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La Rai Calabria nella bufera, ma su Condello ritardi inspiegabili

Di Alessio Magro il . Calabria, Dai territori

Il boss “richiama a dovere”, il cronista incauto chiede venia e si mette “a disposizione”. Un biglietto semplice quello di Pasquale Condello: al gr calabrese del 10 giugno 2007 si parla estorsioni da parte della cosca per i lavori sulla Salerno-Reggio, falso. Sembrerebbe una normale richiesta di rettifica, con destinatario un ignoto (per ora) professionista della Rai Calabria. Ma in quell’appunto la minaccia è sottintesa, tanto che il giornalista si affretta a scusarsi via lettera, affidandosi a “canali affidabili e sicuri”. Un carteggio (compreso il biglietto) conservato dal boss in cassaforte.

Nulla di sorprendente per i calabresi, ormai assuefatti alle logiche del sistema ‘ndrangheta. Non sfuggono le istituzioni, non i partiti, gli imprenditori, le forze dell’ordine, la magistratura, evidentemente neanche i giornalisti. Ma la vicenda sconcerta, se non altro per una serie di elementi singolari.
 
-E’ ovvio che dialogare con un latitante non è cosa da poco, sentire l’obbligo di inviare una lettera è il segno del potere mafioso. E ancora cosa nascondono quei “canali affidabili e sicuri”? Si tratta di emissari anonimi, capizona che in città tutti conoscono o rapporti organici? Un’ipotesi inquietante.

-Che la categoria non abbia la schiena dritta non è una novità. Soprattutto in Calabria, dove addirittura c’è chi è passato dalle aule giudiziarie. Ma che la Rai Calabria venga coinvolta in una vicenda del genere alimenta la rassegnazione. La testata giornalistica più autorevole della regione dovrebbe dare l’esempio: l’unica a non avere un padrone (in teoria), in grado di conseguenza di assicurare un’informazione super partes. Una mela marcia va individuata per tempo.

-Pasquale Condello è il Supremo, si vive come capo indiscusso,  tanto che è infastidito dalla definizione di Provenzano della Calabria e dagli altri sicilianismi (pizzini): io sono io, dice. A prima vista, che un boss della sua caratura intervenga per un servizio radiofonico è insolito. Anche se il boss non disdegna il ruolo di giudice nelle controversie popolari. Con una libertà di movimento, evidentemente, che lascia basiti.

-Il boss non teme i riflettori, non ordina il silenzio. Semplicemente rivendica la verità. Un fatto che suggerisce alcune riflessioni: l’interesse dei media rafforza il prestigio delle cosche, le notizie efficaci sono solo quelle che ostacolano gli affari, la stampa è spesso imprecisa e inefficace.

-Si è costruito un giallo che forse non è tale. Il comitato di redazione della Rai Calabria, nel chiedere chiarezza e soprattutto il nome del cronista responsabile,  ha precisato come nel servizio delle 12.40 (e non delle 12.10 come indicato sul biglietto) del 16 giugno non si accenna alla vicenda autostrada. Che Condello si sia sbagliato? L’inchiesta Arca sulle infiltrazioni nei cantieri dell’A3, in effetti, risale al 16 luglio (e non giugno). E c’è anche un servizio radiofonico del gr Rai. Il cui autore è facilmente individuabile.

-La notizia del biglietto è venuta fuori in modo non ortodosso. Quel biglietto è ben custodito insieme agli altri, fino ad oggi non è stato ancora esaminato dagli inquirenti, come sostengono dalla Dda di Reggio. Che venga fuori, per di più senza la lettera di accompagnamento, lascia perplessi. Anche perché senza un nome, a pagare saranno la categoria e l’azienda Rai calabresi, come sottolineano il segretario nazionale dell’Ordine Enzo Iacopino, quello calabrese Pino Soluri, il segretario nazionale della Fnsi Franco Siddi e il segretario regionale Carlo Parisi. Mentre Carlo Verna, segretario nazionale Usigrai, va dritto al sodo dando piena solidarietà alla Tgr. Che sia la Rai calabrese la vittima della vicenda?

Una vicenda che lascia spazio ad altre considerazioni di contesto. L’attenzione di Condello alle notizie, la premura di farsi restituire il biglietto e la cura nel riporlo insieme alla lettera di scuse sono spiegate solo in parte dalla necessità di un latitante ventennale di controllare ogni dettaglio. È un fatto che in provincia di Reggio si respiri aria da guerra fredda di ‘ndrangheta, quanto meno dall’arresto di Peppe Morabito u Tiradrittu nel 2004. E il chiamare in causa i Condello su un affare “fuori zona” può essere letto, forse, come un episodio che disturba la cosca, alle prese con precari equilibri da mantenere in qualche modo. Equilibri ormai saltati dopo la cattura di Condello. Ma forse anche prima: tensioni tra i clan avrebbero indebolito la rete di protezione creata attorno al boss, facilitandone la cattura. Una chiave di lettura che spiegherebbe anche la lunga latitanza del Supremo: altrimenti se un giornalista riesce con facilità a individuare quei “canali affidabili e sicuri”, perché chi di dovere ci ha messo venti anni?

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