Immigrazione: il punto sul “trattenimento” e il reato di clandestinità
La legislazione sull’immigrazione nel nostro Paese (Testo Unico è del 1998) aggiornata con il decreto legge 113/2018 (cosiddetto decreto Salvini), convertito con modificazioni con la legge 132/2018, prevede che il “trattenimento” degli stranieri rintracciati in posizione irregolare sul territorio nazionale possa avvenire nei Cpr (Centri per i rimpatri), negli hot spot (punti di crisi) o in altre strutture idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza.
In attesa di vedere aumentata la capacità ricettiva dei Cpr (attualmente sono soltanto sei ed altri sono in fase di ristrutturazione), dove gli stranieri possono essere trattenuti fino ad un massimo di 180 giorni in seguito alle recenti modifiche, il suindicato decreto legge ha introdotto la possibilità per il Giudice di Pace, qualora non vi siano posti disponibili in un Cpr ubicato nel circondario del Tribunale di competenza, di “autorizzare la temporanea permanenza dello straniero, sino alla definizione del procedimento di convalida in strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza”. Qualora, poi, le condizioni che hanno determinato il trattenimento in strutture diverse e idonee permangano anche dopo l’udienza di convalida, il Giudice, in sede di convalida, può autorizzare la permanenza in locali idonei presso l’ufficio di polizia di frontiera interessato, sino all’esecuzione dell’effettivo allontanamento e comunque non oltre le 48 ore successive all’udienza di convalida.
La genericità della norma, che non ha individuato in modo puntuale detti luoghi di trattenimento, né ha precisato quali dovessero essere i criteri per valutare la loro idoneità a tale funzione, ha indotto, molto opportunamente, la Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere (Dipartimento della Pubblica Sicurezza), a richiedere un parere al Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
Parere che è stato espresso con una articolata nota il 15 febbraio scorso, sulla scorta della quale la suddetta Direzione Centrale ha diramato, il 19 marzo, una circolare a tutti i Questori della Repubblica con l’invito a individuare, entro il termine perentorio di sessanta giorni, “le strutture da considerarsi quali locali idonei” predisponendo “un progetto di massima per realizzare eventuali interventi manutentivi”. Costi da non superare i 142mila euro, in modo da procedere speditamente “con procedure sottosoglia” richiedendo la complessiva copertura di spesa per tutte le Questure alla Commissione Europea (fondi emergenziali FAMI 2019).
Così come avevo già scritto nei giorni seguenti all’entrata in vigore del suindicato decreto legge, le camere di sicurezza delle Questure sono il sistema di riferimento immediato (“rappresentano il paradigma a cui tali locali debbano fare riferimento”, così il Garante), ma deve essere garantita la separazione tra migranti irregolari e persone detenute del “circuito penale” ( che sono quelle che in stato di arresto o di fermo si trovano, appunto, nella camere di sicurezza).
Occorre, dunque, è sempre il Garante a sottolinearlo, che tali luoghi, essendo un surrogato dei Cpr, abbiano gli stessi standard in termini di tutela dei diritti di chi è ospitato nei Cpr “con l’unico limite della compatibilità rispetto alla temporaneità della misura”. Sarà, dunque, necessario che l’Autorità di Ps, che ha la responsabilità di detti luoghi renda pubblico l’elenco dei locali individuati all’esito del giudizio di idoneità, affinché gli organismi di garanzia possano esercitare la propria funzione di controllo indipendente.
Vengono, infine forniti una serie di criteri (scendendo nel dettaglio di metrature e di arredi adeguati, di locali doccia e servizi igienici ecc..), utili nella valutazione della idoneità di tali luoghi (inclusi importanti aspetti gestionali) in cui, è bene ricordarlo, una persona è privata comunque della libertà personale.
Una montagna di inutili carte
Sono trascorsi quasi cinque anni dall’approvazione della legge n.67 (aprile del 2014), in materia di pene detentive non carcerarie e di sospensione del processo penale con messa alla prova nei confronti delle persone irreperibili, con la delega al Governo di riformare il sistema sanzionatorio dei reati e con la previsione, tra l’altro, dell’abrogazione del cosiddetto reato di clandestinità trasformandolo in semplice illecito amministrativo.
