Una sola maglia “Black lives matter” contro razzismo e violenza
Ancora una volta è lo sport a dare l’esempio contro il razzismo, le violenze e le ingiustizie.
Nessun tiro. Non si gioca. Si indossa una sola maglia quel del “Black lives matter”, il tanto che basta per dire basta.
Basta razzismo, basta violenze, basta ingiustizie contro chi ha una pelle diversa. Lo sport questa volta non si è tirato indietro. Anzi, in America, ha fatto un passo in avanti.
I primi a non scendere in campo per protestare contro le pallottole della Polizia a Kenosha, nel Winsconsin, che hanno lasciato per ora paralizzato il giovane afroamericano Jacob Blake, sono stati gli atleti della Nba. La protesta poi si allargata al tennis, nel baseball MLB, al calcio MLS e basket femminile WNBA.
NBA, Bucks, l'annuncio dei giocatori: "Noi non giochiamo"#SkyNBA #NBA @skysportnba pic.twitter.com/2eeUgstEKc
— skysport (@SkySport) August 27, 2020
Ancora una volta è lo sport a dare l’esempio. Oggi come ieri. E non importa se giochi in attacco, sei in panchina, corri veloce, salti in lungo o in alto. Non conta da quale parte del campo stai: le storie dello sport escono dal perimetro di un palazzetto, stadio o velodromo. Sono storie che possono rappresentare un riscatto, una salita veloce nell’olimpo degli dei oppure una caduta nell’inferno dei compromessi.
Un guanto nero in un pugno chiuso e il capo chino, come Tommie Smith e John Carlos sul podio dell’Olimpiade 1968 di Città del Messico, una protesta contro la discriminazione dei neri entrata nella storia; o i chilometri “clandestini” di Kathrine Switzer alla maratona di Boston il 19 aprile 1967, che si registrò con la sola iniziale del nome per aggirare i regolamenti che impedivano alle donne di partecipare.
Tommie Smith and John Carlos took a stand against racism and discrimination, wearing black gloves while raising their fists during their 200-meter medal ceremony at the 1968 Olympics. pic.twitter.com/PO80tYdZTE
— ESPN (@espn) August 27, 2020
Gesti di coraggio, esempi così potenti da cambiare le regole del gioco, da mettere in crisi razzismi e discriminazioni. Capita quando, insieme al corpo, entra in azione anche la volontà di andare oltre. Lo sport afferma che siamo persone con uguali diritti. Uno sopra ogni altro: il diritto di sentirsi tutti sulla stessa linea partenza. Senza distinzioni: vale per il colore della pelle, il genere, l’età, la classe sociale di appartenenza. Lo sport manda messaggi universali. Aiuta a non far crescere con l’odio nel cuore.
È democratico, lo sport. Non conta da dove vieni. Conta chi sei nel momento in cui scendi in un campo. Non è un caso se proprio attraverso lo sport Libera affronta percorsi di rieducazione con minori che hanno commesso reati. Il terreno d’incontro più immediato è il giocare insieme, che sia calcetto o pallavolo. O quando ci riprendiamo i beni confiscati con tanti ragazzi e ragazze che corrono la staffetta non agonistica stringendo tra le dita un testimone speciale: un pezzo di legno di una barca arrivata a Lampedusa.
Vogliamo dare concretezza alla bellezza dei percorsi sportivi che regalano libertà, cittadinanza, solidarietà, comunità.
Vogliamo tornare a innamorarci di valori e di piaceri che si imparano già da bambini. E che potrebbero restare patrimonio di ognuno se questo Paese scegliesse di sostenere, investire, credere che in quel campetto in cui si sgambetta da piccoli o in quel canestro da centrare, in quelle rotelle tolte finalmente dalla bicicletta per la prima pedalata da “grandi”: in tutti quei momenti c’è un tesoro che sarebbe un peccato civile non sfruttare. Per comunicare in una lingua familiare a chiunque, per imparare che cosa significhi sentirsi parte di una squadra, che è il miglior antidoto contro il razzismo, il bullismo, la violenza e la solitudine dei giovani.
La nostra partita è già iniziata. Ma per vincere, giochiamola insieme, anche con gli atleti americani.
* Responsabile Libera Sport
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