Patrick Zaki, un anno dall’arresto. Il “record negativo” dell’Egitto per i diritti umani
Un paese l’Egitto che viola sistematicamente i diritti umani.
Nel 2011 cadeva il 150 anniversario dell’unità d’Italia e, ricordando la nostra storia, pensavamo che il 2011 nel mondo sarebbe stato ricordato proprio per quanto stava succedendo nei paesi africani (e non solo): popoli che si ribellavano a sovrani/despoti che avevano costruito la loro ricchezza e il loro potere sul sopruso, sull’ingiustizia. Popoli che abbattevano barriere, muri parlavano anche a noi e noi avevamo l’obbligo di ascoltare.
Non solo perché migliaia di persone stavano arrivando sulle nostre coste ma perché era il tempo di costruire nuove relazioni internazionali basate sul principio che tutti i diritti umani valgono per tutti gli uomini e tutte le donne di tutti i paesi del mondo.
Abbiamo davvero ascoltato e operato perché quei cambiamenti reclamati a gran voce dai popoli si potessero realizzare?
Crediamo di no perché l’occidente (e non solo) era ed è più interessato alla stabilità di quelle regioni, a interessi economici da non disturbare, piuttosto che dei diritti delle persone.
Ecco perché il nostro vigoroso impegno per avere verità e giustizia per Giulio Regeni e per l’immediata scarcerazione di Patrick Zacki non può essere solo una scelta etica e di solidarietà, necessaria ma non sufficiente.
Deve essere politica: guardare a quell’area che sta dall’altra parte del Mediterraneo come una grande opportunità per ripensare il mondo, la geopolitica, costruire nuove relazioni e iniziare a superare la cultura di guerra che ancora regola i rapporti tra gli stati; i conflitti cosiddetti locali in corso sono almeno 30: in Africa, in Asia e in Medio Oriente. Ma anche in Europa e America Latina. Una geografia di dolore, morte e distruzione: l’80% delle vittime è composto da civili inermi donne e bambini.
Cultura di guerra che contagia anche le relazioni tra le persone, le generazioni e i generi.
“Per ripudiare la guerra” (art. 11 della nostra Costituzione) è necessario costruire una cultura di pace che ancora non c’è.
Patrick Zaki: altri 45 giorni di carcere in custodia cautelare in Egitto. E’ passato un anno dall’arresto il 7 febbraio 2020 appena atterrato al Cairo. Tornava in Egitto prima di cominciare il secondo semestre di studi presso l’Università di Bologna, l’Alma Mater, dove si era iscritto per un Master europeo sugli studi di genere, con una borsa di studio Erasmus.
Non sapeva forse che sulla sua testa pendeva un mandato di cattura dal settembre 2019. Subito è interrogato con metodi violenti, torturato e portato in carcere per 15 giorni senza nessuna udienza preliminare (che si terrà solo un mese dopo). Le accuse: “diffusione di notizie false e di dichiarazioni che disturbano la pace sociale, promozione del terrorismo”. Le sue ultime parole, dal carcere di Tora, in una lettera consegnata alla famiglia poco dopo Natale ribadiscono invece: “Fate sapere che sono qui perché sono un difensore dei diritti umani”. Dopo un lungo e aspro interrogatorio presso l’aeroporto è trasferito al commissariato di Mansoura, la sua città natale, al vicino commissariato di Talkha. Successivamente è trasferito ancora: in una prigione del Cairo, a Tora, alla periferia della città. Un carcere sovraffollato, in condizioni precarie anche dal punto di vista sanitario. Ci saranno molteplici udienze per prolungare la detenzione di 15 o di 45 giorni: una crudele tortura psicologica che si aggiunge a quelle fisiche. Una vera vergogna.
Ahmed Samir Abdelhay un altro cittadino egiziano, studente di sociologia presso l’Università europea di Vienna, in questi giorni è stato arrestato e condotto in carcere appena giunto al Cairo: sembra un caso simile a quello di Patrick Zaki.
Una conferma che l’Egitto è un paese “record negativo” per i diritti umani: stato di eccezione permanente, 60-100 mila detenuti politici stimati (terzo paese al mondo dopo la Cina e la Turchia), 10580 oppositori “scomparsi” dal 2014, 1500 casi seguiti direttamente dalla Suprema Procura del Cairo, zero indagini sugli abusi commessi dalla polizia. (fonte ISPI). E ancora: 57 condanne a morte nel 2020 accertate da Amnesty International, il doppio rispetto al 2019; al 166 posto su 180 in termini di libertà di stampa.
Il 20 novembre 2020 tre esponenti della Egyptian Initiative for Personal Right (Eipr), con cui Zaki collaborava sono arrestati con una vera e propria caccia all’uomo. “Uno sviluppo molto preoccupante che evidenzia l’estrema vulnerabilità della società civile in Egitto”, denuncia la portavoce dell’Alto commissario Onu per i diritti umani, Revina Shamdasani.
Giulio Regeni è stato sequestrato il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle manifestazioni di piazza Tahrir (liberazione), simbolo dell’inizio della rivoluzione; torturato ignobilmente con ferocia e crudeltà da esponenti della polizia egiziana fino ad ucciderlo: il suo corpo ritrovato il 3 febbraio lo rivela con evidenza.
