A chi parla Toto’ Riina
Giancarlo Caselli ripercorre anni di lotta a Cosa nostra per
spiegare le esternazioni del capo dei capi. Ecco i pericoli che
rischiano ogni volta i pm quando si occupano di malaffari e politica,
toccando imputati eccellenti.
«I rapporti fra mafia e politica, fra mafia e affari, sono materia
torbida. Per capirlo, per fare una premessa, le cito una frase di
Giovanni Falcone che ho inserito nel mio libro, una cosa che Giovanni
scrisse quando questi richiedeva una legge sui pentiti, non
ottenendola, legge che arrivò solo dopo le stragi: “Se è vero come è
vero che una delle cause principali, se non la principale, dell’attuale
strapotere della criminalità mafiosa risiede negli inquietanti suoi
rapporti con il mondo della politica e con centri di potere
extraistituzionali, potrebbe sorgere il sospetto nella perdurante
inerzia nell’affrontare i problemi del pentitismo, che in realtà non si
voglia far luce sugli inquietanti misteri di matrice politico mafiosa
per evitare di rimanervi coinvolti”.
Questo per dire che i rapporti fra mafia e politica sono un piatto
sporco, e che in questo piatto sporco Riina, con i suoi ultimi
messaggi, ha infilato le sue mani sporche». Questa la premessa. È
indignato, il procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli. Totò Riina
ha utilizzato il momento di attenzione mediatica creatosi subito a
ridosso dell’anniversario della strage di via d’Amelio, e grazie anche
alle continue rivelazioni relative alle dichiarazioni di Massimo
Ciancimino sulla cosiddetta trattativa fra mafia e pezzi dello Stato,
per lanciare messaggi dal carcere di Opera attraverso il suo avvocato.
Messaggi che «non vanno presi nel loro senso letterale », ma che
comunque, pur se nascosti, sarebbero rintracciabili dietro alle parole
del capo di Cosa nostra e perciò destano allarme.
Non a caso a Opera, ieri, si sono recati a interrogare il “capo dei
capi” i magistrati che stanno seguendo il caso Borsellino e
Caltanissetta. «Non è la prima volta che Riina parla da capo di Cosa
nostra – racconta l’ex procuratore di Palermo -. Lo fece già a Reggio
Calabria durante il processo per l’omicidio del giudice Scoppelliti nel
maggio del ’94. In quell’occasione disse testualmente in aula davanti
alle televisioni di mezzo mondo, a “reti unificate” si potrebbe quasi
dire: “Il governo deve guardarsi dai comunisti. Ci sono i Caselli, i
Violante, poi questo Arlacchi che scrive libri. La legge sui pentiti
dev’essere abolita perché sono pagati per fare queste cose”. Anche
allora, al di là della minaccia insita nel rivolgersi a Caselli,
Violante e Arlacchi, voleva dire certamente qualcosa a qualcuno. Non so
a chi. Come allora ancora oggi parla da capo di Cosa nostra, almeno di
una parte, forse dei mafiosi detenuti».
La stagione di Caselli a Palermo è stata fondamentale per la lotta a
Cosa nostra, con centinaia di arresti e condanne e sequestri di
miliardi delle vecchie lire in beni e denaro. Una stagione che è stata
anche quella dei processi “eccellenti”, come quello a Giulio Andreotti
e Marcello Dell’Utri.
«Non dobbiamo mai dimenticare che Falcone e Borsellino, e il pool di
Caponnetto che stava vincendo la mafia spiega Caselli – sono stati
spazzati via professionalmente parlando. Il pool è stato distrutto, un
metodo di lavoro vincente demolito, e Falcone fu costretto a lasciare
Palermo. Tutto questo perché a un certo punto cominciarono a occuparsi
di Ciancimino, dei cavalieri del lavoro di Catania, dei cugini Salvo e
di mafia, affari, politica e istituzioni. Dopo le stragi, anche per noi
finché ci siamo occupati di mafia bene, poi appena cominciammo ad
occuparci di imputati eccellenti iniziarono i vuoti. Nulla di nuovo
sotto al sole».
E i magistrati di Caltanissetta e Palermo che stanno riaprendo capitoli
scottanti come quello delle stragi e quello dei soldi di Ciancimino,
rischiano anche loro?
«Spero che non si ripeti per loro quello che è già avvenuto. Che appena
ti avvicini a determinati livelli prima in maniera sorda poi sempre più
esplicita iniziano le polemiche e sei accusato di questo o di quello.
Spero che non succeda ma purtroppo è successo molte volte». Come
accadde anche a Caselli per il quale venne addirittura confezionata una
legge ad personam, poi risultata anticostituzionale, per impedirgli di
concorrere alla procura nazionale antimafia.
Tratto da: terranews.it
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