La militarizzazione imposta in Abruzzo – a più di un mese dal sisma
– rischia di diventare il vero punto debole del governo. Percepita
inizialmente come efficienza nel coordinamento dei soccorsi e poi come
prevenzione dello sciacallaggio, ora è proprio la crescente
militarizzazione a provocare reazioni di dissenso tra gli sfollati. E
la preoccupazione aumenta con l’avvicinarsi del G8. Evento di cui si sa
poco (gli interventi e le opere previste sono, ovviamente, coperte dal
segreto) ma di cui, comunque, si temono gli effetti.
La situazione è sempre più pesante sia a L’Aquila che nelle altre aree colpite dal sisma.
Diversi quartieri e l’intero centro storico del capoluogo, insieme a
quelli delle frazioni e dei comuni del circondario, sono stati
dichiarati “zone rosse” in cui è impedito l’accesso agli stessi
residenti. La notte scatta una sorta di coprifuoco in cui gli unici
mezzi in movimento sono quelli di esercito e forze dell’ordine, mentre
videocamere ed elicotteri attrezzati con visori notturni, tengono sotto
controllo tutto ciò che si muove. Contemporaneamente, alle forze
dell’ordine s’impartiscono ordini schizofrenici: si controllano gli
scontrini ai venditori di porchetta ma non si vigila sullo smaltimento
dei rifiuti, si cerca di impedire ai giornalisti di testimoniare le
reali situazione di emergenza e contemporaneamente si abbassa
l’attenzione sulla “conservazione” delle prove dei crolli “anomali”.
Intanto, tra le decine di migliaia di sfollati ci si comincia a rendere
conto che il primo mese è passato senza che nessun intervento sia stato
realizzato per consentire almeno l’accesso nelle “zone rosse”: non solo
non sono state rimosse le macerie o messi in sicurezza gli edifici
pericolanti ma nelle abitazioni inagibili non sono stati nemmeno
svuotati i frigoriferi, con rischi di possibili epidemie.
Con i primi dubbi, si manifestano i malumori dovuti agli ultimi
provvedimenti presi nelle tendopoli gestite dalla Protezione civile. Da
una settimana, agli sfollati sono stati imposti braccialetti e
tesserini di riconoscimento da esibire a ogni accesso. L’erogazione del
servizio mensa ai terremotati degli accampamenti autogestiti è stata
sospesa, come è successo a Paganica o Civita di Bagno.
In una tendopoli de L’Aquila, il servizio è stato negato ai vigili del fuoco che protestavano per la fila eccessiva.
Non si tratta di circolari ufficiali della Protezione civile. A
decidere il giro di vite sono i singoli capi campo che a ogni
avvicendamento reinterpretano i regolamenti in maniera più o meno
rigida, fino al punto di sfiorare il libero arbitrio: in alcune
tendopoli, come a Fossa, alcuni residenti sono costretti a ridiscutere
il diritto a una tenda a ogni cambio del capo di turno, che impone
un’applicazione burocratica delle direttive.
In questo clima, molte associazioni di volontariato disertano i
magazzini della Protezione civile, preferendo distribuire gli aiuti
direttamente agli sfollati degli accampamenti spontanei.
Gli abruzzesi stanno lentamente uscendo dal trauma emotivo causato dal
terremoto e cominciano a rendersi conto della situazione in cui sono
precipitati. Rimane la paura delle scosse che non si fermano ma aumenta
la consapevolezza del futuro che li attende, e non ci stanno.
Gli enti locali, esautorati di ogni potere reale, cominciano a reagire
e tentano di rompere il muro di silenzio e di far sentire la loro voce
critica.
Nascono anche i comitati spontanei: prima quelli creati da gruppi di
studenti, professionisti, insegnanti, artisti e associazioni culturali,
sportive o di categoria, ora
quelli nei singoli paesi o tendopoli. E la prima richiesta è quella dell’informazione.
Sarà un caso, ma è stata interrotta da alcuni giorni la distribuzione
gratuita dei principali quotidiani nelle tendopoli e le edicole aperte
in tutto il territorio si contano sulle dita di una mano.
Per ognuno di essi un solo comune denominatore: autorganizzarsi per
rivendicare i diritti elementari di cittadinanza. Le rivendicazioni
sono numerose: critica serrata al decreto del governo; rifiuto della
militarizzazione del territorio; lotta allo smembramento
dell’università e al trasferimento delle sedi istituzionali in altri
territori; diritto dei cittadini a decidere i modi e i tempi della
ricostruzione; ripresa dell’economia locale; garanzie contro le
infiltrazioni della criminalità organizzata; difesa del territorio e
dell’ambiente; recupero di monumenti, centri storici e opere d’arte. La
progressiva sospensione dello Stato di diritto ha creato numerosi
problemi alla società civile.
Ma quello che ora preoccupa il governo è che si verifichi una saldatura
tra le rivendicazioni degli enti locali e quelle dei comitati
spontanei. In questo quadro, i comportamenti muscolari della Protezione
civile vengono letti anche come segnali di nervosismo.