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Donati: creare un osservatorio indipendente sul narcotraffico

Di Giuseppe Parente il . Internazionale

A otto anni dall’occupazione unilaterale da parte degli Alleati, l’Afghanistan vive ancora una situazione di instabilità, come confermato dall’ennesimo fatto di sangue. Sandro Donati – che per conto di Libera ha realizzato una serie di studi sui traffici delle sostanze stupefacenti – ci ha fornito una sua analisi sullo stato di un paese dove la violenza e la guerra si intrecciano con le questioni del narcotraffico. 

La situazione dell’Afghanistan presenta zone d’ombra inquietanti che coinvolgono alcune istituzioni governative e richiederebbero uno studio approfondito da parte di organismi indipendenti. È esplicativo il fatto che il paese prima dell’inizio del conflitto fosse un produttore minoritario di oppio a livello mondiale a fronte del monopolio quasi totale del Triangolo d’Oro (Birmania, Laos e Thailandia). Quando a inizio anni ’90 le truppe sovietiche si ritirarono dall’Afghanistan la sua quota rispetto alla produzione mondiale era inferiore al 30%, mentre il Triangolo arrivava al 70%. Nel 2001, stando ai dati ONU, l’editto dei taliban che vietava la coltivazione dell’oppio ha portato pressoché a un azzeramento della produzione. Nell’autunno dello stesso anno il paese è stato invaso dalle truppe statunitensi ed alleate. Ebbene, dal 2002 è iniziata una crescita vertiginosa della produzione che, arrivando fino ai nostri giorni, ha portato l’Afghanistan a divenire il monopolista mondiale del settore, nel quadro di una produzione mondiale che, nel contempo, è triplicata! 
In questo contesto si cerca di attribuire paradossalmente la responsabilità ai soli talebani mentre, alla luce di alcuni dati di fatto, bisogna assumere che sia intervenuto dell’altro. Infatti, fa molto pensare che nel 2007 gli U.S.A. abbiano sbandierato un cambio di strategia nella lotta alla droga in Afghanistan esportando in Medio Oriente le esperienze del Plan Colombia. Tanto è vero che hanno trasferito da Bogotà a Kabul l’ambasciatore William Braucher Wood e l’intero suo staff. C’è da chiedersi con preoccupazione quali siano le esperienze di successo da portare in Afghanistan se si tiene a mente che questa politica di contrasto al narcotraffico, lanciata dagli USA nel 2000, ha completamente mancato l’obiettivo dichiarato di dimezzare la produzione di cocaina in Colombia nell’arco di un triennio, per poi stroncarla definitivamente. Addirittura, un’apposita Commissione d’inchiesta del Senato americano (ne erano membri anche Barack Obama e John Kerry) nel dicembre 2005 ha denunciato la totale inefficacia del Piano a fronte degli enormi costi. Il dossier di Libera sulla produzione e i traffici mondiali di cocaina – che ad oggi non ha ancora ricevuto una sia pur minima obiezione sostanziale, prova le discrepanze tra i dati ufficiali forniti dall’ UNODC e le dimensioni reali della produzione mondiale di cocaina. Recentemente, anche il responsabile del Dipartimento antidroga della Direzione Centrale Servizi Antidroga, massimo organismo italiano interforze in materia, ha rimesso in discussione le stime dell’ONU, parlando di una produzione reale più elevata. 
Alla luce di questi elementi, l’affermazione di voler esportare il presunto successo andino appare inquietante e minacciosa. Infatti, il Governo di Washington ha lanciato, con il forte coinvolgimento delle sue intelligence (CIA e DEA), una strategia che, anno dopo anno, si dimostrava inadeguata: perché, pur ammettendo un possibile errore iniziale, non è stato poi corretto il tiro? 
Come possiamo spiegarci una simile perseveranza? 
