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La strage Chinnici 26 anni dopo

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Il verbale è del 28 luglio del 1997. A firmarlo fu l’ex capo mafia di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca. Racconta di quando, era il settembre del 1982, la cupola aveva deciso di uccidere il giudice istruttore Rocco Chinnici. Dovevano ammazzarlo a Salemi. E non solo per la semplice circostanza che nel paese belicino avesse casa il giudice capo del pool del quale facevano parte giudici come Falcone e Borsellino.

Brusca racconta di un summit presenti gli esattori Salvo, Nino e Ignazio, suo padre e Totò Riina. Una deposizione ripetuta durante il processo a Giulio Andreotti. “Mi chiamarono e mi dissero che dovevano andare a Salemi con i Salvo, perche avrei dovuto “imparare” certe cose”. Brusca chiede notizie più dettagliate. “Devi andare a visionare la casa del dottor Chinnici a Salemi, si deve uccidere il dottor Chinnici”. Il sopralluogo Brusca racconta che fu fatto, lo accompagnò Nino Salvo. “In auto mi disse che il giudice era un pezzo di cornuto, dava fastidio, andava ucciso, che era cosa buona il fatto che si era presa questa decisione, perché Chinnici era contro i Salvo e contro le esattorie”.

Il progetto per uccidere il giudice Chinnici a Salemi va avanti, addirittura Brusca racconta che presero a prova un vetro blindato, dello stesso genere di quello usato nell’auto del giudice, per vedere se era possibile sfondarlo a colpi di mitragliatori e kalanshikov., senza ricorrere all’autobomba.  Brusca però non ha saputo raccontare perché alla fine il progetto omicidiario progettato a Salemi fu messo da parte e si pensò all’autobomba piazzata 26 anni addietro in via Pipitone Federico a Palermo.

Oggi sono diverse le celebrazioni dedicate al giudice Chinnici, ma spesso si finisce col non ricordare le indagini da lui condotte, quelle contro gli esattori Salvo di Salemi. Probabilmente perché alcuni protagonisti di quei tempi sono ancora presenti ed esercitano preciso potere. Eppure era dei Salvo ma anche dei cavalieri Costanzo, imprenditori catanesi, che Chinnici si occupava nelle sue indagini. C’era chi inseguiva la mafia che all’epoca faceva carneficine, Chinnici guardava a quella che aveva cominciato a mettere mani e piedi nell’economia e nella imprenditoria.

In altri termini era la stessa mafia che aveva agganci con la politica. Tanto che fu un giorno Salvo Lima, europarlamentare Dc a convocare il giudice e a contestarli una persecuzione politica contro la Dc per le sue indagini. Un colloquio che si apprese dopo la strage in cui Rocco Chinnici fu ucciso. Fu Paolo Borsellino a riferirlo ai magistrati di Caltanissetta, perché Borsellino fu l’unico a sapere di quel colloquio.

Chinnici andava ucciso e lo avevano deciso i cugini Salvo di Salemi che a Brusca per provare le armi sui vetri blindati avevano dato una delle loro auto, considerato che loro si muovevano con autovetture blindate. Anche per Chinnici i mafiosi ripeterono una frase gelida, quasi a trovare giustificazione al loro operato, “Dio sa che sono loro che hanno voluto farsi ammazzare”.

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