I familiari delle vittime di mafia al Parlamento: “Diritti, non benefici”
Davanti a Montecitorio il sit-in della campagna “Diritti vivi” condotta da Libera: “Le richieste di molte famiglie sono rimaste inascoltate”, dice la vicepresidente Daniela Marcone. Il presidente della Camera Fico riceve Ciotti e una delegazione
Suo padre, il sindacalista Nicolò Azoti, è stato ucciso dalla mafia nel 1946. Era il 23 dicembre e lui, 37enne segretario della Camera del Lavoro di Baucina (Palermo), fu colpito alle spalle da cinque colpi di pistola. Riuscì a fare i nomi di chi sparò, ma nessuno venne mai processato e condannato. L’inchiesta venne archiviata. Azoti lasciò una moglie di 31 anni, un figlio di 6 e una bambina, Antonina, di quattro anni. “Come successe a molti altri sindacalisti, non ci fu giustizia. Molte morti furono fatte passare come delitti passionali. Ci hanno messo a tacere con queste calunnie e siamo stati zitti per non sentire altre offese ai nostri familiari, che non potevamo neanche ricordare pubblicamente”. Oggi Antonina Azoti ha 78 anni ed è andata da Palermo a Roma per partecipare a un sit-in davanti a Montecitorio e chiedere, insieme a don Luigi Ciotti e ad altri familiari di vittime della mafia, i diritti che non sono stati riconosciuti a lei e ad altri parenti di persone uccise dalla criminalità organizzata prima del 1° gennaio 1961 (limite imposto dalla legge).
Questa è una delle richieste al centro della campagna di Libera chiamata Diritti vivi. “Ci siamo resi conto – spiega la vicepresidente di Libera, Daniela Marcone – che molte delle richieste fatte sono rimaste inascoltate e che negli ultimi tempi un’interpretazione più restrittiva delle leggi sta restringendo la platea di chi, al termine di lunghi processi, potrebbe usufruire di quelli che la legge chiama ‘benefici’, ma noi chiamiamo ‘diritti’. Ci vuole anche un cambiamento del linguaggio”. I familiari delle vittime non chiedono solo sostegno economico e materiale, ma anche e soprattutto il riconoscimento pubblico del sacrificio di una vita innocente. Il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, è andato al presidio. Una delegazione, accompagnata da don Ciotti, è stata ricevuta dal presidente della Camera, Roberto Fico.
Nessuna vittima di mafia prima del 1961
Uno dei temi è, come nel caso Azoti, il limite di tempo. “Alcuni casi vengono esclusi per questa legge – premette Marcone -. Uno dei più eclatanti è Placido Rizzotto”, il sindacalista ucciso da Cosa nostra a Corleone il 10 marzo 1948. I suoi nipoti non posso ottenere quanto previsto dalle leggi per i familiari di chi è stato ucciso dalla criminalità organizzata. Come lui anche Azoti e altri sindacalisti: “Erano giovani pieni di ardore e speranze che si battevano per una Sicilia diversa e se non fossero morti sarebbero riusciti a cambiarla”, dice Antonina Azoti. Contro di loro, però, c’era la mafia schierata a difesa dei latifondisti: “Mio padre aveva fondato una cooperativa agricola (che avrebbe dovuto ottenere dallo Stato le terre incolte, ndr) e aveva ricevuto minacce”, riprende. Nonostante ciò, lei non è considerata familiare di una vittima di mafia. “Non sono casi nuovi, ma c’è una richiesta nuova e urgente – afferma la vicepresidente di Libera -. È come se per lo Stato prima di quella data la mafia non esistesse”.
Il quarto grado di parentela (e la circolare del Viminale)
A questo limite se ne aggiungono altri. Una regola impone, ad esempio, che nessun coniuge, convivente, parente o affine, fino al quarto grado di parentela, sia in alcun modo legato alla criminalità organizzata, “ma dentro al quarto grado ci sono persone che neanche si conoscono e si frequentano”, sottolinea Marcone. Poi la commissione che valuta i “benefici” chiede anche provvedimenti giudiziari ben motivati, capaci di chiarire bene l’estraneità di legami della vittima: “Non è facile ottenere questi atti”.
A questo quadro si aggiunge una circolare del Ministero dell’Interno datata 18 giugno 2019, quando Matteo Salvini era ministro. In questo documento si ricordano alcune regole. “Impone che la richiesta di riconoscimento dello status sia fatta entro dieci anni dall’evento, periodo entro il quale a volte non è ancora terminato il processo”, illustra Marcone. C’è poi anche il limite di novanta giorni entro cui presentare la domanda dopo le motivazioni della sentenza definitiva: “Di recente una famiglia ha consegnato la sua richiesta al novantunesimo giorno e le è stata rigettata. Non si può trattare così chi, oltre a subire una perdita, deve affrontare anche un processo. Non possiamo lasciare le vittime da sole”. Per aiutarle, occorre anzitutto un quadro normativo più chiaro: “Ci vuole un riordino ragionato di tutte le norme per far sì che tutti possano far valere i propri diritti”.
