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Mio padre, Silvio Novembre

Isabella Novembre il . Giovani, Istituzioni, Memoria

“Mio padre era  padre severo per il solo fatto di essere di un esempio”

(Franca Valeri)

Abbiamo accolto con emozione e gratitudine questa iniziativa editoriale che rende omaggio alla figura di papà, attraverso il frutto dei suoi incontri con l’autore e di un lungo lavoro di documentazione e di ricerca.

Il cuore del racconto riguarda la vicenda che ha visto papà a fianco dell’avvocato Giorgio Ambrosoli nella liquidazione coatta amministrativa della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, vicenda in cui ha dato prova di tanti aspetti della sua personalità: coraggio, tenacia, forza d’animo, competenza tecnica, capacità investigative, insieme a umiltà e generosità d’animo. Il tutto pervaso da una certa propensione alla ritrosia che lo ha sempre tenuto lontano dalle manifestazioni pubbliche e dalle luci dei riflettori che accettava solo quando veniva chiamato a ricordare il suo amico Giorgio, assassinato nel luglio del 1979.

Mai, finché le forze glielo hanno consentito, lo abbiamo sentito rifiutare un invito ad un convegno, un congresso, una trasmissione dove gli venisse data la possibilità di rendere omaggio alla sua memoria. Ma più di ogni altra occasione prediligeva l’incontro con i giovani nelle scuole. Era per lui motivo di gioia e di speranza parlare con dei ragazzi che, ben preparati dai loro professori su una vicenda dai risvolti non solo dolorosi, ma anche molto complessi ponevano immancabilmente un’infinità di domande a volte anche scomode e irriverenti, dimostrando curiosità, interesse e capacità di “cogliere il punto”.

Sempre si assisteva a un bellissimo e coinvolgente scambio di energie, da un lato quella della giovanissima età ricca di entusiasmo e di desiderio di sapere e dall’altra quella di chi poteva portare alla loro attenzione un vissuto così profondamente ricco da renderli affascinati e quasi catturati da quello che stavano ascoltando. E sempre rivolgeva loro l’invito a tenersi informati e aggiornati, anche al di fuori di quella che sarebbe stata la loro professione, perché, diceva questo li avrebbe resi migliori nello svolgimento del loro futuro lavoro, oltre che come cittadini.

Giandomenico Belliotti non si è limitato a ripercorrere quegli anni, così cruciali nella vita di papà che ne ha portato le ferite dentro di sé per tutti gli anni seguenti, ma ha voluto ricordare che c’è stato anche un prima e un dopo: un prima che lo ha visto giovane Finanziere impegnato non solo nell’attività di servizio ma anche in un continuo miglioramento della propria formazione, e un dopo con l’impegno nella liquidazione del Banco Ambrosiano (che in qualche modo può quasi essere considerata la naturale prosecuzione del lavoro già svolto), le successive designazioni di Banca d’Italia nella liquidazione di alcune Banche di Credito Cooperativo, il contributo alla nascita del milanese Circolo Società Civile e, come già ricordato, l’attività presso le scuole.

Ci fa piacere ricordare anche quanto grande è stata la gioia che negli ultimi anni della sua vita gli ha dato sentire, forse come mai prima, la vicinanza della Guardia di Finanza. Verso il Corpo non è mai venuto meno il senso di appartenenza nonostante i periodi difficili attraversati che non hanno minimamente scalfito l’orgoglio di aver portato per tanti anni la divisa delle Fiamme Gialle. Già provato dalla malattia, è stato coinvolto in diverse occasioni per portare testimonianza di quale fosse il valore profondo della scelta di servire il proprio Paese.

Come lui stesso ha detto in occasione di un incontro con gli Allievi Ufficiali dell’Accademia di Bergamo voluto dall’allora Comandante dell’Accademia (ora Comandante Generale), dal Consiglio Centrale di Rappresentanza della Guardia di Finanza e coordinato da Mario Calabresi: io ero, sono e sarò sempre un finanziere. Allievi che, al termine dell’incontro sono stati da lui spronati a non avere paura, a non scoraggiarsi e perfino a divertirsi nel fare un lavoro che lui ancora riteneva bellissimo.

