magistrati – non ci ha consentito di giungere a definitive conclusioni, né – e la novità sta in questi passaggi – nel senso della loro totale infondatezza, né della loro conducenza probatoria rispetto al coinvolgimento del Cardella nell’omicidio Rostagno».
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