Calabria, l’altro virus si chiama ‘ndrangheta
La Direzione investigativa antimafia mette in guardia rispetto ai rischi di ulteriore avanzamento della criminalità mafiosa in un contesto “post-bellico” come quello attuale e con tanti appuntamenti elettorali alle porte. Massafra (Cgil): “Lotta a mafie e corruzione sia pilastro della ripartenza del paese”
“Qui se lo Stato non si muove a fare qualcosa di serio la ‘ndrangheta si prenderà tutto”. Sono parole che pesano come pietre quelle scelte nell’intervista rilasciata a Collettiva dal giornalista Michele Albanese, cronista calabrese costretto da anni a vivere sotto scorta, proprio per il suo impegno contro la criminalità mafiosa. Ma le parole di Albanese non si discostano poi molto da quelle contenute nell’ultima relazione della Dia, la Direzione investigativa antimafia, che parla del periodo successivo al lock-down come di un contesto “post-bellico” nel quale “le organizzazioni mafiose tenderanno a consolidare sul territorio il proprio consenso sociale, attraverso forme di assistenzialismo da capitalizzare nelle future competizioni elettorali”.
In Calabria saranno 77 i comuni chiamati al voto il prossimo 20-21 settembre (in concomitanza con il referendum sul taglio dei parlamentari) e tra questi ci saranno anche due capoluoghi, Crotone e Reggio Calabria. Il tutto in un contesto che Luigi Veraldi, responsabile legalità per la Cgil regionale, definisce prossimo al “disastro sociale”. “Qui ancora non siamo usciti dalla crisi del 2008 – spiega il sindacalista – e ci trasciniamo dietro un esercito industriale di riserva di circa 27mila persone, mentre l’Istat certifica che il numero famiglie calabresi in povertà assoluta si attesta su livelli nettamente superiori al resto del Paese”. Ora, con gli effetti del coronavirus, la lacerazione sociale rischia di essere ancora più evidente “e la ‘ndrangheta – sottolinea il sindacalista – si candida a svolgere un ruolo di dominus negativo estremamente potente”.
Sono molteplici, secondo Veraldi, i terreni su cui la criminalità tenterà di conquistare nuovi spazi di potere. Il primo è senza dubbio la sanità, che vale il 70% del bilancio regionale e che vede già, attualmente, due aziende provinciali (Asp) commissariate per mafia: quella di Reggio Calabria, sciolta a marzo e il cui commissariamento è stato prorogato di altri 6 mesi, e quella di Catanzaro, commissariata nel settembre 2019 e fino al 2021. “Dall’omicidio Fortugno in avanti – osserva ancora Veraldi – le pressioni della ‘ndrangheta sulla sanità pubblica sono state costanti, ma ora il pericolo è massimo, visto l’arrivo di nuove e importanti risorse dall’Europa”.
E proprio in vista di un’iniezione di risorse che non ha precedenti, non solo in sanità, ma anche, ad esempio, nel settore delle infrastrutture e degli appalti pubblici, la Cgil regionale, che ha recentemente presentato un articolato “Piano per lo sviluppo e il lavoro per la Calabria”, indica nella tracciabilità dei flussi finanziari un elemento imprescindibile. “Il pericolo – insiste Veraldi – è che enormi quantitativi di denaro pubblico non producano lavoro stabile e regolare, ma finiscano nelle mani di soggetti ‘ndranghetisti o collusi. Per questo chiediamo nuove modalità di tracciamento dei finanziamenti, che non si esauriscano nei tradizionali protocolli di legalità, che spesso arrivano quando la frittata è già fatta”.
Ma in periodi di emergenza, si sa, le parole d’ordine spesso sono “fare in fretta” e “sburocratizzare”. Parole “pericolose” secondo Maria Antonietta Sacco, vicepresidente nazionale di Avviso Pubblico, la rete degli enti locali contro le mafie, perché “è proprio nell’assenza di regole che sguazzano le organizzazioni criminali”. Sacco è consigliera comunale a Carlopoli, un piccolo comune della provincia di Catanzaro: “Guardiamo ad esempio – dice – a quello che è successo con i buoni spesa distribuiti nell’emergenza Covid. Nel mio comune, che è molto piccolo, sappiamo benissimo chi sono le persone realmente bisognose per evitare, comunque, qualsiasi abuso, abbiamo espressamente indicato (nell’avviso pubblico relativo all’erogazione dei buoni spesa) che la documentazione prodotta dai beneficiari sarebbe stata oggetto di controlli da parte delle autorità preposte, nonchè trasmessa alla Guardia di Finanza ed ai Carabinieri, ma in quelle amministrazioni infiltrate o colluse con la ‘ndrangheta, come ha osservato anche il procuratore Gratteri, c’è il rischio che quei soldi, gestiti in piena autonomia dalle amministrazioni, siano andati ad alimentare clientele, creando credito sociale e consolidando vecchi e nuovi rapporti con le ‘ndrine, che torneranno utili per la campagna elettorale”.
Per comprendere di cosa parla Sacco può essere utile dare un’occhiata alla mappa delle amministrazioni sciolte per mafia che proprio Avviso Pubblico ha realizzato e che rende l’idea di quanto le istituzioni calabresi, in particolare quelle dell’ultima punta dello Stivale, siano state schiacciate da una crescente pressione mafiosa nel corso degli anni.
