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La responsabilità personale ai tempi del Covid

Pierluigi Ermini il . Giovani, Istituzioni, Società

sinclair gallipoliAlcuni degli eventi accaduti in questi giorni ci possono spingere a un approfondimento sul senso di responsabilità personale che sta fortemente condizionando il nostro modo di vivere.

L’aumento dei contagi di queste ultime settimane è frutto certamente di una forma di rilassamento mentale che ci sta prendendo dopo mesi passati a un duro rispetto delle regole, ma è dovuto anche al nostro modo di concepire la libertà come un valore individuale e non collettivo.

Il richiamo del Presidente della Repubblica è al riguardo emblematico: “La libertà non è diritto di far ammalare gli altri”. Un messaggio che ben rappresenta come la nostra idea di libertà venga oggi vissuta prevalentemente come l’idea di poter fare quello che più mi aggrada, senza guardare l’altro che mi sta accanto. C’è una morale che oggi porta a far credere che la mia libertà personale è più importante di tutto senza avere coscienza di quelle che sono le conseguenze.

Così la frase di qualche politico che dice “io quella mascherina non la metto”, dà valore a una libertà individuale che supera quella della salvaguardia della comunità in cui si vive e legittima tutti coloro che si comportano così all’interno della propria società.

L’io in questi casi vince sul noi. Non c’è niente di più lontano di questo modo di pensare e di agire dalla concezione della politica vissuta come servizio.

E’ quanto di più grave ci hanno mostrato in questi lunghi mesi personaggi come Trump, Bolsonaro, Johnson, Xi Jimping che hanno messo avanti i loro interessi personali (magari solo per una ricerca maggiore di consenso) o economici alla vita dei loro concittadini.

L’altro evento di cui si dibatte in queste ore è il bonus di 600 euro previsto dalla normativa per l’emergenza del covid19 per le partite Iva richiesto e poi concesso anche ad alcuni parlamentari e consiglieri regionali.

Certo, ci sono lacune nelle norme emanate al riguardo e il legislatore doveva prevedere questa possibilità. Quindi, se una cosa non è vietata, dove sta il problema? Quelle persone potevano chiedere quel contributo e non sono perseguibili per legge. Perché indignarsi?

Ci indigniamo perché esiste un’etica per cui il comportamento che chiediamo a un parlamentare e a un consigliere regionale, eletto per rappresentarci, è quello di adoperarsi per il bene comune, evitando di concentrarsi sul proprio interesse personale.

A fronte di una indennità di migliaia di euro al mese che permette una vita agiata, arrivare anche a richiedere un piccolo contributo (anche se non vietato) rivolto a chi invece si trova a vivere momenti di grave difficoltà, introduce l’aspetto della credibilità e della coerenza che investe tutta una comunità, che nella scelta di fare politica è di fondamentale importanza. E’ la ricerca della giustizia, più che della legalità che chiediamo a chi fa politica, cercando di mitigare le diseguaglianze sociali ed economiche.

Anche in questo caso l’io domina sul noi.

Il Covid19 continua ancora ad insegnarci molto lungo quel difficile passaggio di crescita personale e di acquisizione di un maggiore senso di responsabilità, per cui le mie azioni non solo influenzano quelle degli altri, ma possono causare danni (fisici ma anche economici) al benessere dei miei concittadini.

Torniamo dunque ancora all’idea di libertà che ci siamo costruiti.

Il senso del limite personale è la prima forma di libertà che noi abbiamo, e l’etica e la morale sono gli strumenti di cui dispone la nostra coscienza per non oltrepassare questo limite. Dobbiamo alla fine tutti porci la domanda cosa è bene o non è bene per rendere migliore il nostro stare insieme.

E il vaccino per tutto ciò è solo dentro di noi, fatto dai valori che ci guidano ogni giorno lungo le strade del mondo.

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