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Trapani, la provincia dove si sopravvive

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Gli ultimi tre presidenti della
Repubblica non hanno voluto far mancare del loro passaggio la provincia
di Trapani. E questa circostanza è certamente importante e serve a
comprendere che non siamo l’ultima provincia di questo Stato. Scalfaro
prima, Ciampi dopo, adesso Napolitano che sabato prossimo, 23 maggio,
si fermerà a Gibellina nel cuore di quella Valle del Belice spesso
dimenticata e che invece dovrebbe essere presa ad esempio, buono e cattivo,
quando si parla di rinascita di un territorio dopo un terremoto. Qui
la terrà tremò a metà di gennaio del 1968, furono cancellati paesi,
ci furono tantissimi morti, anche tra i soccorritori, le case si sbriciolarono
come è accaduto adesso a L’Aquila, solo che 41 anni addietro si trattava
di ben altro genere di abitazioni, al contrario di quelle di oggi che
non sono state costruite con criteri antisismici e con il raziocinio
e la logica dichiarate nei progetti e che per questo si sono disintegrate.  

Il Capo dello Stato che giungerà
sabato nella tarda mattinata a Gibellina provenendo da Palermo dove
parteciperà alle manifestazioni nella ricorrenza del 17° anniversario
della strage di Capaci dove la mafia uccise Giovanni Falcone, sua moglie,
il giudice Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, si ritroverà
in quel Belice che dopo il martirio del terremoto del 1968 ha conosciuto
il martirio di una classe politica che subito pensò di mettersi in
affari con la mafia per la ricostruzione. Ma avrà dinanzi quello che
divenne l’altro volto della rinascita, l’arte e la cultura per dare
una speranza alla gente della Valle. L’altro volto nel senso che per
decenni l’opera condotta da un uomo diventato il simbolo di tante
cose buone, il senatore Ludovico Corrao, non è stata appoggiata, sostenuta,
si raccontava in giro che non si capiva il perché di quelle sculture,
di quelle costruzioni firmate da grandi artisti, o i pensieri di grandi
letterati scritti sui muri della nuova città. La verità è che molti
capivano cosa stesse facendo Corrao, il fatto vero era quello che quel
lavoro di Ludovico Corrao, quel sudario di morte disteso sui ruderi
della vecchia Gibellina, opera maestosa del maestro Burri, non era semmai
funzionale a chi col terremoto ha tessuto alleanze innominabili, sfruttato
il dolore e il bisogno della gente. 

Uno scenario che purtroppo
non è cambiato. In 41 anni si è rafforzato. Un sistema, fatto di connessioni
tra mafia, impresa e politica, che nel tempo si è applicato in moltissime
cose che hanno riguardato la provincia di Trapani. Non sappiamo se qualcuno
ha raccontato queste cose al presidente Napolitano o le racconterà
in occasione della sua visita, proviamo a riassumerle da questo sito,
perché il presidente possa scuotersi ed essere vicino alla gente di
questa provincia. Qui c’è un buco che va chiuso presto ed è quello
che negli anni ha inghiottito fior di quattrini, finanziamenti destinati
allo sviluppo e all’occupazione che sono spariti nel nulla, senza
lasciare infrastrutture realizzate e nuovo lavoro. Questo è un territorio
dove se una infrastruttura è stata realizzata lo è stata nel corso
di decenni, ventenni. Un caso? L’ospedale “nuovo” di Marsala,
costruito in oltre 25 anni e che ancora oggi non riesce ad essere operativo,
al suo posto continua ad esserci una struttura vecchia e malconcia,
dove c’è il pericolo che chi vi entra in buona salute, per un controllo
o per andare a trovare un parente, ne esca con qualche punto di sutura
in testa per qualcosa che da un momento all’altro può venire giù.
Altri casi? Il recupero dei centri storici, come quello di Trapani,
opere che potevano essere fatte per tempo sono state trascinate nel
tempo in modo assurdo, nel frattempo interi edifici sono stati svenduti
favorendo processi di speculazione. La nostra è un provincia dove la
raccolta differenziata dei rifiuti stenta a decollare, in mezza provincia
ci sono riusciti, ma a fatica, nell’altro versante ancora oggi si
vedono i cassonetti colmi a mai finire di rifiuti di ogni genere. Eppure
è lunga la conta che può essere fatta dei finanziamenti concessi,
il resoconto lo si coglie dagli atti giudiziari, dai processi per le
truffe e le collusioni tra politica e mafia. Altri esempi? Cosa Nostra
aveva messo le mani e li ha tenuti per un bel pezzo sul più grosso
impianto di riciclaggio mai costruito in Sicilia, si torva a ridosso
di Trapani, in contrada Belvedere. In decenni di attività ha riciclato
praticamente nulla. La spazzatura è continuata a giungere presso una
discarica di smaltimento di rifiuti che periodicamente si ritrova sotto
sequestro perché opera con ordinanze a tempo determinato le cui scadenze
spesso si ritrovano ad essere dimenticate, per ovvia convenienza. 

Fiumi di soldi pubblici che
nel tempo sono svaniti nel nulla, o almeno per dirlo in modo corretto,
sono finite dentro certe tasche, le solite, quelle dei mammasantissima,
dei politici corrotti o che con quei soldi si pagavano i voti e le campagne
elettorali. 

