Le parole non dette. Capitolo Assindustria Tp
I silenzi di Confindustria. Al di là delle posizioni “gridate”, gli
imprenditori trapanesi di Assindustria persistono nel non fare alcun
mea curpa. Quando scoppiò il caso del vice presidente Giuseppe Marceca
che fu quello che per conto di Assindustria trapanese prese parte alla
riunione di Caltanissetta che segnò l’assunzione di una ferma posizione
degli imprenditori siciliani contro racket e cosa nostra, l’attuale
presidente Davide Durante giorni dopo l’esplodere del caso sulla
stampa, dove si mise in evidenza che quel Marceca era lo stesso che
aveva patteggiato un’accusa di favoreggiamento alla mafia, oltre che
uscirsene con una infelice osservazione, del genere “nessuno sapeva
nulla di quella condanna”, ma Marceca indubbiamente lo sapeva e non
aveva colto mai alcun aspetto di incompatibilità, e comunque le vicende
giudiziarie in cui era coinvolto più volte sono finite raccontate sui
giornali, affermò anche all’altro alla domanda di come mai prima
Coinfindustria non aveva assunto quella posizione di contrasto al
racket. La sua risposta fu di quiesto tenero, non parliamo del passato.
Eppure è cronaca recente che mentre scattavano gli arresti a Trapani e
provincia per gli appalti pilotati, le tangenti pagate dagli
imprenditori, gli imprenditori stessi andati in Truibunale a raccontare
cosa subivano, l’ex presidente Culcasi, d’accordo con il comitato
direttivo del quale Durante faceva parte, scrisse una lettera al
ministero degli Interni per lamentare lo scarso controllo del
territorio, evidenziando il tragico caso dell’uccisione del commesso
del market Gea dopo che questi aveva sventato una rapina. Tema
importante ma altrettanto a quello dell’infiltrazione mafiosa
nell’impresa sul quale ancora oggi viene mantenuto silenzio. Non è vero
che gli imprenditori a Trapani non hanno denunciato o collaborato con
gli investigatori: ce ne sono diversi di casi, ma rispetto ai quali
Confindustria non ha mai espresso una parola.
E’ storia di questi
giorni di due imprenditori Nino Spezia e Mario Sucameli andati in
Tribunale a raccontare in che modo la mafia, non quella dei decenni
addietro, ma quella di questi giorni da Virga a Pace, riusciva a
condizionare e controllare l’imprenditoria. E’ storia di questi giorni
che il nome di un grosso imprenditore Morici sia stato citato in
tribunale da alcuni testi a proposito di tangenti pagati da questi a
funzionari pubblici della provincia. Nè nell’uno nè nell’altro caso
Confidustria ha fatto sentire la propria voce, anzi c’è di più la
rassegna stampa pubblicata sul sito di Assindustria Trapanese non
contiene uno solo dei titoli di giornale riferiti a queste cronache
giudiziarie. Giorni addietro è stata depositata la sentenza con la
quale un gruppo di imprenditori sono stati condannati per mafia e
appalti pilotati, il giornale La Sicilia ha pubblicato un documentato
reportage sui contenuti di quella sentenza, anche in questo caso il
silenxio di Confindustria che non è proprio paragonabile a quello degli
“innocenti”.
Oggi ci si racconta che finalmente si muove qualcosa per
fare nascere l’associazione antiracket a Trapani. Seguiamo questa
iniziativa con attenzione ma anche preoccupati che al solito possa
essere solo retorica: ci sorge qualche dubbio quando leggiamo che il
problema è quello di prevedere vie d’uscita nel caso si scopra che
qualche iscritto o futuro diruigente si possa scoprire invischiato in
faccende mafiose o paramafiose. La posizione merita da una parte una
positiva valutazione, si prende atto che il mondo dei complici di Cosa
Nostra è così vasto che il vicino persona insospettabile potrebbe
risultare invischiato, ma dall’altra parte non si colgono le maniere
con le quali si dovrà cercare di convincere un qualsiasi soggetto
estorto a denunciare o a rivolgersi all’antiracket.
L’associazione
antiracket non può essere un problema di poltrone e presidenti, o
almeno non può essere solo un problema di presidente, visto che per un
lungo periodo presidente di un’associazione antiracket trapanese,
quella istituita ad Alcamo, fu un ex presidente di Confindustria,
l’ing. Marzio Bresciani, che citato in Truibunale dopo che un pentito
raccontò che lui pagava il pizzo addirittura a due cosche, quelle di
Alcamo e Calatafimi, perchè la sua azienda sorge a confine dei due
territori, negò anxhe l’evidenza. Non una parola viene detta da
Confindustria a proposito dei protocolli di legalità, quelli che
dovrebbero accompagnare la stipula di qualsiasi contratto di pubblico
appalto e che dovrebbe contenere norme sanzionatroie a danno di quelle
imnprese che sfuggono alle norme di legge, che decidono di accordarsi
con Cosa Nostra ed i suoi complici.
Non una parola viene pronunziata si
torna a dire sulla storia della provincia di Trapani ricca di esempi di
contaminazione del mondo imprenditoriale da parte della mafia ma anche
per la disponibilità degli stessi imprenditori. Dieci anni addietro
venne condotta dalla Polizia una operazione antimafia a Castelvetrano,
fu denominata “progetto Belice”, in manette finì Salvatore Messina
Denaro, figlio e fratello di boss, di Francesco e Matteo. L’anziano
patriarca Francesco morì di crepacuore proprio per quell’arresto, e
venne fatto trovare disteso nei pressi di un cancello nella contrada
Airone di Castelvetrano, i familiari avvertiti accorsero e coprirono
quel corpo con un cappotto di astrakan. Salvatore Messina Denaro era
preposto di banca, la Sicula prima e la Comit dopo. In quella indagine
intercettati finirono alcuni colloqui dove si parlava di un impresa, la
Durante, facente capo a Nino, fratello dell’attuale presidente di
Confindustria trapanese Davide. Durante pare conosceva bene i Messina
Denaro e tra le pagine di quell’ordinanza c’è anche un episodio di
estorsione, a Salvatore Messina Denaro venne chiesto come comportarsi
con due soggetti, “sono la stessa cosa rispetto a me” rispose il buon
Salvatore.
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