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Agrocemento

Di Luigi Colombo il . Campania

Era la terra indiscussa del rosso San Marzano.
Situata nel mezzo del bacino idrografico del fiume Sarno, pezzo
imponente della Campania Felix, l’oasi felice dell’Agro
sarnese-nocerino è oggi una terra martoriata dal sacco edilizio e dalla
criminalità. La nuova “primavera”, più volte annunciata, con opere di
riqualificazione urbanistica e progetti volti alla riscoperta delle
tipicità della sua naturale vocazione agricola, è ancora lontana dal
realizzarsi. Quello che balza subito agli occhi è un territorio
stravolto dallo sregolato sviluppo industriale degli anni ’50 e ’60,
che ha lasciato in eredità essenzialmente le ciminiere degli altiforni
che ancora costellano il territorio.

Oggi l’Agro è un’enorme città composta da tredici comuni su una superficie di 158 chilometri quadrati con 285.662
abitanti ed una densità di popolazione pari a 1.807 abitanti per Km2,
nella quale negli ultimi quattro anni, secondo i dati delle polizie
municipali, almeno 300mila metri quadrati di terreno agricolo sono
stati cementificati illegalmente. Così, lo sviluppo urbano forsennato e
senza senso ha ulteriormente ampliato le criticità dell’assetto
idrogeologico di una zona già storicamente instabile, soggetta
ciclicamente a frane e colate di fango (le ultime ferite recenti nei
comuni di Sarno, Siano e Bracigliano con 161 morti nel ’98, e a Nocera
Inferiore nel 2005 con tre vittime).

Negli ultimi 20 anni, oltre 27mila
persone sono state denunciate per abusi edilizi, in pratica il 10%
della popolazione residente. Dal 2004 al 2008 per reati legati alle
violazioni urbanistiche sono stati iscritti nel registro degli indagati
dalla Procura di Nocera Inferiore almeno seimila persone, fra cui 35
tra funzionari comunali e amministratori pubblici (Il Mattino, 10 marzo
2009, dati forze dell’ordine). Scempi edilizi spesso eclissati dietro
l’ormai classica definizione di “abuso di necessità”, ma che, invece,
con sempre maggiore frequenza consentono di trasformare, grazie a
concessioni per uso agricolo, ruderi di campagna in lussuose ville.
Così mentre diminuiscono gli abusi realizzati in assenza totale di
autorizzazioni, crescono in maniera abnorme le opere costruite in
difformità rispetto a quanto dichiarato nella richiesta di concessione.
Per il «Sole 24 ore» – in un’inchiesta sull’abusivismo edilizio
pubblicata a gennaio 2009 – la provincia di Salerno detiene la maglia
nera in Italia in fatto di illeciti ambientali, con ben 93mila
particelle che al catasto risultano aree verdi, ma che in realtà sono
coperti da cemento illegale.
Eloquenti, a tal proposito, i risultati dell’operazione di tutela
ambientale denominata “Easy house” dei Carabinieri che, dal novembre
2007 al luglio 2008, hanno passato al setaccio la documentazione
relativa alle richieste di concessione ad uso agricolo – già rilasciate
o in fase di istruttoria – giacenti presso l’ufficio assetto del
territorio del comune di Nocera Superiore, nell’ambito di una vasta
inchiesta sui fabbricati rurali trasformati in ville con piscina.
Nell’arco delle indagini sono state denunciate ben 171 persone tra cui
tecnici comunali, liberi professionisti, imprenditori edili e privati
cittadini e sottoposto a sequestro (probatorio e/o preventivo) più di
35 fabbricati rurali, per un valore commerciale presunto di oltre 14
milioni di euro.
In un caso (indagine dei Carabinieri del novembre 2008) è stata posta
sotto sequestro una scuola dell’infanzia privata che esercitava la
propria attività all’interno di uno stabile che da pertinenza agricola
era stato illecitamente adibito a attività scolastica. Il pm del
Tribunale di Nocera Inferiore Elena Guarino, tra quelli maggiormente
impegnati alla procura nocerina in materia di illeciti urbanistici, in
un’intervista al Mattino (10 marzo 2009) ha espresso forti dubbi
sull’operato dei funzionari comunali. «Se il titolo concessorio
rilasciato per una costruzione è illegittimo – ha annotato il pm –
vuole dire che i funzionari comunali degli enti pubblici non conoscono
perfettamente le norme dei procedimenti oppure potrebbero sussistere
collusioni con chi richiede il permesso a costruire». Collusioni che in
più di un caso sono state contestate a funzionari comunali. A seguito
di un’indagine dello stesso magistrato (conclusa nel dicembre 2008) fu
indagato, tra gli altri, un geometra in servizio presso l’ufficio
tecnico del Comune di Sarno accusato di aver preteso una “mazzetta” da
10mila euro “offrendosi” di eseguire dal punto di vista tecnico i
lavori di costruzione abusiva per conto di due coniugi, garantendo che
si sarebbe occupato non solo della questione tecnica e della pratica di
condono, ma anche della stessa esecuzione dei lavori. Opere che, a suo
dire, sarebbero state completate senza alcun controllo da parte dei
vigili urbani. Un silenzio che in realtà non fu mai comprato, visto che
gli stessi agenti procedettero regolarmente al sequestro del manufatto.