Vuol dire che l’obiettivo non era quello di abbattere la produzione di cocaina, ma di estendere il proprio controllo su quel traffico e su quel paese, stringendo legami con i militari colombiani che sono stati a lungo addestrati in Texas. Alla luce di ciò, il trasferimento di Braucher Wood e del suo staff fa sorgere domande inquietanti rispetto alle prospettive di un Paese, l’Afghanistan, che già versa nell’illegalità e nella complicità con il narcotraffico. A fronte delle argomentazioni dell’ONU circa il loro buon controllo del territorio, è strano che la produzione di oppio sia esplosa e che nei Report ONU ci siano L’intervista/1 DONATI: creare un osservatorio indipendente sul narcotraffico 5 enormi buchi neri (ad esempio sui laboratori di trasformazione dell’oppio in eroina). Eppure, per evidenti ragioni belliche, l’Afghanistan è il Paese al mondo più sorvolato e monitorato via satellite… 
Quali sono state le dinamiche di questo boom della produzione afghana? 
Il boom dell’eroina in Vietnam c’è stato con l’inizio della guerra, quello dell’oppio in Afghanistan sempre in concomitanza con l’arrivo degli americani, così come l’impennata della produzione di cocaina in America Latina è iniziata quando il Governo U.S.A. ha stretto accordi con i paesi dell’area. Possiamo credere a semplici imperizie? Inoltre, è una semplice coincidenza il quasi totale azzeramento della produzione dell’oppio nel Sud Est Asiatico a fronte del trend afghano? Il Departimento Administrativo de Seguridad (DAS) della Colombia è da molti indicato come colluso con i cartelli del narcotraffico. Il governo della Bolivia ha espulso gli agenti della DEA con l’accusa di collusione con il traffico di cocaina. Il governo del Venezuela ha più volte denunciato il ruolo ambiguo degli USA. Al di là delle interessate affermazioni di alcuni Paesi latino-americani (che gli USA contro accusano) non c’è dubbio che occorra fare luce, in America Latina come in Afghanistan. 
La Relazione UNODC 2009 sull’Afghanistan parla di un calo delle coltivazioni (-22%) e della produzione (-10%) di oppio nell’anno passato. L’organismo ONU sembra poi sposare tesi “illuminate” su un contrasto accompagnato da opportunità di crescita economica per i contadini e sulla repressione dei pezzi grossi piuttosto che degli anelli deboli della catena. È credibile? 
Pura teoria. Perché tale politica non è stata applicata in Perù, in Bolivia e in Colombia? Riguardo al presunto calo della produzione, non dimentichiamo il vizietto delle Nazioni Unite di enfatizzare le statistiche a breve raggio, anche riscrivendo in aumento i dati dell’anno precedente allo scopo di mostrare un decremento. In ogni caso, anche ammettendo la veridicità dei dati 2008 che indicherebbero una piccola diminuzione, resta l’enormità del passaggio dalle 185 tonnellate di oppio afgano del 2001 alle 7.700 dello scorso anno… 
Come dovremmo quindi affrontare il problema? 
Bisogna innanzitutto creare un osservatorio internazionale indipendente che tratti ed elabori tutti i dati disponibili su produzioni e traffici, vista la contraddittorietà e la scarsa credibilità di quelli forniti dall’ONU. Del resto è singolare che si continui a delegare senza alcuna verifica il monitoraggio internazionale della droga solo alle Nazioni Unite. Solo confrontandosi concretamente con gli aspetti globali del problema, i singoli stati saranno in grado di avviare politiche adeguate e magari anche di comprendere meglio le cause che hanno reso inaffidabili i mercati finanziari e luogo di riciclaggio alcune attività industriali e commerciali. Infine, per combattere in maniera efficace il narcotraffico va superata la semplificazione che inquadra il fenomeno solo come fatto criminale, ignorando le complicità dei governi dei paesi produttori e di transito, ma soprattutto le responsabilità di precisi soggetti che, con la scusa del contrasto, operano per estendere il controllo e l’influenza su aree strategiche dello scacchiere mondiale, di fatto provocando l’aggravamento del
fenomeno ed il dilagare della corruzione. Dovremmo ricordare tutto ciò ai molti politici, tra i quali i nostri, che non formulano proposte organiche e che sanno solo mostrare il pugno duro con i tossicodipendenti e con i piccoli spacciatori. Insomma mi riferisco ai decisionisti contro i deboli ma accondiscendenti e “distratti” con i forti.

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