‘Ndrangheta stragista: «Ecco il gotha dei clan»
Ha parlato per quasi otto ore il Procuratore aggiunto della Dda Giuseppe Lombardo, dinanzi alla Corte d’Assise di Reggio Calabria (presidente Ornella Pastore), per descrivere i cardini dell’accusa contro l’ex boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, capobastone della ’ndrangheta, imputati di tentata strage, associazione mafiosa, pluriomicidio e tentato pluriomicidio in danno dei carabinieri, fatti avvenuti nel territorio di Reggio Calabria tra il dicembre del 1993 e febbraio del 1994.
“L’attacco contro l’Arma – ha sottolineato Lombardo – origina ben prima delle date dei sanguinosi agguati, come il duplice omicidio dei carabinieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo, e trova fondamento nel vuoto di potere politico dopo la caduta del Muro di Berlino, la crisi della prima Repubblica. Ne è la prova evidente la testimonianza resa dall’ex ambasciatore Francesco Paolo Fulci, il quale, incaricato di liquidare il ’progetto Gladio’, voluto dalla Nato in tutta Europa per fronteggiare una eventuale aggressione del Patto di Varsavia, al quale si oppongono forti resistenze, soprattutto da parte della VII divisione dell’ex Sismi, un sistema in cui trovano spazio e mediazione parti di istituzioni infedeli, massonerie deviate e oscuri interessi economici”.
Il Procuratore aggiunto Lombardo, che per tutta la mattinata è stato affiancato nell’aula bunker dal Procuratore capo Giovanni Bombardieri, ha ricordato “il fiorire improvviso nei primi anni ’90 in tutto il Sud di movimenti separatisti, tendenti a creare, imporre, le condizioni di un rapporto con lo Stato e con le forze politiche nate dalla fine della prima Repubblica. Da qui gli omicidi eccellenti di Palermo, come quello di Lima, dopo l’esito negativo per Cosa nostra del primo maxi processo, gli agguati mortali contro Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e le loro scorte, l’innalzamento della tensione con gli attentati dinamitardi di Roma, Firenze, Milano, eseguite con cieca brutalità e di stampo terroristico, la tentata strage dei carabinieri allo Stadio Olimpico, fallita – come ha detto Spatuzza – per il cattivo funzionamento del telecomando che avrebbe innescato l’esplosivo”.
Il Procuratore aggiunto ha poi argomentato sui “rapporti storici tra Cosa nostra e ’ndrangheta, le decisioni concordate in un villaggio turistico di Nicotera di proprietà dei Mancuso tra gli emissari siciliani e i vertici di quel nucleo di comando strategico costituito – ha detto Lombardo – da Giuseppe De Stefano, Giuseppe Piromalli, Luigi Mancuso, Antonio Pesce, Pasquale Condello, Franco Coco Trovato e Giuseppe Morabito ’tiradrittu’, che delibera di appoggiare la svolta stragista di Totò Riina, in Calabria e in Italia. Deliberato che viene camuffato dalla cosiddetta ’falsa politica’ della ’ndrangheta, cioè di tenere solo per i vertici le decisioni strategiche dell’organizzazione criminale, tant’è che molti picciotti non ne erano a conoscenza”.
Giuseppe Lombardo, tratteggiando la personalità dell’ex pentito Giuseppe Calabrò esecutore materiale di tutti gli agguati contro i carabinieri a Reggio Calabria, lo descrive come “freddo e determinato, desideroso di ascendere gli alti gradi della ndrangheta. Calabrò è addestrato ad usare il mitragliatore Beretta M12 con cui compie tutti gli agguati contro i carabinieri, da Demetrio Lo Giudice, esponente della cosca Libri”.
La requisitoria riprenderà venerdì prossimo.
Fonte: L’Avvenire di Calabria
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