L’Italia delle stragi nelle testimonianze dei giudici
Il cinquantesimo anniversario della strage di Piazza Fontana ha portato un profluvio di libri sul periodo della strategia della tensione in Italia. Fra i più interessanti è “L’Italia delle stragi”, scritto da sette magistrati che hanno indagato sul terrorismo in quell’epoca (Pietro Calogero, Leonardo Grassi, Claudio Nunziata, Giovanni Tamburino, Giuliano Turone, Vito Zincani, Giampaolo Zorzi) e curato da Angelo Ventrone.
Il libro si pone l’obiettivo di chiarire “cosa possiamo dire di sapere con certezza dopo così tanto tempo, quali sono le verità raggiunte e le piste che ancora si possono aprire.” Gli attentati di destra hanno provocato 135 morti e circa 560 feriti, un numero di vittime senza paragone in altri paesi occidentali, con l’eccezione del terrorismo separatista e nazionalista in Spagna ed Irlanda del Nord.
Ventrone segnala nella sua introduzione i risultati altalenanti dei processi e il ruolo dei depistaggi, che hanno creato l’impressione che non si è riuscito a scoprire i responsabili delle stragi. Per molti non era ancora chiaro se i tentativi di golpe fossero “colpi di Stato da operetta” oppure “qualcosa di molto serio e minaccioso.”
Invece i risultati delle inchieste della magistratura sono andati oltre quello che viene spesso percepito dall’opinione pubblica. “Se non sempre sono riuscito a trovare le prove definitive per individuare i singoli colpevoli, hanno però identificato con precisione gli ambiente politici da cui la strategia eversiva è nata: i gruppi neofascisti e neonazisti, e in particolare Ordine Nuovo,” scrive Ventrone.
Ha sicuramente inciso sugli eventi la scomoda posizione italiana nel quadro internazionale dell’epoca e le divisioni all’interno dello stato sul percorso da seguire, divisioni che hanno portato a complicità fra rappresentanti dello stato ed eversori. “Lo Stato si mostra quindi internamente diviso tra chi incoraggia e favorisce i terroristi, e chi li persegue,” osserva Ventrone. E conclude: “Certo, c’è ancora molto da fare, in particolare, continua a sfuggire il ruolo degli attori internazionali.”
Gli ostacoli che hanno frenato il lavoro dei magistrati inquirenti sono forse difficili da immaginare oggi. Il depistaggio era spesso intrinseco all’ideazione delle stragi, data la volontà dei perpetratori di fare cadere la colpa su i loro nemici politici, la sinistra o gli anarchici. Le inchieste sono poi state intralciate da servitori infedeli dello stato fra i ranghi della polizia, i carabinieri e i servizi segreti, e, in qualche caso, anche dei magistrati.
Per Pietro Calogero, il Sifar del Gen. Giovanni de Lorenzo era “una sorta di succursale della Cia e il gestore degli interessi del governo Usa nella guerra al Partito comunista e ai movimenti di sinistra in Italia.” Federico D’Amato, dalla parte del Viminale, era pienamente impegnato, per conto della loggia P2, nell’attuazione di un “programma di guerra non ortodossa contro il comunismo”, mentre intratteneva stretti rapporti con la rete informativa dei paesi dell’Occidente e, in modo particolare, con la Cia.
Nel suo capitolo sulla strage dell’Italicus, Leonardo Grassi segnala il ruolo depistante di Mario Marsili, pm ad Arezzo, genero di Licio Gelli, e piduista. Marsili riceve dichiarazioni da una testimone importante, Alessandra De Bellis, che accusa suo marito, Augusto Cauchi, di aver svolto un ruolo nella strage. “Per invalidare le sue accuse contro Cauchi, la De Bellis viene sottoposta a devastanti trattamenti psichiatrici che una successiva perizia ha rivelato essere stati del tutto incongrui,” scrive Grassi. Due dei ricoveri della donna coincidono con i tempi in cui il giudice istruttore di Bologna, Vito Zincani, ne ha richiesto la testimonianza.
In un capitolo sull’attentato alla stazione di Bologna, lo stesso Zincani ricostruisce un episodio grottesco che ha riguardato Valerio Fioravanti, l’esponente dei Nar condannato per la strage. Durante il servizio militare Fioravanti trafuga 144 bombe a mano da usare per attentati dinamitardi. “Benchè sia emerso che i Servizi segreti fossero perfettamente al corrente che autore del clamoroso furto era Valerio Fioravanti, nulla viene fatto per rintracciare le bombe e impedire che siano utilizzate,” scrive Zincani.
“La vicenda ha dell’incredibile,” aggiunge. “Fioravanti, infatti, viene processato e condannato a soli 8 mesi di reclusione con i doppi benefici di legge, unicamente per furto d’uso militare (per aver cioè utilizzato indebitamente nel trasporto delle bombe la Campagnola dell’esercito) e per violata consegna. E quindi lasciato libero di fare uso degli ordigni a proprio piacimento.”
Il clima ostile nei confronti degli investigatori viene sottolineato da Giuliano Turone nel suo racconto su “P2 e destra eversiva”. Avendo lavorato troppo bene, la Commissione parlamentare sulla P2 non viene rinnovata dopo la pubblicazione della sua relazione nel 1984 e la sua presidente, Tina Anselmi, viene emarginata dalla vita politica. “Nelle successive elezioni politiche, infatti, il suo partito (la Dc) la inserirà volutamente in un collegio perdente,” scrive Turone.
