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Trump e l’allergia alla democrazia

Pierluigi Ermini il . Giustizia, Istituzioni, Società

Credo che uno dei compiti principali e più difficili che abbia un presidente negli Stati Uniti sia quello di provare a cercare di tenere insieme le popolazioni di stati così diversi tra loro.

La convivenza tra etnie e culture spesso in contrasto e in lotta, è sempre stato uno dei temi sociali più importanti di questa grande confederazione.

50 stati che pur tra le loro distanze, da tanti anni hanno avuto sempre la capacità tutti di riconoscersi nei valori della Costituzione Americana. Dunque è un acceso e forte senso di identità nazionale il sentimento che unisce questo grande paese di oltre 330 milioni di abitanti.

La Casa Bianca sede del Presidente della Repubblica che assomma grandi poteri nella mani di un solo uomo, ma anche Capitol Hill, che ospita l’edificio del Campidoglio, con il Senato e la Camera dei rappresentanti. In un isolato accanto al Campidoglio ha sede la Corte Suprema. Tutti e tre insieme danno vita al Governo Federale degli Stati Uniti

Pur con tante fatiche e diversità, i Presidenti degli Stati Uniti che si sono avvicendati nella storia recente non sono mai venuti meno a questo compito.

Ci sono stati negli anni scontri razziali, rivolte popolari, grandi crisi economiche, ma tutti i Presidenti, sia Repubblicani che Democratici, non sono mai venuti meno a questo impegno.

Cosa che invece non ha fatto Donald Trump.

Dall’inizio della campagna elettorale che sfociò nella sua vittoria quasi 5 anni fa fino a quanto accaduto in questi giorni con l’attacco alla sede del Parlamento, questo presidente ha invece agitato e soffiato sopra la diversità alimentando la spaccatura sicuramente presente nel paese.

Ci sono tanti, anche qui in Italia, che credono veramente che il voto sia stato truccato, che il vincitore sia lui, nonostante la realtà dica altro.

Nessuno li convincerà che lui non abbia vinto, ma la democrazia, con tutte le sue contraddizioni e limitatezze, ha le sue regole. Se non le accettiamo, l’unica cosa che perdiamo è la democrazia stessa.

Così, a coloro che difendono strenuamente un Presidente che ieri a a mio modesto parere, ha commesso un atto di cospirazione, si deve rispondere che, più che di un singolo uomo, dobbiamo fidarci delle regole e delle istituzioni della democrazia.

I cittadini a un certo punto devono avere fiducia nei vari livelli e gradi di decisione (dal più piccolo dei tribunali alla Corte Suprema, dai Governatori di vari stati, fino al Parlamento riunito in seduta comune) che si muovono tutti in una stessa direzione.

I diversi poteri su cui si basa la democrazia rappresentativa, dal popolo che vota, alla Corte Suprema che certifica la correttezza della legalità, al Parlamento che ratifica quanto avvenuto, hanno sancito la vittoria di Biden.

Il tentativo che fa un Presidente di uno stato democratico che giura sulla Costituzione del suo paese, di arroccarsi dentro le mura di un potere che è chiamato a gestire per conto del popolo, soffiando sul fuoco della divisione e della spaccatura, è un atto eversivo e un attacco alla vita democratica.

Il giudizio sul suo operato sarà più chiaro nei prossimi anni. Personalmente credo sia stata una pessima presidenza, con alcuni aspetti positivi.

Sicuramente la ripresa economica nei primi anni del suo mandato, aver fatto emergere le contraddizioni dell’Occidente nei confronti della Cina, e una politica di minor impegno militare nel mondo sono aspetti positivi.

Dall’altro lato non si possono dimenticare il rifiuto di partecipare a una politica ambientale mondiale, il contrasto perenne con l’Europa, la chiusura economica a livello mondiale con l’introduzione di dazi, la ripresa di un conflitto con l’Iran, la destabilizzazione della Nato, l’aver favorito l’acuirsi della questione razziale nel paese, in ultimo la pessima gestione della pandemia, oltre all’egocentrismo che ha caratterizzato la gestione del suo potere.

Trump ha avuto sempre un nemico davanti a se, interno od esterno e la sua è stata una politica di scontro e mai di mediazione.

Dunque la sua è stata fin dalla nascita un’allergia alla democrazia, che in una domenica di gennaio alla fine del suo mandato è emersa in tutta la sua gravità.

Il 20 gennaio Trump uscirà dalla casa Bianca, ma non morirà il trumpismo.

Credo che in una prima fase si sposterà soprattutto in una lotta all’interno del  partito repubblicano, costretto a fare i conti con questa deriva antidemocratica da un lato e il desiderio  invece di un’altra parte, di restare ancorati alle regole che hanno reso forte la confederazione americana.

Trump continuerà ad agitare le acque e le pance delle persone.

A Biden spetta il compito in questi anni di riprendere la linea dei suoi predecessori per cercare di far emergere le cose che uniscono un popolo oltre a rimediare agli altri errori di una presidenza che sta per terminare nel peggiore dei modi.

Un’allergia non curata che è esplosa in tutte le sue contraddizioni.

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