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Fnsi, si continua la battaglia
Rodotà: i cittadini devono poter valutare la realtà

Di Stefano Fantino il . Progetti e iniziative

Rinviato lo sciopero previsto per oggi, la Fnsi ha invece ospitato
un dibattito sul tema della libertà di informazione, dando ampio spazio
all’intervento del giurista Stefano Rodotà, dal 1997 al 2005 presidente
dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali.

Il segretario Franco Siddi ha precisato che la scelta della Federazione
di revocare lo scioperò è stata dettata dallo slittamento in fase
istituzionale delle votazione per il Ddl Alfano, sottolineando la battaglia
e le prese di posizioni in queste settimane per «difendere il diritto
dei cittadini a informarsi, diritto gravemente messo in discussione
dal Ddl Alfano». 

 

Una questione di democrazia 

«Siamo spesso prigionieri di meccanismi di difesa di cose che non
dovrebbero nemmeno essere messe in discussione». Così ha esordito
il professor Rodotà mettendo in luce come la libertà di informazione
e il pluralismo siano, di per sé elementi fondanti di ogni democrazia
in quanto tale. E lo fa dando una definizione condivisibile di regime
democratico: «un contesto in cui i cittadini hanno contatti con il
maggior numero di opinioni possibili». Da semplice osservatore quale
si professa, non può, lo ammette lui stesso, dire che questo ideale
democratico si incarni nel servizio pubblico ad esempio, «da troppo
tempo interpretato come un filtro con la scusa del generalismo, come
se fosse una tv per eterni minorenni». Mentre non sarebbe male che
questio di rigida attualità, importanti campi per l’intera cittadinanza,
fossero affrontati sotto prospettive più varie. «Meno incidenti automobilistici,
più pluralismo sui temi scottanti», chiosa deciso Rodotà.

L’informazione contro la “vacanza morale” 

In questo contesto, democratico e politico in senso lato, si insinua
il ddl Alfano, capace di «rendere più difficle una funzione fondamentale
del giornalismo, quella di informare le persone per costruirsi una opinione».
Per questo il giurista sottolinea con forza l’impatto negativo del pacchetto
Alfano non solo nei confronti della professione giornalistica in quanto
tale, fortemente menomata, ma verso tutta la popolazione che vede sparire
la possibilità di “formarsi” tramite la stampa, «quasi un dovere
in un momento in cui sull’agenda politica si discutono situazioni gravi
e importanti, che necessitano di una opinione pubblica informata e cosciente
del proprio ruolo di controllo».

La mancanza di tutto ciò porterebbe a quella “vacanza morale”,
dice Rodotà citando Primo Levi, dove le persone «si sentono liberate
dall’etica pubblica, incapaci e nolenti a rispondere ai propri pubblici
doveri».  Lo dimostra,dice Rodotà chiudendo parte del suo intervento,
quanto avvenuto nel caso del governatore della banca d’Italia Fazio.
Comportamenti a volte  «non penalmente così rilevanti ma di grave
responsabilità pubblica, dato che non tutto deve essere ricondotto
solo al codice penale». 

Censura in nome di una finta privacy  

«Alla stampa compete la possibilità di instillare l’esercizio critico
nei lettori, deve continuare a dare informazioni e non sono credibili
gli inviti di molti a cercare solo nel web  la possibilità di
tenersi aggiornati». Rodotà analizza le tre principali cause di condizionamenti
per la stampa, suddividendole in economiche, politiche e di censura
in quanto tale. Ora se le prime due fanno riferimento alla concentrazione
di proprietà e di spot, e all’ingerenza nel mondo editoriale della
politica, ebbene la terza sfera è fortemente condizionata dal nuovo
ddl in discussione.

La motivazione addotta, la privacy, è per Rodotà poco convincente.
Esistono già norme deontologiche per punire gli abusi e soprattutto
va rimarcato come la privacy di un personaggio pubblico, ad esempio
un politico,  deve rendere conto dell’operato in nome di una condotta
morale confacente ai propri compiti. Le intercettazioni devono circolare
se possono «informare i cittadini sull’operato della politica». Del
resto, conclude Rodotà, esistevano già anni fa accordi di massima
su come gestire le intercettazioni, delegando ai pm, «la necessaria
cernita per eliminare dalle intercettazioni le persone non collegate
alla vicenda in questione». Ma l’attuale meccansimo non incide su questo
aspetto e diventa un «mero meccansimo censorio dando nelle mani degli
editori, minacciati dalle multe, un forte argomento per calmierare il
lavoro dei giornalisti». 

Libertà di stampa, una battaglia di pochi? 

Dopo il lucido intervento di Rodotà si è animato un dibattito,
che ha visto operare davanti a un pubblico purtroppo molto esiguo esponenti
dell’ordine, dei sindacati e anche politici. Rimane una incognita questa
battaglia, sottolinea il presidente dell’Ordine Iacopino, «se dopo
500 mail di colleghi romani che chiedevano cosa organizzavamo contro
il ddl, qui se ne vedono pochissimi». Più deciso Giulietti, deputato
e portavoce di Articolo 21, che invita a non arretrare, sottolineando
come se questo fosse un ddl a tutela del cittadino questo non sarebbe
il modo di farlo. Ma, sottolinea Giulietti, «è l’ennesimo modo di
tutelare un risicato numero di persone. E plaudo a Napolitano che sebbene
criticato, ha posto uno stop che permetterà di lavorarci sopra». «Se
non ci sarannò cambiamenti, daremo battaglia – chiosa Giulietti –
e anche come associazione daremo assistenza a chi vuol continuare a
fare il proprio lavoro». Gli interessi di pochi, come sottolinea Guido
Columba, stanno portando via il sale della vita democratica e del dibattito.
A molti interessa a parole, a pochi nei fatti concreti. Ma è una questione
che tocca tutti. 
 

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