Per noi è molto doloroso e insieme molto bello ripercorrere anche le pagine in cui si parla della sua scomparsa. Molto doloroso perché la ferita della perdita di papà è ancora viva e troppo vicina per riuscire ad acquisire una pur minima distanza emotiva dai fatti narrati. Ma anche molto bello, perché perfino in occasione della sua morte nostro padre è riuscito a lasciarci doni preziosissimi.

Per prima cosa una serie commuovente di testimonianze di sincero affetto nei suoi confronti si sono riversate su di noi e ci sono state davvero di grande conforto. Molti episodi ci hanno colpito. Alcune persone ci hanno avvicinato spiegandoci di avere con papà un debito di riconoscenza, per lo più perché li aveva concretamente aiutati in momenti di difficoltà. Circostanze di cui noi naturalmente non sapevamo nulla. Un altro momento fra i tanti: una giovane coppia di sconosciuti è venuta a rendere omaggio a papà alla camera ardente e forse intercettando il nostro stupore o la nostra curiosità ci hanno detto semplicemente che si trovavano per combinazione a Milano e che, appresa la notizia, si erano sentiti in dovere di passare a rendergli omaggio.

E poi la cerimonia per salutarlo. Così stridente il contrasto con i funerali di Giorgio Ambrosoli, in solitudine se non per i parenti più stretti, gli amici intimi e Paolo Baffi (presenza che papà non ha mai smesso di ricordare a chiunque gli chiedesse di quel giorno). Talmente diverso il momento del distacco da farci nutrire, almeno per un attimo, la speranza che forse qualcosa del tanto che è stato seminato da questi due uomini in quegli anni qualche frutto in termini di consapevolezza l’ha pur dato.

In quella chiesa abbiamo visto presenti davanti ai nostri occhi tutti i capitoli della sua vita: la Guardia di Finanza con il suo Comandante Generale, il Generale di Corpo d’Armata Giuseppe Zafarana che non solo ha voluto esserci ma ha anche voluto pronunciare un discorso nel quale lo ha indicato agli allievi presenti come esempio, le parole toccanti di Umberto Ambrosoli vicino a noi insieme alla madre Annalori e alla sorella Francesca, il Procuratore della Repubblica di Milano Francesco Greco, e insieme a lui magistrati della Milano di allora a cui per tanti anni ha fornito insostituibile collaborazione e visi del Palazzo di Giustizia di oggi, Banca d’Italia (che lui tanto ha apprezzato e a cui è sempre rimasto professionalmente e affettivamente legato), il mondo delle associazioni, di Società Civile e di Libera, giornalisti, insegnanti e tanti cittadini che non lo avevano conosciuto personalmente (la Milano che lo amava, ha scritto in un bellissimo articolo Nando Dalla Chiesa).

E ancora la grande famiglia per cui sempre è stato riferimento e appoggio, l’amico di sempre che gli è stato vicino anche negli ultimi istanti rimanendo con noi anche nei momenti più duri insieme a quanti hanno continuato a fargli visita anche negli ultimi difficili anni con discrezione e affetto, e  tutto  il mondo della quotidianità della sua Piazza Grandi, dove ha abitato per quasi mezzo secolo.

In particolare, la nostra tata che si prende cura di noi da oltre trent’anni inconsolabile, i vicini di casa sinceramente addolorati, la custode in lacrime, il barbiere amico da sempre, l’edicolante a cui tutte le mattine stringeva la mano, i ragazzi del bar sotto casa che ogni giorno oltre al caffè fornivano spassosi dibattiti calcistici e commenti gustosi sulla vita della Piazza (e che hanno nel loro bar il Calendario Storico della Guardia di Finanza con un biglietto sopra che dice “Silvio sempre nel nostro cuore”), l’infermiera del centro medico che ci ha mandato un messaggio così dolce e amorevole da farci piangere. Tutte persone che erano lì non tanto e non solo per quello che papà aveva fatto in passato ma per la persona che è stato fino all’ultimo dei suoi giorni, per la sua umanità ricchissima e per l’affetto che ha saputo raccogliere intorno a sé.

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Silvio Novembre. Il coraggio oltre il dovere

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