Episodi di abusivismo che quasi mai si concludono come
vorrebbe la legge, ossia con le demolizioni. In cinque di questi
tredici comuni (Angri, Nocera Inferiore, Sarno, Scafati, Roccapiemonte)
Legambiente Campania ha censito 3479 ordinanze di demolizione emesse a partire dal 1998 (1795 riferite a immobili completamente abusivi). Al 31 dicembre scorso solo 42 ordinanze sono state regolarmente eseguite. In pratica lo 0,8%.
La maglia nera tocca al Comune di Nocera Inferiore con mille ordinanze
di demolizione emesse e zero eseguite. Sul totale 610 provvedimenti
sono stati sospesi a seguito dell’avvio di procedimenti amministrativi
presso il Tar. Seguono le città di Scafati (858 immobili da abbattere,
la metà completamente abusivi, nessuna esecuzione) e Sarno (800 totali
di cui 740 completamente abusivi e solo 20 demolizioni eseguite).

Negli stessi comuni a seguito dei tre condoni (L.
47/85, 724/94 e 269/2003) sono state presentate ben 19474 richieste di
condono: sostanzialmente una nuova città di medie dimensioni tutta da
ri-mettere in regola. Per la gioia delle casse comunali 11.400 pratiche
sono già state accolte e solo 582 respinte. I restanti fascicoli sono
ancora in fase di istruttoria, accantonati nei vari uffici comunali.
Stavolta i più solerti sono stati i cittadini sarnesi che hanno
presentato dall’85 ad oggi 5179 richieste. Tenuto conto che la
popolazione sarnese residente si attesta da anni sui 31mila abitanti,
in meda quasi uno su tre ha chiesto di essere “condonato”.

>Anche nell’Agro, ovviamente, dietro la speculazione del
cemento si è arricchita la criminalità organizzata, molto forte in
questa terra anche se apparentemente invisibile, con influenze multiple
legate proprio alle particolarità territoriali. La conformazione
geografia – nel mezzo di tre province (Napoli, Salerno e Avellino) – ha
reso possibile il collegamento, e talvolta aspre guerre – con gruppi
criminali di diversa collocazione. Terra di conquista per i clan
storici dell’area vesuviana e casertana (di recente è l’allarme della
Dda per il nascente interesse del clan dei Casalesi), nonché area di
espansione per i nuovi equilibri salernitani e per lo sviluppo dei
gruppi dell’avellinese, i Graziano su tutti.