Attualmente, gli enti commissariati per mafia in Italia (ex articolo 143 del Tuel, il testo unico degli enti locali) sono 54. Di questi, 24, sono in Calabria. Si tratta delle due già menzionate aziende sanitarie e di 22 Comuni: Brancaleone (Rc), Cirò Marina (Kr), Scilla (Rc), Strongoli (Kr), Limbadi (Vv), Platì (Rc), San Gregorio d’Ippona (Vv), Briatico (Vv), Siderno (Rc), Crucoli (Kr), Casabona (Kr), Delianuova (Rc), Careri (Rc), Palizzi (Rc), Stilo (Rc), Sinopoli (Rc), Africo (Rc), San Giorgio Morgeto (Rc), Amantea (Cs), Pizzo (Vv), Cutro (Kr) e Sant’Eufemia d’Aspromonte (Rc).
“Una penetrazione così profonda della ‘ndrangheta nelle istituzioni pubbliche indica l’esistenza nella nostra regione una sovrastruttura di potere che ha largamente compromesso il sistema democratico – afferma ancora Sacco – una sovrastruttura costituita da un intreccio tra criminalità mafiosa, massoneria deviata e interessi economico-finanziari, come l’ultima imponente inchiesta della magistratura calabrese, Rinascita Scott, (“la più grande operazione antimafia dopo il maxi processo di Palermo”, l’ha definita il procuratore Gratteri) ha messo chiaramente in luce”.
Di fronte a questa rete di “potere criminale” gli amministratori onesti, così come la parte sana della società civile, si trovano spesso schiacciati da quel senso di impotenza e di ineluttabilità che lo scrittore e poeta calabrese Corrado Alvaro descriveva perfettamente già 60 anni fa: “La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società – scriveva – è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”. E allora, l’unico antidoto possibile diventa la costruzione di una rete alternativa, perché, come osserva ancora Maria Antonietta Sacco, è lo stare insieme – amministratori, forze dell’ordine, magistratura, impresa, professionisti, giornalisti, sindacato – che fa crescere gli anticorpi e scaccia la rassegnazione.
È esattamente questo lo spirito con cui un vasto cartello di associazioni, sindacati, cooperative e reti (tra cui Libera, Avviso Pubblico, Legambiente, Arci, Cgil, Cisl e Uil e molte altre) ha dato vista al manifesto #Giustaitalia, un “patto per la ripartenza” dopo l’emergenza Covid, basato su diciotto proposte concrete rivolte al Governo e al Parlamento per rilanciare l’economia, abbattere le disuguaglianze sociale, combattere le diverse forme di povertà.
“L’Italia – scrivono le associazioni nel Manifesto – può ripartire davvero, dopo il lungo isolamento a cui è stata costretta dalla pandemia del Covid 19, solo se non si commettono gli errori del passato. Quelli che hanno trasformato ogni emergenza, dai terremoti alla gestione dei rifiuti fino al dissesto idrogeologico, in una nuova opportunità di arricchimento e di crescita del potere delle mafie e, più in generale, di quei sistemi criminali fondati sul disprezzo delle regole, la corruzione, l’accumulazione illecita di profitti, che già condizionano la nostra democrazia”.
“Purtroppo nel nostro paese l’unica attività che non va mai in crisi è quella della criminalità mafiosa – osserva Giuseppe Massafra, segretario confederale della Cgil nazionale – Sia in contesti deprivati, che in quelli più ricchi e sviluppati, la ‘ndrangheta in particolare, ma tutte le mafie hanno dimostrato di essere capaci di compromettere sistemi economici, sociali e pubblica amministrazione. Si tratta di un fenomeno che mantiene saldamente le sue radici nelle regioni di tradizionale insediamento mafioso, ma che ha da molti anni rilevanza nazionale e internazionale. Lo dimostra chiaramente il fatto che i principali processi contro la ‘ndrangheta negli ultimi anni, oltre che in Calabria, si sia svolti in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna”.
Secondo Massafra, dunque, è tutto il Paese, ad essere chiamato alla massima attenzione in una fase in cui, come sottolineano le autorità competenti, il rischio di nuove e profonde infiltrazioni è altissimo, anche in virtù delle ingenti risorse europee che saranno rese disponibili, in particolare nel Mezzogiorno. Da qui la preoccupazione, da parte del sindacato, per quegli interventi di “semplificazione normativa” che vengono invocati da più parti per la ripartenza. “Faccio riferimento ad esempio – continua il segretario Cgil – all’ultimo decreto Semplificazioni, che interviene sul delicato sistema degli appalti: seppure l’idea di snellire la procedure sia certamente condivisibile, pensare di allentare le norme di prevenzione e contrasto rispetto ai fenomeni criminali (codice antimafia, durc, etc.) rischia di dare nuova linfa alle mafie”.
Al contrario – secondo la Cgil – questo è il momento di dare segnali chiari: “Accanto all’enorme lavoro delle procure – afferma ancora Massafra – particolarmente intenso negli ultimi mesi, serve un impegno istituzionale, dal livello locale fino al governo centrale, senza precedenti. Il tema della lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione deve divenire il pilastro fondamentale su cui fondare la ripartenza del paese. Altrimenti – conclude – qualsiasi ipotesi di rilancio economico e sociale non sarà altro che una falsa ripartenza”.
* Fonte: Collettiva
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