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Bologna, la IV edizione di FILI per raccontare mafie e corruzione

Sofia Nardacchione il . Emilia-Romagna, Informazione

fili 2A Bologna ci sono mafie e corruzione. Ogni tanto bisogna ripeterlo, prendere posizione, pensare a nuovi strumenti di contrasto. Perché sì, a Bologna mafie e corruzione ci sono, ci sono da anni, ma c’è ancora chi le sente lontane, chi si sente immune, chi si nasconde dietro la maschera del “tanto abbiamo gli anticorpi”.

E allora raccontare i fenomeni criminali nel capoluogo emiliano è ancora più importante: Libera Bologna e Libera Informazione lo hanno fatto nella quarta edizione di F.I.L.I., il Festival dell’Informazione Libera e dell’Impegno, con dieci iniziative dal 5 al 7 dicembre.

“Come raccontare mafie liquidi, silenti, difficili da riconoscere”. È questa la domanda da cui è partito il Festival, che ha attraversato i temi della memoria, della corruzione e dell’anticorruzione civica, di narrazione delle mafie e dell’antimafia.

Ma anche del femminismo come arma di rottura degli schemi mafiosi: un ragionamento partito da storie tra gli anni Settanta, raccolte nel libro “Le ricamatrici” di Ester Rizzo, e arrivato ad oggi con il racconto del progetto In-Tessere del Gruppo Abele. Storie di riscatto e di cooperazione, di progetti importanti come Liberi di Scegliere, per supportare le donne che hanno deciso di infrangere codici millenari fondati sulla violenza, sulla minaccia e il rispetto timoroso di un ruolo subordinato.

Memoria

Un approfondimento che non ha lasciato da parte la memoria e la storia di Bologna: l’anno prossimo saranno passati quarant’anni dalla strage del 2 agosto 1980. Una strage ancora in cerca di verità e di giustizia, di cui si è discusso mentre nel Tribunale di Bologna sono in corso le ultime udienze processo Cavallini Bis, accusato di aver concorso alla strage alla stazione di Bologna.

Il processo si sta celebrando nella stessa aula dove, nel 2017, è stata emessa la prima sentenza in cui è stato riconosciuto il reato di associazione mafiosa, poi caduta in appello, nel processo Black Monkey.

Fili che si collegano e che si uniscono a una memoria da sostenere e da portare avanti, come succede per le vittime innocenti delle mafie, in tanti, troppi, casi ancora in cerca di verità e giustizia.

Una memoria viva, come ha ricordato Daniela Marcone, responsabile nazionale dell’area Memoria di Libera: una memoria viva che faccia percepire il danno subito da un’intera collettività, a partire dai sogni spezzati, dalle singole vite. Non numeri, ma vite, storie.

Come quella di Mirella Fornasari, morta quel 2 agosto di quarant’anni fa, e del figlio Paolo Lambertini, oggi vicepresidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage che ha ricordato del bisogno di verità: “C’è chi dice ‘Ancora avete bisogno di verità?’, ‘State ancora rompendo le scatole per questa verità?’ Oppure, ‘Che bravi, siete ancora lì inossidabili, a chiedere verità!’ Oppure, ‘Ma ancora la Procura spende soldi per un processo’. Ancora sì. Sì, ancora vale la pena. Ancora abbiamo bisogno di verità”.

Raccontare mafie e corruzione, raccontare la legalità democratica

Ma come raccontare la memoria, le stragi, la ricerca di verità, i fenomeni mafiosi e corruttivi? E come raccontare l’impegno, la legalità e la giustizia? Un ragionamento, quest’ultimo, che è partito mesi fa da un’altra domanda ancora: perché parlare di legalità democratica e non di legalità?

Libera Bologna ha affrontato il tema in un’assemblea pubblica all’interno del Festival, per costruire un vocabolario collettivo, nuovi strumenti perché la legalità sia uno strumento per raggiungere la giustizia sociale, uno strumento di tutti e tutte. Il vocabolario si è riempito di diritti, responsabilità attiva, etica, inclusione, minoranze, rispetto, militanza, disobbedienza civile, solidarietà. Parole che serviranno nei prossimi mesi per portare avanti un impegno e azioni concrete per la giustizia sociale.

Il ragionamento sul linguaggio ha attraverso tutti i tre giorni di F.I.L.I., con un confronto finale per cercare nuovi strumenti e modalità per raccontare le mafie e i fenomeni criminali a Bologna, in un momento in cui le notizie sono sempre di più e sempre più veloci. E in un momento in cui, quindi, è necessario – come ha ricordato Luca Barra, esperto delle evoluzioni dello scenario mediale contemporaneo – semplificare, per raggiungere più persone possibili, senza però perdere la complessità narrativa.

Anche perché la complessità narrativa caratterizza i fenomeni mafiosi e corruttivi a Bologna. Una affermazione che arriva dopo il lavoro che Libera Bologna e Libera Informazione hanno fatto in questi anni per rispondere all’affermazione “A Bologna le mafie non ci sono”. Lo hanno fatto con tre dossier: “Bologna crocevia dei traffici di droga”, “Caporalato emiliano” e “Corruzione sepolta. Bologna, tra dinamiche corruttive e strumenti anticorruzione”, presentato nella quarta edizione del festival.

L’ultimo dossier analizza quattro casi di corruzione nel capoluogo emiliano: per quanto ridotti li si voglia considerare, aprono uno squarcio su scenari ben più ampi, che raccontano molto spesso una corruzione diffusa su più livelli, che gode di un alto grado di omertà, sulla convenienza, sull’abitudine. Anche a Bologna, dove il livello di discussione sulla corruzione e, soprattutto, sull’anticorruzione, è ancora basso e poco diffuso. Raccontare, analizzare, approfondire, significa quindi, provare ad ampliare la consapevolezza necessaria per affrontare questi fenomeni.

Pensando sempre a nuove modalità, per stare dietro ai cambiamenti delle mafie, per poter aumentare l’efficacia dell’informazione come strumento di contrasto: “Le storie di mafia – ha detto Angelo Miotto, direttore di Q Code Magazine, nell’ultima iniziativa di questa quarta edizione del Festival dell’Informazione Libera e dell’Impegno – hanno delle caratteristiche che potremo restituire solo se combattiamo una battaglia, quella di un tempo ritrovato. Il nostro, per scrivere e raccogliere elementi di narrazione che siano convincenti, quello di un pubblico che va rieducato all’utilizzo di un tempo ormai perduto”.

Un tempo di cui riappropriarsi per costruire nuove narrazioni e nuovi spazi di resistenza, pensare a nuovi strumenti e a reti più solide, costruire e condividere linguaggi comuni e comuni percorsi contro mafie e corruzione.

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