SARNO, STORIA DI UN SACCHEGGIO
Per capire l’interesse delle organizzazioni malavitose in queste zone,
occorre fare qualche passo indietro nel tempo. Dove un tempo imperavano
Carmine Alfieri e Pasquale Galasso
adesso comandano i loro capizona scampati alla decimazione delle
cosche, nell’attesa di accaparrarsi nuovi affari. Resi possibili,
questi ultimi, da connivenze con le pubbliche amministrazioni o dal
clima di terrore instaurato con le stesse. In un territorio ritenuto da
sempre una vera e propria roccaforte della camorra campana, il 4 e il 5
marzo 2008, due mesi esatti prima della frana di Sarno, davanti a
Ottaviano Del Turco e alla commissione parlamentare Antimafia sfilarono
i sindaci dell’Agro nocerino – sarnese e tutti tennero a minimizzare e
rassicurare. Il coro fu rotto solo dall’allora Sindaco di Sarno Gerardo
Basile, il quale disse ai senatori e deputati venuti da Roma che «non
appena si è saputo della possibile approvazione del piano regolatore,
sono iniziati i primi problemi», una possibilità che lo spaventava e,
infatti, si era «fermamente opposto ad essa in consiglio comunale»,
perché avrebbe potuto riaprire «vecchi appetiti». Perché questa
ammissione di paura? È più che noto che l’attuale collaboratore di
giustizia Pasquale Galasso, nel periodo in cui era a capo di una delle
maggiori cosche campane, faceva affari nella città di Sarno, dove la
famiglia gestiva una concessionaria e esercitava sulle vicende edilizie
di quel comprensorio un controllo totale. A conferma di ciò, il 23
giugno del ‘93 il presidente Scalfaro decise di sciogliere il consiglio
comunale sarnese proprio per la palese sottomissione del Comune ai
camorristi: nella camera da letto della casa di Galasso era stata
trovata una copia autentica del piano regolatore della città.

Tornando a quella seduta della commissione antimafia,
il 16 maggio del 1998 sul Corriere della Sera comparirono i verbali
ancora riservati dell’audizione del sindaco Basile, nella quale lanciò
timori anche rispetto all’apparato burocratico dell’ente. «Tutti i
funzionari coinvolti sia nel dissesto del Comune sia nelle attività che
hanno portato allo scioglimento del consiglio sono rimasti al loro
posto e non è stato adottato alcun provvedimento nei loro riguardi.
Ditemi come può un sindaco operare in queste condizioni: ha le mani
legate! Il sindaco, infatti, oggi ha senz’altro potere, ma chi comanda
veramente sono i funzionari». E ancora: «Le questioni relative alla
confisca dei beni Galasso… riguardano anche Sarno, dove ci sono
alcuni immobili, anche perchè, oltre a Pasquale Galasso, vi sono i suoi
cugini, Ciro e Antonio Galasso. Molto spesso è arrivata e continua ad
arrivare notizia di sentenze con le quali vengono condannati questi
personaggi. Però i loro beni, nonostante sia in atto l’operazione di
confisca e il Comune si sia offerto di assicurarne una destinazione,
non sono stati ancora affidati. Che garanzia ha il sindaco che prende
in consegna questi beni?». Dalla lettura dei verbali appare un sindaco
quasi terrorizzato. «Parlo così perché ultimamente anch’io ho subito
qualche torto e mi sono pervenute lettere minatorie… Ritengo che
siano atti fantasiosi di qualcuno che ha voluto scherzare, comunque non
era mai avvenuto prima. Proprio in questo momento, invece, in cui sono
prossimi l’approvazione del piano regolatore, nuovi insediamenti
industriali e la realizzazione di importanti lavori, mi arrivano
minacce volte a farmi consegnare le dimissioni». Parole, vale la pena
ricordare, che sono state pronunciate prima ancora dell’evento tragico
del maggio ’98, che dopo i morti e la distruzione fece riversare sul
quel comune una pioggia di finanziamenti che risvegliò ancora di più
gli interessi delle organizzazioni camorristiche.

