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Vittime di mafia, è allarme: il fondo di sostegno è agli sgoccioli

Francesca Chirico il . Dai territori

Una legge ben pensata. Di più. All’avanguardia. Solo un po’ zoppicante quando arriva il momento di trasferirsi dalla Gazzetta ufficiale alla trafila delle richieste risarcitorie. Nel salto dalla luminosa teoria del legislatore alla faticosa pratica dell’applicazione, la 512/1999 rivela limiti contenutistici e pratici sui quali lo stesso commissario per il Coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, Renato Profili, è costretto ad alzare, con composta esasperazione, le braccia: “Il fondo di solidarietà alle vittime versa in tali difficoltà economiche da non poter proseguire nella sua attività. Lo abbiamo fatto presente a governo e ministero dell’Interno ma non abbiamo ricevuto risposte concrete”.

Le 314 domande del 2007 – spalmate tra vittime di cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra – e i 270 milioni di euro complessivamente richiesti svelano, infatti, senza pietà l’inadeguatezza dei contributi destinati ad alimentare il fondo: 10 milioni dallo Stato e l’indefinita assegnazione delle risorse confiscate alla criminalità mafiosa. Minima la prima voce, ampiamente sottodimensionata da pastoie burocratiche la seconda. Eppure la strada va solo perfezionata e resa più sicura, magari prevedendo interventi di assistenza immediata alle famiglie che per poter attingere al fondo devono aspettare una sentenza definitiva di condanna. Senza contare che la via è attualmente preclusa alle vittime di “ignoti” e ai sequestrati (non compresi nella legge del 1999).

La direzione è però quella giusta, ha comunque assicurato Profili provando a convincere la platea di Reggio Calabria che, dopo Ercolano e prima di Palermo, ha ospitato il 19 febbraio un momento di riflessione sulla normativa. Ma non solo. “Bisogna capire perché le istanze che provengono da questa regione sono così poche e perché la costituzione di parte civile è un evento così raro”, ha scandito il prefetto, rivolgendosi alle poltrone di un teatro “Cilea” significativamente affollato – nel day after della cattura di Pasquale Condello, da 20 anni “Supremo” reggitore delle trame della ‘ndrangheta reggina – solo di “presenze comandate”, come non ha mancato di far notare amaramente il sottosegretario dell’Interno Ettore Rosato proponendo il confronto con lo scenario vitale offerto dai teatri siciliani, “stracolmi di gente appassionata, negozianti, commercianti, imprenditori disposti a parlare di racket fuori dai denti”.

Ai “grossi passi in avanti fatti in Sicilia”, ricordati anche dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, la Calabria sembra replicare solo con i risultati delle forze dell’ordine mentre il “pubblico” – ha fatto efficacemente notare il procuratore della Dda di Reggio, Salvatore Boemi, ai margini della conferenza sull’arresto di Condello – si limita a guardare la partita ‘Ndrangheta – Stato senza fare il tifo.

Eppure “i segni di bene esistono in questa terra amara e forte”, ha incoraggiato don Luigi Ciotti, evocando il corteo di Polistena e ammonendo che “le cose positive arrivano sempre dalla base come il milione di firme per la legge sui beni confiscati”: “Finiamola con la storia della società civile e con la sbandierata educazione alla legalità: qui serve una società responsabile che si sporchi le mani e che sia capace non di insegnare la legalità ma di praticarla, trasformandola in diritti e giustizia sociale”.

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