L’Europa cambia e l’Italia? Presto per dirlo
Pierluigi Ermini il . Economia, Istituzioni
Soltanto nei prossimi mesi potremo giudicare se l’accordo raggiunto a Bruxelles nei giorni scorsi tra i 27 capi di governo sarà stato positivo e segnerà un processo di cambiamento dell’Unione Europea.
Soprattutto saremo in grado di capire se il nostro paese sarà in grado di utilizzare al meglio i fondi che arriveranno (principalmente nel 2021), anche attraverso il programma di investimenti e il piano di riforme che il governo dovrà ora preparare entro l’estate per presentarlo alla Commissione .
In questi giorni anch’io ho seguito con apprensione l’evolversi della trattativa e ho sperato che l’Italia uscisse con fatti concreti da un incontro che potrebbe veramente risultare storico.
Può darsi che ciò accada, ma per me è troppo presto per dirlo: per ora non mi unisco al coro di chi già grida vittoria, perché i mesi che ci attendono saranno decisivi per il futuro economico e sociale di questo splendido paese e per il nostro continente.
Tanti fanno i conti e dicono che abbiamo ottenuto tanto, altri mettono in risalto gli aspetti economici più negativi (molti soldi in prestito e meno a fondo perduto), relegando alla sola economia la scelta di fondo che invece potrebbe essere stata fatta: per la prima volta mettere insieme soldi provenienti da tutti i paesi sotto l’egida dell’Unione Europea (che può chiedere prestiti alla luce di una tripla A nel mondo finanziario) per aiutare chi in questa pandemia è stato più colpito. Ovvero far proprio un concetto di solidarietà, che è il preludio di un possibile nuovo cammino verso una unione non più solo economica, ma federale.
Avverrà tutto questo? Non lo sappiamo, il tempo ci dirà cosa accadrà.
Ma in un momento in cui nel mondo per vari motivi sono in lotta tra di sé, sia da un punto di vista economico, che politico, tante singole “potenze” (molto nel negativo e poco nel positivo) come la Cina, la Russia, gli Stati Uniti, la Turchia, l’India, la risposta che arriva dai 27 paesi dell’Europa segna la vera novità di questo tempo storico così difficile.
Ed è la risposta che viene da tante democrazie liberali, dove lo stato di diritto è ancora una garanzia per i loro cittadini (nonostante la presenza di paesi come l’Ungheria e la Polonia che sono ai limiti di una vera forma di stato democratico).
Scendendo poi nei confini del nostro paese, in questi mesi sta emergendo in modo preponderante la figura del nostro Presidente del Consiglio, passato da uomo dell’anonimato nel governo gialloblù, a figura quasi di statista in queste ore alla guida del governo giallorosso. Tutto sembra merito suo. Abbiamo trovato un vero leader politico?
Non credo si possa ancora dirlo, ma certamente ha dimostrato di avere un buon fiuto politico, di sapersi muovere a livello internazionale, di saper mediare (dote che conta molto in politica), di avere personalità e riuscire a tenere insieme una coalizione molto frastagliata.
Ma anche per lui il difficile arriva ora, ovvero nella capacità che avranno lui e il suo governo di “spendere” bene le risorse che stanno per arrivare, cambiando volto all’Italia, uno stato dove le diseguaglianze sociali sono enormemente aumentate dal 2008 in poi. Salute, lavoro, casa, istruzione, capisaldi della nostra democrazia, non sono più assicurati come un tempo ai cittadini, con un dislivello sociale tra le persone che si è ampliato, soprattutto tra le nuove generazioni.
Un terreno fertile per le organizzazioni criminali e di stampo mafioso che vedono nella povertà che cresce, la possibilità di ampliare la loro ricchezza e la loro potenza di dominio nei territori e nell’economia.
Dunque anche Conte e con lui principalmente il PD e i 5Stelle sono chiamati ora, in un momento in cui il consenso verso il governo è aumentato, a far vedere il valore politico di cui sono capaci, coinvolgendo in un processo di cambiamento così importante, non solo gli altri partiti di maggioranza, ma anche le forze di opposizione che accetteranno questo percorso.
In fondo i veri statisti (De Gasperi, Nenni e Togliatti nel momento della ricostruzione nel dopo guerra o Moro e Berlinguer nella stagione del compromesso storico) sono coloro che hanno saputo dialogare e ritrovarsi su alcuni punti comuni con i loro principali avversari politici, per condurre il paese verso strade nuove.
Arriveranno soldi e prestiti (in questo senso non ha veramente senso rinunciare al MES se può servire a rilanciare il sistema sanitario nazionale), e la politica è chiamata a saper scegliere come, quanto, dove e quando indirizzare le risorse per favorire non solo la ripresa economica, ma anche la lotta alle diseguaglianze sociali che stanno opprimendo l’Italia e contribuendo al potere delle organizzazioni criminali.
L’Italia e l’Europa sono legate insieme da un filo conduttore che parte dalla cultura e dalla storia che le unisce, dalla concezione della democrazia liberale e dello stato di diritto che le governa, dal senso di uguaglianza e di libertà dei suoi cittadini, per arrivare fino al tema dell’economia che vede intersecati tra loro gli interessi dei singoli paesi con la comparsa oggi anche di un aspetto solidaristico importante.
La speranza è che tutto questo si concretizzi e non vada disperso.
Solo se ci sarà il coraggio di addentarsi sul serio lungo questa strada saremo in grado, tra qualche tempo, di capire l’importanza storica di quanto avvenuto a Bruxelles e in Europa in questo luglio del 2020 e di sapere se l’Italia dispone di un Presidente del Consiglio che sa guidare da vero leader un governo così complicato.
Ancora è troppo presto per dirlo….
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