E quando lingue di terra e acqua si staccarono
impetuose dal Monte Saro, le ditte in odore di camorra sono erano già
lì, alcune addirittura pronte a spalare il fango. Non si contano, negli
anni successivi, gli attentati incendiari ai cantieri, le minacce agli
imprenditori. Quando poi l’imprenditore-camorrista inciampava in un
prefetto che bloccava ogni piano, non rilasciando il certificato
antimafia perché pronto a captare la presenza del clan, ecco pronta la
via alternativa, quella che non prevede neppure i controlli: il nolo a
freddo. Scattava così il meccanismo del noleggio di macchinari e
manovalanza all’impresa aggiudicataria, solitamente di caratura
nazionale e lontana da ogni sospetto. Un subappalto occulto, un metodo
sicuro per dribblare veti e verifiche e lavorare ugualmente per conto
dell’organizzazione camorristica.
Le inchieste della magistratura negli anni successivi al ’98 puntano
proprio su questo. Vennero eseguite decine di arresti nei comuni
colpiti da quella sciagura. Il 3 giugno del 2004, nel giorno stesso in
cui il giudice del Tribunale di Nocera Inferiore, Bartolomeo Ietto,
leggeva la prima sentenza di assoluzione per il sindaco Basile,
accusato di omicidio colposo plurimo per il mancato sgombero della
popolazione nella notte fra il 5 e il 6 maggio ‘98 (sarà poi assolto
anche in Appello nel settembre del 2008), la Dia diede esecuzione
all’Operazione “Ametista” che permise di colpire al cuore un clan
collegato alla famiglia Graziano di Quindici. Tredici ordinanze di
custodia cautelare notificate, tre noti imprenditori edili finiti nella
rete accusati di favoreggiamento, per aver avuto un atteggiamento
omertoso al cospetto degli inquirenti. Quello che alla fine hanno
smascherato gli inquirenti è il tentativo di infiltrazione della
camorra nei lavori per la ricostruzione e la messa in sicurezza delle
zone di Sarno, Siano, Bracigliano e Quindici. In particolare, l’azione
investigativa consentì di seguire l’evoluzione degli equilibri
criminali nella zona, con il progressivo, capillare ingresso del clan
di Quindici nella gestione delle attività estorsive ed il tentativo, da
parte del gruppo Graziano, di conquistare il controllo totale sui
lavori di ricostruzione, in particolare del nuovo ospedale Villa Malta
e dei canali di regimentazione delle acque: uno sgarro al clan Serino,
egemone fino ad allora nel territorio sarnese.

