Alpi-Hrovatin, dopo L’Espresso la Procura di Roma come procederà?
E’ una buona notizia quella annunciata da Andrea Palladino sull’Espresso di ferragosto. Potrebbe accadere che questo tassello induca finalmente la Procura di Roma che ha l’inchiesta da quasi 27 anni a iniziare un percorso per verificare i moltissimi indizi le ipotesi documentati che si sono accumulati per trasformarli in eventuali prove e procedere a fare giustizia.
Anche la CIA, dunque, inizia a desecretare documenti relativi alla missione internazionale di pace in Somalia “Restore Hope” delle Nazioni Unite: UNOSOM I e UNOSOM II (1992-1994). Le prime informazioni sembrano confermare e aggiungere elementi a quanto abbiamo sostenuto fin dai primi giorni di quella tragica domenica 20 marzo 1994.
Sappiamo che finora è successo che anche le prove sono state cercate e trovate da chi in questi anni, giornalisti e no, ha lavorato a fianco di Luciana e Giorgio Alpi e anche dopo la loro morte in questa ricerca senza arrendersi mai. E’ vero che era già tutto chiaro fin dall’inizio ma c’è stato e c’è un lavoro meticoloso appassionato di molte persone che via via trovano documenti testimonianze a conferma o meno di ipotesi e convinzioni. Due esempi: l’individuazione del falso testimone e l’intervento poi della Procura di Perugia che in data gennaio 2017 sentenzia l’innocenza e la conseguente scarcerazione di Hasci Omar Hassan dopo 17 anni di carcere innocente! La testimonianza di Armando Rossitto medico della nave Garibaldi che stilò il certificato di morte (sparito per molto tempo: per poter costruire le perizie più fantasiose e false con le quali negare l’esecuzione). Lo abbiamo sentito leggere con commozione quanto scritto nel suo diario di quel 20 marzo 1994, venticinque anni dopo nella sede autorevole della Camera dei Deputati.
Sappiamo però che ci sono state altre due richieste di archiviazione (giugno 2017 e febbraio 2019) senza tener conto di prove certe! Il Gip dottor Andrea Fanelli le ha respinte condividendo però molte delle argomentazioni presentate dalla Procura di Roma.
Sappiamo che il movente del duplice delitto di Mogadiscio è chiaro noto e anche riconosciuto dalle istituzioni della giustizia (come quasi per ogni strage o delitto). E’ altrettanto chiaro che arrivare a esecutori e mandanti è ugualmente difficile. Perché? Se andiamo a verificare caso per caso da lontano e da vicino ci accorgiamo che le modalità per occultare e/o inquinare prove, far sparire documenti, testimoni depistare… sono identiche. C’è forse una “organizzazione speciale” che ritroviamo sempre e che starà in quel “mondo di mezzo” torbido che vogliamo far emergere.
Chi sono, chi li dirige, chi li finanzia e che cosa hanno o vogliono in cambio.
Sappiamo che “Guardando tutto ciò che è successo prima durante e dopo quella domenica maledetta e fino ai nostri giorni, questi giorni, si può sostenere che l’esecuzione di Ilaria e Miran (le sue modalità nel contesto italiano somalo e internazionale) può considerarsi un esempio di come nei fatti concreti si è potuto non solo costruire bugie di ogni tipo e depistare fin dai primi giorni ma far passare la menzogna come la verità e poterlo fare impunemente.” (abbiamo scritto nel decennale della morte del papà di Ilaria).
Abbiamo svelato bugiardi di ogni risma, indicato depistaggi e depistatori. Abbiamo sfidato, combattuto chi ha contrastato il nostro lavoro anche chi ritenevamo “amici”. Non dimentichiamo quanto hanno scritto Luciana e Giorgio nel finale della lettera prefazione al libro L’esecuzione “Cara Ilaria… Sappi, tesoro, che tante persone ti hanno tradito, hanno cercato di rendere difficile ogni ricerca della verità. Un bacio, mamma e papà” Era gennaio del 1999: nell’estate si celebra il primo processo contro Hashi Omar Hassan che è assolto perché senza prove e considerato un “capro espiatorio”. Ma poi sarà condannato in tutti i gradi di giudizio successivi.
Sappiamo già con dovizia di particolari che cosa ha fatto Ilaria anche in quella settima missione fatale. Sappiamo che aveva annunciato che aveva cose grosse e prenotato il servizio per il TG3 per la sera del 20 marzo. Sarebbe stato l’unico!