La Procura di Roma ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio per il generale egiziano Tariq Sabir e per altri tre membri dei servizi segreti del regime del Cairo (Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif). L’obiettivo dei magistrati italiani, dopo un’inchiesta rigorosa, è processare i quattro 007 ritenuti responsabili del sequestro di Giulio, delle torture e del suo assassinio. L’udienza preliminare è fissata per il prossimo 29 aprile.
Un processo che l’Egitto ritiene immotivato dopo aver depistato le indagini e non collaborato con le autorità italiane.
In questo inizio 2021 cadono i dieci anni dall’arrivo anche in Egitto della “primavera araba” (a una settimana dalla caduta del regime dispotico e corrotto di Ben ‘Alì al potere in Tunisia dal 1987).
Il 25 gennaio 2011 una gigantesca manifestazione di popolo di giovani riempie la piazza Tahrir al Cairo. Ma non è liberazione. In Egitto dopo la fine di Mubarak; il breve e disastroso governo del presidente islamista Mohamed Morsi; il 3 luglio 2013 arriva il colpo di stato militare di Abdel Fatah al-Sisi che spodesta Morsi e impone nuovamente l’autorità delle forze di sicurezza egiziane e soffoca la vita civile calpestando ogni diritto delle persone.
Sisi ha rimesso in piedi la struttura degli anni di Mubarak adattandola al suo stile di comando: è la National Security Agency, i servizi di polizia e intelligence interna, accusati dalla Procura di Roma dell’omicidio di Giulio Regeni e responsabili dell’arresto di Patrick Zaki.
Se dopo cinque anni i responsabili dell’assassinio di Giulio Regeni non sono ancora assicurati alla giustizia, nonostante l’impegno indomabile di Paola e Claudio, la mamma e il papà di Giulio, e del Paese intero, dobbiamo impegnarci ancora di più, tutti. Richiamare l’ambasciatore (che non è un ritiro!) è un gesto forte non solo simbolico che le nostre istituzioni devono fare.
“Se per Patrick si apre il secondo anno di detenzione illegale, arbitraria, senza processo, crudele, allora dobbiamo davvero raddoppiare le forze e prepararci per una campagna ancora più massiccia”. Ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
Ci sentiamo di condividere questa idea e, a partire dai territori, dalle regioni, possiamo rilanciare una campagna vigorosa.
Sta crescendo e sosteniamo con convinzione l’idea di dare la cittadinanza italiana a Patrick, proposta da sua sorella, in modo che l’Italia possa chiedere con più autorevolezza la sua scarcerazione (c’è anche una mozione parlamentare). Intanto si può proporre (alla Camera dei Deputati e al Parlamento Europeo) di deliberare subito per lui la “cittadinanza onoraria” così come ha fatto la città di Bologna e altre città.
Una delegazione del Parlamento Italiano e del Parlamento Europeo si rechi rapidamente al Cairo ed esiga di incontrare Patrick insieme alla sua famiglia e alla sua avvocata Hoda Nasrallah; esiga di incontrare altresì le autorità egiziane, una delegazione del parlamento egiziano per chiedere conto del perché di questa lunga carcerazione e ancora dell’assassinio di Giulio Regeni.
In tutto il paese moltiplichiamo le iniziative per la scarcerazione di Patrick: petizioni promosse dalle diverse associazioni a partire da Amnesty International (centinaia di migliaia le firme già raccolte), maratone musicali come quella in programma per lunedì 8 febbraio: 12 ore no stop. Così come sempre di più siano le città e i comuni a tingersi di giallo per ricordare Giulio Regeni e l’impegno per avere verità, tutta la verità, e giustizia.
Anche in Veneto sono molte le iniziative del mondo della cultura nelle sue varie espressioni che si mobilitano in questi giorni per Patrick e per Giulio.
Tutte le università del Veneto si sono impegnate per questa battaglia per i diritti, solidali con l’Università di Bologna che ha detto e scritto a chiare lettere che Patrick è un cittadino e uno studente di Bologna e dell’Italia intera.
Importante l’appello di dicembre 2020 della Conferenza dei Rettori delle Università italiane (Crui) rivolto alle autorità egiziane per la scarcerazione immediata di Patrick Zaki: tutte le Università stanno aderendo con varie iniziative a partire dagli studenti.
La proposta “Cento Città per Patrick”, per conferirgli la cittadinanza onoraria cammina anche in Veneto.
Ho riletto alcuni réportages di Ilaria Alpi dal Cairo (fine anni 1980).
Sono ben documentati e lungimiranti. Riporto alcune righe di una bella intervista allo scrittore Naghib Mahfuz premio Nobel per la letteratura 1988.
“… il gap esistente tra i paesi avanzati e l’Egitto continua ad allargarsi. Due sole potranno essere le opzioni future: soccombere o servire popoli che posseggono una maggiore conoscenza, come le bestie fanno con gli uomini”. Ma il pessimismo di queste righe non coincide con il lunghissimo titolo di una sua celebre opera teatrale, commenta Ilaria. “Quando viene meno la speranza bisogna saper convivere con la disperazione”. Ma poi, sorridendo conclude “sarà una grande occasione per l’Egitto. …cambierò il mio nome da Naghib Mahfuz in Naghib Mhzuz (Naghib il Fortunato).
Fonte: Articolo 21
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