Giornalismo “in presenza” anche a Wuhan
Trentatré giorni dopo la chiusura della città causa Covid-19, il 23 febbraio 2020, Fang Fang annota sul suo diario: “…a quanto pare sono trecento i giornalisti arrivati a Wuhan per seguire l’evoluzione dell’epidemia. Sono sicura che ce ne siano molti di più, se si includono i giornalisti freelance che collaborano con i vari siti web. E’ grazie a loro, e all’impegno con cui girano per tutta la città a fare interviste strazianti, se riusciamo a comprendere quanto sta accadendo…”.
Fang Fang, pseudonimo di Wang Fang, poetessa e scrittrice pluripremiata in Cina, dove ha pubblicato quasi cento libri, già presidente dell’Associazione degli scrittori dell’Hubei, tradotta all’estero e quindi ben conosciuta in Occidente, ci aiuta a riflettere sui rischi connessi alla mutazione del giornalismo quando il confinamento domiciliare cambia le abitudini di vita e l’attività stessa dei professionisti dell’informazione.
Si parla di smart working, e spesso non si è d’accordo neppure sul significato del neologismo. Il dibattito è aperto anche in Italia, e il punto di vista di Fang Fang è originale e stimolante. I suoi “Diari da una città chiusa”, nati come blog sui social (Weibo e WeChat), seguiti da milioni di cinesi in patria e fuori nonostante i tentativi di censura e le contestazioni di fanatici del regime, sono ora un bestseller mondiale (pubblicato in Italia da Rizzoli): una cronaca dettagliata dei 76 giorni di lockdown cui è stata sottoposta Wuhan, nove milioni di abitati in una provincia di 60 milioni, blindati per due mesi e mezzo in una quarantena strettissima.
L’autrice, che non è una dissidente in senso stretto ma certamente non è allineata al regime, si definisce una “scrittrice professionista” chiusa in casa “ad annotare tutto ciò che pensa, sente e vive”. Non è una giornalista, però si rende conto del ruolo centrale che l’informazione ha nelle emergenze, e dice la sua, in presa diretta, su come i giornalisti “coprono” la quarantena di Wuhan.
Si capisce subito che la sua preferenza va (ce ne sono anche in Cina) a chi informa correttamente mettendosi in gioco, andando sul posto, come si usa dire. Si fida più dei reporter che stanno sul campo a fare inchieste e a porre domande, meno o nulla di quelli che non hanno approfondito, non hanno indagato, non hanno verificato o, peggio, si sono accontentati delle versioni di comodo fornite dalle autorità. Scrive: “non si dice forse che se un giornalista non è già sulla scena, comunque sta per arrivare?”
Il suo diario è una finestra aperta sulla realtà della Cina di Xi Jinping, ma anche sulla nostra: “I giornalisti stanno cercando di capire come mai in prima battuta ci siano voluti venti giorni prima di reagire all’epidemia. Stanno approfondendo la questione con grande tenacia e più scavano a fondo più il quadro diventa chiaro”. E ancora: “Ora che le cose cominciano a cambiare le loro inchieste su ciò che è successo dovrebbero essere considerate una priorità”. Poi, naturalmente, ci sono quelli che invece di “combattere dalla parte giusta”, si sono limitati a minimizzare i rischi della situazione e ad esaltare le iniziative delle autorità, o semplicemente si sono lasciati vincere dalla pigrizia. E ci sono anche quelli che “fanno i ruffiani col governo”.
In conclusione, secondo Fang Fang è la responsabilità professionale ad esigere una scelta per forme di giornalismo “in presenza”, non “a distanza” e tanto meno “a domicilio”. E’ ciò che distingue la voce di un informatore professionista dal clamore della grancassa di regime. Vale per lei a Wuhan, vale anche per noi, oggi in Italia.
* Prosegue il confronto voluto dalla Fondazione Paolo Murialdi sul giornalismo nell’età dello smart working. Dopo Giancarlo Tartaglia, Raffaele Fiengo, Francesco Facchini, Christian Ruggiero, Roberto Reale, Daniela Scano, Alberto Ferrigolo, Romano Bortoloni, Bruno Del Vecchio, Giuseppe Catelli, Alessandra Costante, Beppe Lopez, Oreste Pivetta, Michele Mezza, Luciano Ceschia, Michele Urbano, Filippo Nanni, Silvia Garambois e Guido Besana, interviene Guido Bossa, Presidente dell’ Unione nazionale giornalisti pensionati.
Fonte: www.fondazionemurialdi.it
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