Sappiamo che tre sono i filoni d’indagine di Ilaria in quelle sette missioni e in Italia prima e nelle pause: malacooperazione: “1.400 miliardi di lire: dove è finita questa impressionante mole di denaro?…” (è scritto in un suo appunto insieme a molte altre informazioni) c’è una copiosa documentazione; traffici di armi (c’è un mare di documenti da subito e raccolti nel tempo); c’è un collegamento diretto possibile con la cooperazione internazionale perché questo traffico e forse altro si consuma utilizzando la flottiglia di pescherecci della Shifco, donati dall’Italia alla Somalia ma anche con attività fuori dai confini italo somali; traffico per lo smaltimento di rifiuti tossici nocivi in stretta connessione con quello delle armi per il riferimento possibile a scorie nucleari e radioattive e per l’esistenza di accordi criminosi per cui tutte le fazioni somale in guerra tra loro accettavano e forse accettano ancora rifiuti in cambio di armi (ci sono tracce in informative e documenti fin dal 1992 e 1993).
La Procura di Asti con il dottor Luciano Tarditi se ne è occupato con serietà così come altre Procure (es. Reggio Calabria e Paola). Si tratta di indagini di cui conosciamo la copiosa documentazione (l’Espresso ne dà ampia informazione negli anni della commissione d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (2004/2006) e fino almeno al 2008. Quando la commissione bicamerale d’inchiesta sulla cooperazione interroga Marocchino a Mogadiscio (missione dal 29 al 31 gennaio 1996) a proposito dei progetti “Urano1” e “Urano 2” sulle scorie nucleari da interrare anche in alcune zone della Somalia riceverà una risposta positiva: “So di questi progetti, ho sentito voci sul fatto che venissero scaricate nel nord della Somalia perché lì vi sono posti adatti ma non so se l’operazione è andata a buon fine”. C’è una lettera “d’intenti” in proposito a firma Giancarlo Marocchino, Ezio Scaglione, Guido Garelli.
Sappiamo che quei tre filoni si collocano in un contesto somalo di guerra tra i signori della guerra dopo la fuga nel gennaio del 1991 di Siad Barre sanguinario dittatore foraggiato e sostenuto dall’occidente non solo dall’Italia. Un contesto complesso in cui dopo quasi due anni interviene una missione internazionale di pace, “umanitaria” decisa dall’ONU il 3 dicembre 1992 (risoluzione 794): si chiamerà “Restore Hope”. La coalizione (che coinvolgerà fino a 27 paesi) è al comando USA con il generale dei marines Robert Johnston che sbarca per primo in Somalia (il 9 dicembre 1992) in modo spettacolare davanti alle TV di tutto il mondo: una risposta allo shock delle immagini di donne e bambini allo stremo per fame malattie, ferite…violenze di ogni tipo: una tragedia entrata in tutte le case.
Quando Ilaria arriva in Somalia per il primo viaggio (20 dicembre 1992/ 10 gennaio 1993) era appena giunta una parte del nostro contingente militare come deciso dal Parlamento.
Sappiamo che l’adesione dell’Italia a “Restore Hope” non è gradita dagli americani, dall’ONU e neanche dai signori della guerra: si capisce subito anche per il fatto che l’Italia non viene investita di nessun ruolo di responsabilità nel comando della missione nonostante sia seconda agli USA come impegno militare: al comando il generale Giampiero Rossi e la nostra operazione sarà denominata “Ibis”. I rapporti non sono buoni e peggiorano quando nel maggio 1993 la nuova presidenza a Washington decide di ridurre la presenza USA e di lasciare solo una forza di rapido intervento (Quick Reaction Force). La direzione politica viene assunta da un ammiraglio a riposo Jonathan Howe e il comando militare a un generale turco Cevik Bir: da “Restore Hope” a “Continue Hope”. Il comando italiano (Italfor) viene trasferito alla Folgore con a capo il generale Bruno Loi. Ibis diventa Ibis 2. Loi resterà al comando fino al 6 settembre quando arriverà il generale Carmine Fiore. Non riuscivo a capire perché c’era un così diverso rapporto di Ilaria con questi due generali, “del generale Bruno Loi Ilaria si fidava…” raccontavano Luciana e Giorgio. Studiando i documenti di Unosom, dell’ONU e degli USA oltre che i nostri ho capito perché sono rimasti segreti per un bel pezzo e perché dell’atteggiameno diverso di Ilaria.
La strategia italiana con Loi fu quella di essere il più coerente possibile con gli obiettivi e le regole della missione e dell’ingaggio e cioè: non parteggiare per questo o quel signore della guerra, mantenere un ruolo pacificatore, requisire le armi favorire il dialogo…estrema cautela nell’uso delle armi aiutare a costruire la pace.