Raccontare di queste cose in
provincia di Trapani non è facile e agevole caro presidente. Perché
il sistema è così ben collaudato, operativo, che affonda le sue radici
nel territorio, che ha condizionato i cittadini a tal punto che se si
scrive della malefatta di un politico, o di un burocrate, non sono questi
a lamentarsi, ma c’è la rivolta della gente che protesta perché
si dicono sempre le stesse cose e che si infanga il territorio. Non
c’è un territorio che ha capacità ad indignarsi. Solo pochi lo fanno. 

Eppure in questa terra è stata
condotta la battaglia più dura contro Cosa Nostra e i suoi complici.
Ma è come se ciò non venga tenuto in considerazione. E da Roma i segnali
che arrivano sembrano dare ragione a chi la pensa in questo modo. Oggi
la lotta contro la mafia viene condotta con spirito di sacrificio di
chi è istituzionalmente incaricato ad occuparsene. Mancano le risorse.
A fronte di quelle inghiottite dalle truffe, non ci sono quelle stanziate
per chi davvero ne ha di bisogno. I poliziotti che danno la “caccia”
al super latitante Matteo Messina Denaro sanno che lavorano facendo
degli straordinari che non potranno essere loro pagati perché il “cachet”
messo a disposizione si è già esaurito.  

C’è bisogno allora che da
Roma si sentano altre voci. La Sua è attesa. Trapani è una provincia
che ha pagato alti tributi di sangue. La mafia ha fatto stragi, ucciso
magistrati, donne e bambini senza colpa, agenti che facevano il loro
dovere e già per questo sono diventati nemici da abbattere. La mafia
non ha mai gradito l’informazione e i giornalisti, almeno quelli che
hanno cercato di farlo con il solo obiettivo di essere “cani da guardia”
del potere. Uno di questi era un giornalista senza tessera, si chiamava
Mauro Rostagno che l’Italia fino al giorno della sua uccisione, 26
settembre 1988, conosceva per altro, il 68, Lotta Continua, le fughe
in India, il recupero dei tossicodipendenti. Nessuno e solo pure suoi
pochi amici sapevano che a Trapani si era messo a fare il giornalista
e ogni giorno non faceva scoop, ma raccontava dei problemi della città
e indicava i responsabili. Anche se questi erano boss mafiosi. Anzi
di più in questo caso, tanto da meritare un rimprovero in pieno processo
da uno di questi, il capo mafia di Mazara Mariano Agate. Non ci è mai
arresi dinanzi a questo caso che resta irrisolto, a Trapani è stata
fatta una petizione perché venissero potenziati gli apparati investigativi
impegnati su questo caso, la gente si è rivolta anche a Lei. La mafia
per 21 anni ha continuato a vincere perché è riuscita a zittire Mauro
Rostagno e a far scendere il silenzio su questo delitto. Ha pure tentato
di mischiare e “mascariare” (dalle nostre parti significa sporcare)
le carte facendo spuntare altre piste ed altre storie. Sappiamo che
ci sono indagini in corso che puntano a dare a Cosa Nostra una doppia
sconfitta. Ma non basterà tutto questo se non ci sarà qualcuno che
farà sentire una voce ferma e determinata contro i mafiosi ed i loro
complici. Se non si dimostrerà che oggi combattere la mafia significa
battersi per lo sviluppo.  

E oggi è un periodo particolare
dove in questa provincia, lo raccontano i sindacati, alla crisi che
investe mezzo mondo si aggiunge la solita crisi, quella che riguarda
il mondo imprenditoriale che è composto da società che riescano a
campare a mala pena e che con la scusa della crisi ricorrono al lavoro
nero. Oggi prendendo a pretesto la crisi dei capitali queste imprese
pensano di tornare in auge, usando le armi loro proprie, quelle del
lavoro nero e malpagato, senza guardare tanto alla sicurezza, con la
voglia di costruire tanto per costruire senza pensare alla qualità.
Che è il mondo di quelle imprese che sono colluse con il potere mafioso. 

Il senatore Corrao potrà raccontare
al presidente Napolitano una storia particolare, quando nei giorni del
terremoto riuscì a mettere alla porta i mafiosi. Volevano che le nuove
città venissero costruite in determinati terreni, ma dove si è potuto
questo lo si è evitato, e si sono espropriati i terreni che i mafiosi
non volevano fossero toccati. Questo avvenne con una marcia che un giorno
dalle baracche di Gibellina si spostò su questi terreni che furono
occupati. Oggi serve un’altra marcia. Ma in pochi pensano ad organizzarla.
Molti hanno il problema del sopravvivere e non quello del vivere la
propria vita fino in fondo. Perché anche questo qui ci è stato quasi
tolto.

Così resta la speranza che
coincide con le parole di una giovane ragazza morta suicida  17
anni addietro, si chiamava Rita Atria, giovanissima donna del Belice,
testimone della crudeltà mafiosa. Lasciò scritto che “Forse un mondo
onesto non esisterà mai ma chi ci impedisce di sognare; se ognuno di
noi prova a cambiare forse ce la faremo”. Ecco c’è chi sogna che
l’indomani svegliandosi possa trovare una notizia nuova, bella e buona,
che ci possa fare ricredere di tante cose. Che le cose possono cambiare.
E vorremmo che questo avvenisse da subito grazie a Lei. Benvenuto presidente
Napolitano.

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