Altro che territorio tranquillo, come da più parti si
vorrebbe far intendere. Così mettere mano a “questioni importanti”,
come redigere il piano regolatore (Puc) a Sarno, può significare dare
sfogo agli appetiti dei clan. Sarà un caso ma dal 1972 – anno in cui
venne approvato un piano di fabbricazione, ormai del tutto inadeguato
alle esigenze del territorio – la città di Sarno non riesce ad avere un
proprio piano regolatore generale. Eppure, ultimamente, qualche
tentativo c’era stato. Nel 2002 l’allora amministrazione comunale
sarnese (ampia coalizione di centro sinistra) indisse un concorso
internazionale per scegliere il progettista cui affidare l’importante
lavoro. Fu scelto il gruppo capeggiato da Stefano Boeri, architetto e
phd, già il direttore della rivista Domus e docente di Progettazione
urbana presso la Facoltà di Architettura di Venezia. Un personaggio di
spicco nel panorama internazionale che faceva ben sperare. Boeri e il
suo staff avviarono una “progettazione partecipata”, un modo nuovo di
intendere la redazione del piano, partendo dal basso, incontrando
cittadini, associazioni, comitati di quartiere, in una serie di
“passeggiate” nelle diverse aree del paese. Un anno e mezzo dopo, però,
quel consiglio comunale fu sciolto, sotto i colpi della stessa lacerata
maggioranza. Dopo un anno di commissariamento le urne decretarono la
vittoria di compagine dell’opposto schieramento politico. Il sindaco,
eletto nelle fila di Forza Italia, dichiarò subito – per senso di
continuità – la piena fiducia all’architetto milanese. Ma sembrò fin da
subito un rapporto più di odio che d’amore. Una “unione forzata”
sfociata, infatti, qualche mese fa, con le dimissioni di Boeri. E con
accuse dure del progettista: «Com’è noto – scrisse il tecnico in una
lettera indirizzata al Comune – nel dicembre del 2005, avevamo
presentato al consiglio comunale la bozza del piano urbanistico, che
proponeva di bloccare lo sviluppo urbano nella piana agricola, di
combattere l’abusivismo spostando risorse sul recupero dei centri
storici, di valorizzare le attività produttive, di salvaguardare il
paesaggio montano e fluviale. Oltre che naturalmente di impedire
qualsiasi nuova costruzione o ristrutturazione nelle zone a rischio di
smottamento». Ma questo progetto «non è mai stato seriamente discusso
dal consiglio comunale, né la sua approvazione è stata messa all’ordine
del giorno della giunta comunale. Al contrario, in questi 3 anni sono
state rilasciate un numero spropositato di concessioni edilizie (ben 53
nuove concessioni nell’area urbana e 29 nelle zone agricole), senza
chiederci un parere preventivo. E’ bene ricordare che molte di queste
licenze sono totalmente in contraddizione con gli indirizzi della bozza
di preliminare. Non solo: non ci è stata mai fornita la mappatura
aggiornata dell’abusivismo edilizio che avevamo più volte richiesto.
Ancora più grave è stata la scelta del Comune, nel luglio 2005, di
approvare una delibera, con il voto unanime dei consiglieri, che rende
abitabili (a soli 10 anni dall’alluvione!) tutti i piani interrati. Una
scelta che ci è stata comunicata a delibera votata». Prima di lasciare
Boeri l’aveva lanciata grossa: «Per sei mesi basta concessioni edilizie
– chiese l’architetto al consiglio comunale. In attesa di redigere,
entro sei mesi massimo, il nuovo puc è necessario bloccare ogni
provvedimento edilizio che autorizzi o consenta la realizzazione di
interventi che determino un aumento del carico insediativo sul
territorio del comune». Così da puntare al recupero delle tantissime
unità abitative (circa 3000 censite dallo studio di progettazione)
abbandonate e lasciate dal semplice degrado al totale abbandono. Boeri
volle, inoltre, rendere pubblico quanto accaduto a Sarno scrivendo una
lettera al direttore del Corriere del Mezzogiorno (apparsa a pagina 15
il 31 gennaio scorso): «Proprio la gravissima condizione in cui versano
i territori della piana del fiume Sarno – scrisse l’architetto – ci
spinge, prima di abbandonare il nostro incarico, a denunciare
pubblicamente e con forza l’atteggiamento irresponsabile della giunta e
del consiglio comunale di fronte alla possibilità di approvare — dopo
più di 30 anni di assenza — un piano urbanistico in grado di
valorizzare e finalmente salvaguardare un territorio ferito non solo
dalle catastrofi naturali, ma anche dalle inadempienze degli uomini».

Il Comune di Sarno ha già annunciato di procedere a una
richiesta di risarcimento: il tecnico milanese, poco più che
incompetente per gli amministratori locali, non avrebbe rispettato
tempi e modalità di lavoro previsti dal contratto.

Certo è che il tragico evento del maggio ’98 poco o
nulla ha insegnato ai cittadini sarnesi. In quell’anno i cantieri
abusivi scovati dai Vigili Urbani furono 74, tra opere completamente,
parzialmente abusive e violazioni di sigilli. Da allora, come se nulla
fosse accaduto, si è continuato a costruire in altre zone. Nel 2003 i
sequestri furono più di 400, l’anno successivo 300 e altrettanti fino
al 2008.

(tratto dal Rapporto Ecomafia 2009 di Legambiente)

da Colonnarotta.it

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