Il reato di “Ingresso e soggiorno illegale nello Stato”, previsto dall’art.10bis del Testo Unico sull’Immigrazione, fu introdotto dal governo Berlusconi nel 2009 con il “Pacchetto sicurezza” dopo che, nel 2002, con la legge n.189 del 30 luglio ( la cosiddetta Bossi-Fini), erano state riconsiderate, rendendole più rigide, alcune procedure di espulsione degli stranieri irregolari sul territorio nazionale.
Da molti anni, dunque, dopo che agli inizi del 2016 il governo Renzi aveva ritenuto “inopportuna politicamente” la depenalizzazione di tale reato (nonostante autorevoli obiezioni di diversi magistrati tra cui Franco Roberti, allora Direttore della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo), migliaia di segnalazioni dalle forze di polizia hanno continuato il loro iter verso gli uffici giudiziari (Procure della Repubblica e, da qui, ai Giudici di pace competenti pera materia) per una contravvenzione mai pagata.
In realtà, in molti casi i processi si sono definiti con assoluzioni e archiviazioni e, in altri, con condanne a pagare migliaia di euro (la sanzione va dai 5mila ai 10mila euro), mai pagati per le condizioni di indigenza ben note in cui si trovano, di norma, gli stranieri irregolari.
La norma doveva “difenderci dalle invasioni” dei migranti (slogan generatore di forte consenso elettorale) e così, dalle oltre 13mila denunce inoltrate all’a.g. dalle forze dell’ordine nel 2009 (la legge entrò in vigore nel mese di agosto), si passò a più di 28mila nel 2012, a circa 27mila nel 2016, ad oltre 40mila nel 2017 e a 28mila nel 2018.
Una montagna di carte, di fascicoli da istruire, di notifiche, di lavoro inutile per centinaia di poliziotti, cancellieri e magistrati.
Stranieri, peraltro, quasi sempre contumaci, che non hanno pagato un euro dei cinquemila inflitti, senza possibilità di convertire la loro insolvenza in un lavoro sostitutivo o in “permanenza domiciliare”, ovvero una sorta di arresti domiciliari (aspetto disciplinato dal decreto leg.vo 274/2000). Di quale abitazione o luogo di privata dimora, infatti, può disporre uno straniero irregolare, un profugo?
Oltretutto, anche se fosse stata possibile una conversione del genere, con la sanzione minima di 5mila euro ciò avrebbe comportato una permanenza forzata di duecento giorni al domicilio, mentre, per legge, non si possono superare i 45 giorni. Inattendibile anche l’effetto dissuasivo che avrebbe determinato l’introduzione del “reato di clandestinità” con una riduzione dei flussi migratori di almeno il 10% (flussi via mare che solo nel 2018 e in questo scorcio di 2019 si sono drasticamente ridotti per effetto delle ben note misure governative di Minniti e di Salvini molto diverse e molto discutibili anche sul piano giuridico).
Va anche ricordato che negli altri Paesi dell’UE, in cui da tempo era stata data rilevanza penale alla semplice condotta di chi entra illegalmente in uno Stato, i flussi migratori non hanno avuto quelle riduzioni che i vari Governi si attendevano. Anche lungo la rotta balcanica, dove nel 2015 e 2016 erano transitati oltre un milione di profughi (flusso, poi, molto ridotto solo perché la Turchia, pagata profumatamente dall’UE, ha bloccato e continua a bloccare decine di migliaia di migranti ai suoi confini), nel corso del 2018 e in questi primi mesi del 2019 qualche “tappo” è saltato e sono diverse migliaia gli stranieri sbarcati nelle varie isole greche.
La stessa situazione che si registra in Spagna con gli arrivi da Ceuta e Melilla e dal mare, di migliaia di migranti provenienti dal Marocco, che non possono più trovare, almeno al momento, spazio sulle coste libiche.
L’accoglienza dei migranti secondo le nuove norme e le strumentalizzazioni politiche
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