Una targa per Rita Atria
Scegliere di morire a 17 anni. E’ la storia della giovane Rita Atria, testimone di Giustizia, figlia di una famiglia mafiosa di Partanna che aveva deciso di aiutare la giustizia italiana e di allontarsi da Cosa nostra; ma è anche quella di un giudice simbolo della lotta alla mafia fatto saltare in aria da un carico di esplosivo il 19 luglio del 1992.
Quel giudice si chiamava Paolo Borsellino e una settimana dopo la sua morte, avvenuta nella strage di via d’Amelio, la giovane Testimone di Giustizia che viveva in segretezza nel quartiere Tuscolano a Roma, si sentì sola e decise di farla finita. Con Borsellino era finita anche la sua speranza di combattere e la voglia di continuare a vivere. Oggi di fronte quell’aiuola in via amelia a Roma c’è una targa per ricordarla.
L’hanno inaugurata 17 anni dopo quel tragico giorno L’associazione “Rita Atria” presieduta da Nadia Furnari, Don Luigi Ciotti presidente di Libera, alla presenza di Rita Borsellino e Beppe Lumia (Pd) e Angela Napoli (Pdl), Pino Maniaci di Telejato ed altre associazioni.
Solo alcuni mesi fa la cognata di Rita Atria, Piera Aiello, anche lei testimone di giustizia si è trovata in grave pericolo di vita poiché saltata la sua “copertura” a causa di uno strano comportamento di alcuni degli uomini che erano preposti alla sua tutela fra le forze dell’ ordine.
E’ stata Nadia Furnari presidente dell’associazione Rita Atria, da anni in prima linea nelle battaglie di civiltà, legalità e diritti, a ricordare la difficile situazione in cui vivono proprio i testimoni di giustizia in Italia. “Oggi i testimoni di giustizia si sentono abbandonati, lo stesso abbandono che ha trovato Rita alla morte di Paolo Borsellino” ha detto Nadia Furnari. “Abbiamo ricevuto – ha aggiunto Furnari – l’adesione di Giovanni Russo Spena e di Rita Borsellino, che hanno proposto di uniformare in tutta Europa lo status di testimone di giustizia, ma oggi quello che i testimoni chiedono è rispetto della loro dignità nell’essere portati a una nuova vita”.
Nascosta dalle forze dell’ordine ad ascoltare e portare la sua testimonianza anche nel nome di Rita a Roma durante l’inaugurazione della targa c’era proprio Piera Aiello.
Accanto allo striscione ‘Il sangue non copre la verita’ don Ciotti ha inoltre ricordato che: “questa ragazza ha messo in gioco la sua vita e se la sua tomba a Partanna è senza nome, il suo nome qui è scritto ben chiaro. La politica si assuma le sue responsabilità noi facciamo la nostra parte”.
Nadia Furnari ha poi in chiusura letto brani del diario di Rita. “Ho paura – vi si legge – che vincerà lo Stato mafioso. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta”.
Un testamento di vita e di morte che pesa sulle coscienze di tutti. Oggi, ad un passo dalla riapertura delle inchieste per i mandanti esterni delle stragi di Capaci e via D’Amelio pesa soprattutto sulle coscienze di chi sapeva ed ha taciuto. Di chi è stato complice. Di chi è stato persino artefice. Della politica di ieri e di oggi che di fronte a verità così delicate risponde con il silenzio e l’indifferenza. Falcone, Borsellino, Atria morivano per combattere le mafie. Oggi di fronte agli ultimi stralci processuali e deposizioni di collaboratori di giustizia ci si chiede: può lo Stato essere sceso a patti con la mafia che la sua faccia migliore e coraggiosa cercava di combattere?
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