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Bilancio partecipativo e legalità

Di Veleria Meta il . Lazio

Quali strumenti può mettere a disposizione l’economia per favorire la partecipazione dei cittadini e contrastare la corruzione?  Questo il tema al centro della tre giorni di dibattiti, incontri e workshop organizzati dalla Regione Lazio dal 14 al 16 maggio negli spazi della Città dell’Altra Economia a Testaccio.

Tre giornate che vedranno rappresentanti della istituzioni, economisti ed esponenti delle associazioni confrontarsi sulle esperienze partecipative e le relative politiche economiche in Italia e in Europa. A inaugurare i lavori del convegno, la conferenza-dibattito dal titolo “La democrazia trasparente” a cui hanno preso parte, fra gli altri, l’assessore regionale al Bilancio Luigi Nieri e Francesco Forgione, coordinatore del progetto Casa della Legalità della Regione Lazio.

La tavola rotonda è stata l’occasione per riflettere sulla trasparenza dei bilanci e la partecipazione dei cittadini nella distribuzione degli investimenti pubblici in funzione di contrasto al fenomeno mafioso. Introdotta da Nieri, che ha tracciato un quadro delle pratiche partecipative avviate nel Lazio (che con 144 comuni attivi in questo senso si colloca al prima posto in Europa) e dell’iniziativa della Regione volta a rendere il bilancio leggibile e accessibile a tutti i cittadini, la discussione si è spostata sul terreno della stretta attualità con l’intervento di  Tonio Dell’Olio, della presidenza di Libera: “Di fronte al decreto sicurezza approvato oggi, legalità può significare adeguarsi alla norma che impone la denuncia dell’immigrazione irregolare?

Evidentemente questo concetto va rivisto in senso democratico, come patto di lealtà stipulato fra l’individuo e la comunità di cui fa parte. È qui che l’azione dello Stato ha finora fallito – ha aggiunto Dell’Olio – nel sollecitare il senso d’appartenenza che solo è in grado di dare senso all’osservanza delle leggi.” Sulla stessa lunghezza d’onda anche il professor Umberto Allegretti, docente dell’Università Normale di Firenze, che ha posto l’accento sulla necessità di porre in essere organismi di controllo che intervengano, come sancito dalla Costituzione, qualora si verifichino fenomeni di corruzione e garantiscano il corretto e trasparente utilizzo del denaro pubblico.

Un problema richiamato anche da Ivan Cicconi dell’associazione Itaca, che ha imputato la difficoltà degli interventi di controllo alla tendenza alla privatizzazione degli istituti contrattuali pubblici che finiscono per prestare il fianco alle infiltrazioni malavitose. Per questo, ha dichiarato Francesco Forgione non appena presa la parola, partecipazione e democrazia rappresentano un tema centrale nella lotta alla mafia, che deve necessariamente varcare i limiti dell’ambito giudiziario. “

In questo senso – ha detto l’ex presidente della Commissione parlamentare antimafia – occorre ridefinire le categorie delle organizzazioni mafiose, inquadrandole nei processi di modernizzazione della società e delle imprese. Devono far riflettere i dati che vedono l’Italia al penultimo posto in Europa per quanto riguarda la percezione della corruzione: significa che diciassette anni dopo Tangentopoli non esiste un dibattito su un fenomeno diventato normale in aree a bassa partecipazione”.

 Per comprendere la realtà mafiosa nella sua complessità è necessario cioè coglierla non soltanto all’interno della dimensione penale, ma principalmente nel suo essere diventata un bisogno sociale in mancanza di legami fra la politica e il cittadino. Fino a quando saranno utilizzati strumenti di contrasto come l’esercito, la lotta sarà vana perché affronta il problema come fosse uno stato emergenziale e non un fenomeno strutturale. “L’unica possibilità di successo sta nel prosciugare il brodo sociale in cui la mafia prospera, ma per farlo c’è bisogno di un intervento articolato che sia in primo luogo culturale.”

Nel suo lungo e appassionato discorso, Forgione ha inoltre toccato il tema delle presenze malavitose nel Lazio: “Quello che è successo a Nettuno è la dimostrazione che non basta sciogliere il Comune per rimuovere infiltrazioni della ‘ndrangheta che durano da anni, perché il loro grado di pervasività è altissimo. Lo stesso vale per Fondi: non siamo più di fronte a mere infiltrazioni, ma a pezzi di territorio sottatti alla partecipazione democratica che vanno riconquistati.” Cosa si può fare allora dal punto di vista legislativo? “Attenzione, occorre un’analisi delle potenzialità criminogene delle leggi: la regola del massimo ribasso nell’assegnazione degli appalti, il silenzio-assenso anziché il silenzio-diniego nell’urbanistica, l’autocertificazione per beneficiare dei fondi dell’Unione Europea non lasciano forse più di una porta aperta alla mafia?”

Bisogna insomma che la legge recepisca la dimensione dinamica del fenomeno mafioso, il suo potere di contrattazione diretto; si muove in questa direzione la normativa sullo scioglimento dei consigli comunali, redatta dallo stesso Forgione nel 2007 e inserita nel recente decreto-sicurezza, che prevede, oltre alla rimozione dei vertici politici anche lo smantellamento della pubblica amministrazione. Infine, Forgione è intervenuto sul caso Fondi: “Bisogna che il governo dica finalmente una parola chiara sullo scioglimento del Comune e che si proceda alla bonifica dell’amministrazione, cosa che non si è fatta a Nettuno. Non è mai stato affrontato il rapporto che lega mafia, politica e pubblica amministrazione e che è emerso in tutta chiarezza negli scandali della sanità nel Lazio: la mafia rappresenta cioè una struttura di mediazione fra il mondo politico e i bisogni dei cittadini. È a questo livello – ha concluso Forgione – che occorre intervenire.

Non serve più Stato, come qualcuno dice, ma più repubblica, che viene prima dello Stato e investe il sistema di valori e di diritti condivisi.” Un progetto ambizioso, che però – questo il senso ultimo del dibattito – costituisce la sola possibilità di salvezza per il Paese.

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