Impegno strategico difficile perché gli americani avevano scelto invece di perseguire con determinazione la cattura o la morte di Mohammed Aidid come condizione per la pacificazione della Somalia (Aidid controllava la parte Sud di Mogadiscio e con notevoli mezzi militari). Ciò comportò scegliere di appoggiare Ali Mhadi che controllava la zona a Nord di Mogadiscio e si era già proclamato presidente della Somalia. Non possiamo qui raccontare di più di questa missione il suo svolgimento, i morti le conseguenze il suo fallimento: ma lo si dovrà fare.
Sappiamo che i fatti tragici del 3 ottobre 1993 citati sull’Espresso (si era già insediato Carmine Fiore) in seguito all’abbattimento di due elicotteri Apache USA e allo scempio del cadavere di uno dei piloti ci fu una rappresaglia e un combattimento che provocò un centinaio di morti di Unosom e oltre mille Somali. Ma prima ancora ci furono altri episodi come quello noto del checkpoint pasta 2 luglio 1993 (3 soldati italiani muoiono, 22 sono feriti, 67 somali morti): non è ancora chiaro quello che è successo. Il 12 luglio la Quick Reaction Force USA bombarda massicciamente il quartiere e l’abitazione del ministro di Aidid con lo scopo di catturarlo o di ucciderlo insieme allo stesso Aidid che però si salva o non era lì. E’ strage: muoiono 70 forse più somali e centinaia sono i feriti. Tra i giornalisti accorsi per documentare questi fatti c’è anche Ilaria con il suo operatore Alberto Calvi. La folla assale violentemente i giornalisti (tre fotografi Hansi Craus, Hos Maina, Dan Eldon e il tecnico del suono Antony Macharia sono massacrati e i corpi, dilaniati, vengono trovati molte ore dopo). Ilaria si salverà.
Scrive il generale Loi nel libro “Peace Keeping – pace o guerra? Una risposta italiana: l’operazione Ibis in Somalia”: “L’italiana Ilaria Alpi sfuggiva miracolosamente alla stessa sorte, non senza aver procurato allarme al comando del contingente al quale era giunta notizia della sua scomparsa. La sera a cena ebbi l’opportunità di approfondire la conoscenza di questa brava giornalista, che sarà uccisa a Mogadiscio il 20 marzo 1994; mi parlò del suo lavoro, delle sue prospettive e delle sue aspirazioni. Una professionista seria e indipendente, un carattere forte e coraggioso.”
Sappiamo che dopo questo 12 luglio insanguinato gli USA chiederanno la sostituzione del generale Loi.
Sarà interessante e utile leggere i documenti della CIA su questa missione: aiuterà a svelare molte cose ancora sconosciute su quel che accadde in Somalia in quel periodo (compreso lo sbarco di 350 marines a Bosaso l’8 luglio 1993) e forse anche a Ilaria e Miran.
Sappiamo che le armi anche di una certa dimensione circolavano ampiamente e sappiamo anche che Aidid era forse il Signore della guerra militarmente più forte non solo per le armi ma anche per la strategia: capace di utilizzare tutti gli spiragli che si aprivano potenzialmente a suo vantaggio.
Sappiamo anche che Giancarlo Marocchino è titolare della società SITT dal 1984 e che Ahmed Duale è il suo socio (di lui si è avvalso Marocchino, per la commissione d’inchiesta (!) per portare la macchina forse taroccata e fatta passare come quella su cui viaggiavano Ilaria e Miran al momento dell’uccisione. Che la SITT avesse un deposito di materiali vari e anche di armi che forniva a chi pagava è noto.
Sappiamo (e la nota CIA potrebbe essere un elemento di conferma e di ulteriore comprensione) che Giancarlo Marocchino è stato arrestato ed espulso dalla Somalia dall’Unosom il 30 settembre 1993 e che, solo per intervento delle autorità italiane, è stato in qualche modo “salvato” portandolo in Italia con un volo militare. Il motivo dell’arresto: traffico di armi e favoreggiamento del generale Aidid e un’altra accusa molto grave: che in una delle azioni di rastrellamento (così si chiamavano) dalla sua abitazione sarebbero partiti spari ripetuti contro le forze di Unosom. In Italia si raccolgono diversi documenti (segretissimi!) che consentono alla Procura di Roma di aprire un procedimento contro Marocchino PM dott. Saviotti.