Nella sua interessante riflessione sulla Rosa dei Venti, l’organizzazione eversiva da lui scoperta nel 1974, Giovanni Tamburino accenna alla possibilità che chi ha destabilizzato l’Italia per creare quella che Ventrone chiama una “democrazia blindata” abbia passato come strumento dalla destra eversiva all’estremismo di sinistra. Cita una lettera del 18 marzo 1973 a Dario Zagolin, un collaboratore del Sid che utilizzava una società padovana di cosmetici per finanziare la sua rete di informatori.
Zagolin ha stretti rapporti con la Rosa dei Venti e golpisti genovesi, e la missiva riferisce a un “accenno alla concorrenza” in notizie precedentemente fornite. “Ritengo sia meglio accellerare i tempi,” scrive l’interlocutore, che si firma con una sigla indecifrabile. Per Tamburino quella “concorrenza” potrebbe riferirsi all’azione sempre più cruenta delle nuove Brigate rosse.
“‘Concorrenza’ non significa altro che la possibilità di rivolgersi ad altri gruppi da utilizzare per la stessa, irrinunciabile, strategia,” scrive il magistrato. “E dunque comprensibile perchè dalla metà del 1974 venga inaugurata una piu sofisticata linea volta a usare le formazioni dell’estrema sinistra in funzione anticomunista.” Si tratta di un “cambio di spalla del fucile, dalla destra alla sinistra”.
Per Tamburino questo cambiamento di linea è culminato nell’operazione che ha portato all’eliminazione delle idee politiche di Aldo Moro. In un secondo intervento, sul golpe bianco di Edgardo Sogno, osserva: “La linea concorrenziale condurrà nel marzo 1978 all’uccisione del politico italiano che aveva aperto il dialogo con il Partito comunista.” Il progetto originalmente concepito da Sogno, un eroe della Resistanza al nazifascismo che si è dedicato nel dopoguerra al conflitto globale contro il comunismo, “si realizzerà per altra via”.
Tamburino suggerisce che ci siano altri fattori, oltre alla politica e l’ideologia, dietro l’uso della violenza terrorista. Tra questi la massoneria e gli interessi economici, ambedue più resistenti nel tempo della politica nell’occupazione del potere. “Sono i grandi interessi economici che conducono a uccidere, a fare le guerre e a realizzare le stragi,” osserva. “Troppe volte si è andati infatti alla ricerca della logica del terrorista piuttosto che verificare l’interesse economico retrostante. La domanda ‘perchè si uccide?’ va spesso tradotta nella domanda ‘chi paga per uccidere?'”
Il libro racconta le vicende dei protagonisti del terrorismo e delle forze occulte, anche internazionali, che gli stavano dietro. Vale però la pena di ricordare il clima di violenza spicciola che sottostava agli atti di terrorismo omicidiario e ne offriva il brodo di cultura. La normalità della violenza politica in quell’epoca è messa in evidenza dallo storico Miguel Gotor nel suo libro “L’Italia nel novecento”. Sullo sfondo delle azioni eclatanti c’era un interminabile sequela di scontri di strada che lasciavano i parenti “straziati dal dolore, il più delle volte, alla vana ricerca, ormai da decenni, di verità e giustizia.”
La mancata chiarezza su quei fatti, secondo Gotor, è stato un fallimento della magistratura e della società, spesso segnato dall’omertà e dalla reticenza di vittime e testimoni. La consequenza è stata un riflusso nel privato e un rifiuto dell’impegno politico o sociale a favore della collettività. “Quelle migliaia di azioni, pressochè quotidiane, sgorgarono da una pratica della violenza politica senza uguali nelle democrazie occidentali e formarono un interminabile e tragico coro di sottofondo, che accompagnò lo stragismo neofascista e gli attentati in serie del “Partito armato”, aumentando a dismisura il livello della destabilizzazione in atto e il sentimento di insicurezza psicologica e sociale dei cittadini e delle famiglie italiane,” scrive.
I cattivi maestri e i burattinai avranno esasperato ancora di più quelle anime, ma non potevano scrivere certe pagine di sangue senza la partecipazione volenterosa di molti burattini, disposti a prendere a legnate il nemico politico. Il tutto scivolando inesorabilmente verso gli esiti di morte ricercati da chi manovrava dietro le quinte.
Scritta da esperti con esperienza di prima mano, “L’Italia delle stragi” avvicina la documentazione giudiziaria alla storiografia per aumentare la nostra comprensione di un periodo eccezionale – quindici anni di attività cospirative – che non ha paragoni in altre democrazie occidentali. Un capitolo scritto da Guido Salvini, un magistrato al centro di polemiche vivaci e scoperte fondamentali, l’avrebbe forse arricchito ancora di più.
Un libro analogo sulla manipolazione del terrorismo di sinistra, scritto dai magistrati che hanno indagato sul campo, sarebbe un’altra bella sfida. Una vicenda forse ancora più complessa, fatta di tradimenti, ricatti ed inganni, servirebbe a riempire un altro buco nella storia misteriosa dell’Italia del secolo scorso. Passato abbastanza tempo, il ruolo delle due superpotenze, Stati Uniti ed Unione Sovietica, potrebbe forse finalmente essere raccontato, per una storia di ideali stravolti dal realpolitik rivoluzionario.
* Fonte: Giustizia Insieme
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