Perché bisogna appoggiare i Siciliani
“Il clima morale della società è questo. Il potere si è isolato da
tutto, si è collocato in una dimensione nella quale tutto quello che
accade fuori, nella nazione reale, non lo tocca più e nemmeno lo
offende, né accuse, né denunce, dolori, disperazioni, rivolte. Egli
sta là, giornali, spettacoli, cinema, requisitorie passano senza far
male: politici, cavalieri, imprenditori, giudici applaudono. I giusti
e gli iniqui. Tutto sommato questi ultimi sono probabilmente convinti
d’essere oramai invulnerabili”.
E’ una città del sud – anni ’80 – quella di cui ci parla Giuseppe Fava.
Con la sua mafia, la sua violenza, e soprattutto il suo stretto
rapporto con poteri politici, imperi economici e monopolio
dell’informazione. Quest’ultimo è l’anello essenziale, quello che dei
vari elementi fa un Sistema. Lo sappiamo tutti. Sappiamo come funziona
Catania, come funziona il sud.
La novità è che oggi Giuseppe Fava non parla più di Catania. Parla di
tutta Italia, parla di Milano, parla di Roma. La mafia – com’era
facilmente prevedibile – ha risalito il nord. La volgarità d’un Graci
o d’un Rendo riempie oggi, con altri nomi, le chronicles from Italy
della stampa internazionale. Tutto ormai è dilagato dappertutto.
Ancora una volta, il centro è il monopolio dell’informazione. Non solo
per la rimozione delle notizie (che è ormai abituale), ma
soprattutto per la decostruzione sistematica dei pensieri comuni e la
loro sostituzione con altri congrui al sistema, non civili.
Come ci vorrebbe adesso un Giuseppe Fava, un Siciliani! Allora, la
lotta sua e dei suoi ragazzi fu durissima, e non priva – per quella
fase – anche di successi. Lui la pagò come sappiamo. I suoi redattori
con vite durissime, ai limiti del tollerabile, fra miseria e minacce.
Eppure, nessuno tradì. Molti continuarono. I Siciliani, in realtà, non
sono finiti mai. Hanno strade diverse, diversi nomi. Ma ci sono.
L’Ordine dei giornalisti, il sindacato (la corporazione insomma: nel
senso antico e tecnico, di mestiere) negli anni di Giuseppe Fava sono
stati lontanissimi da lui. Sembrava un mestiere tranquillo, una
“professione”; qualcosa che garantisse insieme uno status sociale e
una funzione. Che non ci sono più. “Giornalista”, in questi anni, è
tornata ad essere una parola ambigua, su cui fare scelte: o Ministero
dell’Informazione, o militanza civile. La nostra “corporazione”,
spalle al muro, sta scegliendo ora. Alcuni pochi tradiscono; per molti
invece è l’ora della dignità.
La Lega delle Cooperative (di cui I Siciliani facevano parte) tradì
Giuseppe Fava e i suoi redattori. Preferì fare affari con gli
imprenditori collusi. Questo l’abbiamo pagato con infiniti dolori.
Cosa intendono fare, dopo un quarto di secolo, coloro che la reggono
ora? Possono rimuovere, certo, queste righe. Ma sappiamo che in questo
momento le leggono. E aspettiamo la loro risposta.
Al tempo di Giuseppe Fava, il nuovo movimento antimafia era agli
albori. Noi abbiamo contribuito a fondarlo (l’Associazione I
Siciliani, Siciliani Giovani, l’idea di distribuire i beni confiscati)
ma da allora se n’è fatti di passi su questa strada. C’è Libera di don
Ciotti e dalla Chiesa, ci sono le associazioni locali, c’è Addiopizzo.
Ci sono addirittura dei politici che sono saliti a Roma o Bruxelles
grazie principalmente alle tematiche antimafiose; ed interi partiti
che si appoggiano ad esse.
Dall’Ordine e dal Sindacato dei giornalisti, dai dirigenti di
Legacoop, dagli esponenti dell’antimafia civile, ci aspettiamo una
pubblica e combattiva presa di posizione sul caso dei Siciliani.
La sottoscrizione è già partita (l’appello è a pagina otto) e hanno già
cominciato a rispondere i cittadini. Ma è evidente che non avrà
successo senza l’appoggio aperto e organizzato di forze ben più
grandi di noi. Servono soldi e serve appoggio politico, (forse ancora
di più).
La lotta dei Siciliani è stata, e in un certo senso è ancora, una
delle lotta più dense del dopoguerra: contro il sistema mafioso, per
l’informazione. E’ un caso esemplare, un modello; e come tale va usato.
Schierarsi pubblicamente coi Siciliani, qui ed ora, è la cosa più
“politica” che si possa fare.
da Ucuntu.org
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