Quella dimenticanza di non poco conto nella traccia su Dalla Chiesa
Esame di maturità. Prima prova scritta. Due tracce parlano di mafia.
Nella Tipologia A (Analisi e interpretazione di un testo letterario italiano), la traccia porta a “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia, romanzo incentrato su alcuni omicidi di mafia. Nella Tipologia C (Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su temi di attualità), la traccia ricorda la drammatica vicenda del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia.
Nelle scuole italiane cresce da qualche tempo l’interesse per i temi legati alla legalità. Soprattutto là dove operano insegnanti non burocrati ma responsabilmente votati ad una moderna “formazione” degli allievi valida anche sul piano etico-culturale. La mafia è la più pericolosa e spietata declinazione dell’illegalità.
Buon segno quindi che ben due tracce della maturità la evochino.
Il romanzo di Sciascia (come sempre uno spaccato della realtà) si inserisce in una pagina epica del movimento contadino siciliano. Per fermare l’occupazione dei feudi e delle terre incolte, agrari, mafiosi separatisti e banditi programmarono l’uso della violenza contro i contadini e l’eliminazione fisica di quanti li appoggiavano, soprattutto i sindacalisti come Accurso Miraglia cui Sciascia si ispira. Ben 18 sindacalisti (comunisti, socialisti e democristiani) furono assassinati, oltre a 15 fra sindaci, segretari di camere del lavoro e politici. Un disegno criminale culminato nella strage di Portella della Ginestra (11 morti e 56 feriti).
Ma nel romanzo di Sciascia si sottolinea soprattutto l’infame intreccio fra mafia e politica, insieme agli ostacoli che vengono costantemente frapporti all’azione di contrasto degli investigatori onesti. In un quadro di processi in cui le prove alla fine svaniscono sempre e la conclusione sistematica è l’insufficienza di prove, cioè l’impunità della criminalità mafiosa.
Protagonista del romanzo di Sciascia è un capitano dei Carabinieri, Bellodi, che molti hanno voluto identificare proprio in Carlo Alberto Dalla Chiesa, mentre sembra che Sciascia si fosse ispirato alla figura di un altro ufficiale. Peccato che nell’allegato alla traccia su Dalla Chiesa (estratto da una commemorazione del 2012) non vi sia cenno al fatto che il prefetto antimafia di Palermo fu di fatto consegnato al suo tragico destino di morte dall’ostracismo e dall’isolamento cui era stato “condannato” dalla politica nazionale e locale: lo stesso ostracismo e lo stesso isolamento che Sciascia descrive nel suo romanzo.
Nell’allegato alla traccia su Dalla Chiesa viene invece riservato il giusto spazio al dialogo con la gente (studenti, operai dei cantieri navali, famigliari di tossicodipendenti) che il prefetto – nei suoi 100 giorni a Palermo – cercò quasi febbrilmente per dare un segnale concreto che anche lo stato era presente sul territorio.
Sembra invece dimenticato (ma c’è da sperare che i ragazzi che hanno scelto questo tema lo conoscano e lo scrivano) un fatto importantissimo: la morte di Dalla Chiesa causò al nostro paese uno shock tremendo, costringendolo però a prendere finalmente atto (con un ritardo di un paio di secoli!) che la mafia doveva essere prevista nel codice penale come comportamento vietato e punito.
Di qui l’articolo 416 bis, che trasforma radicalmente la lotta alla mafia, posto che prima (parole di Giovanni Falcone) pretendere di combatterla efficacemente era come illudersi di poter fermare un carro armato con una cerbottana.
Anche per questa “novità” dobbiamo dire grazie al sacrificio di Dalla Chiesa.
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