Le altre vittime di reato
La campagna Diritti vivi chiede inoltre di equiparare le categorie di vittime del terrorismo a quelle della mafia e non dimentica le altre vittime di “reati intenzionali violenti”, come del resto impongono anche le normative europee. Esiste infatti una profonda differenza nel trattamento tra i diversi tipi di vittime, e a farne le spese è soprattutto chi subisce un reato da parte della criminalità comune. “Abbiamo avuto molti compagni di viaggio a cui, alla fine, non è stato riconosciuto lo status di familiari di vittime di mafia – conclude Marcone -. In molte regioni il confine è molto labile ed è difficile distinguere se sia criminalità organizzata o comune. Noi chiediamo che anche nel secondo caso lo Stato riconosca loro un sostegno”.
Il testo dell’appello
Libera promuove, fin dalla sua nascita, molteplici attività al fine di tutelare le persone vittime delle mafie, a partire dal diritto al ricordo delle stesse, strettamente legato a quello che noi abbiamo chiamato, fin dal 1995, “diritto al nome”, affinché nessuna persona fosse dimenticata, curandone la ricostruzione della storia e del contesto in cui ha vissuto. Impegnarci per tutelare il “diritto al nome” ci ha permesso di costruire una memoria viva, in cui la vittima viene considerata sempre una persona la cui dignità non va mai calpestata. Questo ci ha portato a supportare tanti familiari delle stesse vittime innocenti delle mafie nei percorsi giudiziari finalizzati ad ottenere giustizia e verità per la morte dei loro cari. Li abbiamo ascoltati ed abbiamo accolto le ansie ed i timori causati da tempi spesso lunghissimi e da situazioni di grande complessità che hanno messo alla prova esistenze già provate. Molti familiari ci hanno raccontato di come alcune norme o la difficoltosa applicazione delle stesse, ha mortificato il loro già difficile percorso all’interno di famiglie in cui la violenza mafiosa ha creato lacerazioni profonde e insanabili. Ecco perché riteniamo urgente che si ponga nuovamente la giusta attenzione alle persone vittime, al fine di evitare ulteriori processi di vittimizzazione, circostanza che in uno Stato democratico e di Diritti non dovrebbe mai accadere. Riteniamo sia una priorità modificare il senso stesso delle misure previste a favore delle vittime, in quanto ad oggi vengono definite “benefici”, mentre sarebbe giusto e culturalmente opportuno definirle “diritti”.
Evidenziamo, inoltre, alcuni punti rispetto ai quali chiediamo:
– che sia riconosciuto lo status di vittima di mafia anche alle persone che hanno perso la vita a causa di eventi delittuosi di stampo mafioso in data antecedente al 1° gennaio 1961 e per le quali ricorrano i presupposti per il riconoscimento medesimo;
– l’equiparazione delle vittime del dovere e delle mafie alle vittime del terrorismo, al fine di evitare ulteriori disparità tra le vittime in base alla tipologia dell’evento delittuoso;
– che riguardo all’estraneità della vittima e dei suoi familiari fino al quarto grado, così come previsto dalle norme, sia effettuata una valutazione caso per caso, relativamente alle frequentazioni del superstite e dei familiari della vittima e non sul grado di parentela;
– che in materia di prescrizioni e decadenze, previste anche da una recente circolare del ministero dell’Interno, sia fatta un’attenta ed urgente riflessione per evitare interpretazioni ingiustamente restrittive;
– un riordino ragionato di tutte le norme che disciplinano i diritti (benefici) previsti a favore delle vittime delle mafie, al fine di rendere effettiva la fruizione che rispetto ad alcuni punti fondamentali resta molto spesso solo sulla carta; così come chiediamo che i tempi della valutazione delle singole istanze non si dilatino a dismisura;
– che l’attenzione alla vittima venga posta al centro della riflessione del legislatore, al fine di rendere operative anche in Italia le direttive europee in materia di tutela della vittima e dei suoi familiari, ad essa equiparati, in particolare rispetto alla stessa posizione dei familiari delle vittime nel processo, visibilmente limitata rispetto a quella del reo, dato anche l’approccio reocentrico del nostro sistema processuale;
– promuoviamo un sostegno alle vittime dei reati intenzionali violenti, cosiddetta criminalità comune, al fine di non lasciare sola nessuna persona resa vittima da episodi gravi di violenza.
* Fonte: Lavialibera
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