Sappiamo anche però che mentre l’inchiesta prosegue, autorità italiane comunicano al generale Howe comandante di Unosom che l’inchiesta su Marocchino in Italia è archiviata e quindi si può far tornare Marocchino a Mogadiscio: è il 22 dicembre 1993. Marocchino in gennaio 1994 sarà già a Mogadiscio. Era falso che c’era stata archiviazione. La richiesta fu fatta ad aprile 1994 (dopo l’uccisione di Ilaria e Miran) e il gip dott. Macchia dispose l’archiviazione ad aprile 1995. Perché il comando militare e diplomatico fa carte false per far rientrare Marocchino a Mogadiscio?
Sappiamo, come ricorda Palladino, che Marocchino è un personaggio chiave per l’inchiesta sull’esecuzione di Ilaria e Miran: fu lui il primo ad arrivare sul luogo dei delitti o forse era già lì. Non avrà responsabilità dirette ma di certo sa che cosa è successo a Ilaria e Miran. Accompagnerà come un’ombra tutte le fasi dell’inchiesta, non sarà considerato mai un testimone ma un collaboratore delle autorità italiane in Somalia e anche delle autorità giudiziarie diventando altresì il principale collaboratore dell’ultima commissione d’inchiesta per iniziativa del suo Presidente.
Una spiegazione sta forse nella possibilità che questo chiacchierato imprenditore custodisca segreti inconfessabili relativi a comportamenti e responsabilità italiane in Somalia, come farebbero intendere anche alcune intercettazioni telefoniche.
Sappiamo che il comportamento del comando militare specialmente dal settembre 1993 non si può definire impeccabile. E così per quanto riguarda l’intelligence italiana (gli agenti del centro di Mogadiscio responsabile il colonnello Luca Rayola Pescarini) e anche dell’Unosom comandata dal colonnello Fulvio Vezzalini nell’ultimo periodo; per non parlare dell’ambasciatore Scialoia.
Sappiamo che il generale Carmine Fiore nella sua prima audizione (5 luglio 1995) esordirà con queste parole: “Noi militari abbiamo per senso del dovere l’etica del silenzio”. Parlerà invece mentendo lucidamente coprendo le bugie con informazioni sbagliate e “non ricordo”. Per esempio racconta episodi di due navi e dei loro capitani a cavallo del 20 marzo e affermerà di non conoscere né il loro nome nè di che navi si tratti. Scopriremo poi che si tratta della Farah Omar (il peschereccio sequestrato davanti a Bosaso e di cui si è occupata Ilaria) e della 21 Ottobre III (su di essa il generale racconta di aver inviato elicottero di soccorso per il capitano, senza nome, che si era sentito male): due pesherecci della Shifco di “proprietà” del famigerato Omar Mugne.
E che dire di Luca Rayola Pescarini? Riportiamo qui solo una dichiarazione del 4 ottobre 1995 alla commissione d’inchiesta, si riferisce a Giancarlo Marocchino e può essere collegata a queste rivelazioni della CIA “…Noi come SISMI con questo signore non abbiamo avuto nulla a che fare. Anche perché il SISMI ha fin troppi marchi d’infamia, non volevamo aggiungerne altri che non ci competono…. I misteri della cooperazione non si trovano né a Bosaso né a Mogadiscio ma stanno a Roma o in qualche paese vicino dove sono le banche; …mi chiede se facesse traffici illeciti: lei sa che Marocchino è stato arrestato da Unosom. Portato in Italia e dall’Italia rimandato in Somalia… Noi facciamo l’intelligence in senso lato mentre i militari fanno intelligence sul campo. Infatti avevano il famoso colonnello Vezzalini che “raccattava” le sue informazioni sul campo. Ho visto le Oerlikon (armi ndr) e le ho segnalate. E’ chiaro che qualcuno le avrà vendute…”
Sappiamo forse che se mettiamo insieme tutte le forze che ci sono, le conoscenze, le informazioni che via via abbiamo acquisito ed elaborato noi, quelli del #NoiNonArchiviamo le aggiorniamo e ci coordiniamo possiamo essere in grado di bloccare un’opera di occultamento o di “indifferenza” che continua a offendere la memoria di chi è morto, delle loro famiglie e dell’intero Paese.
E di aprire una fase di verità e giustizia coinvolgendo anche le Istituzioni di questo Paese perché come recita l’art. 101 della Costituzione della Repubblica Italiana: “ la giustizia è amministrata in nome del popolo.” O NO?
* Portavoce di #NoiNonArchiviamo
Fonte: Articolo 21
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