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Decostruire la verità per sistemare le “cose storte”

Francesco Donnici il . Criminalità

COPERTINA CARNì (1)Non sopporto le cose storte, che ci posso fare?”, diceva questo Natale De Grazia, capitano di corvetta della Marina militare, morto in circostanze sospette nella notte del 12 dicembre 1995 mentre era applicato alla sezione di polizia giudiziaria presso la procura circondariale di Reggio Calabria e componente di un pool investigativo, coordinato dal magistrato Francesco Neri, costituito per effettuare le indagini avviate a seguito di un esposto presentato da Legambiente, concernente presunti interramenti di rifiuti tossici in Aspromonte. Una figura dimenticata forse troppo in fretta, come frettolosa è stata la volontà più o meno indotta di archiviare una pagina storica poco scritta, ma comunque macchiata di vergogna.

Tenere viva la memoria di Natale De Grazia proseguendone, in un certo senso, il lavoro d’inchiesta e portare all’attenzione degli addetti ai lavori e della comunità alcune dinamiche di un caso tutt’altro che risolto, sono i principali temi di cui tratta “Cose Storte. Documenti, fatti e memorie attorno alle navi a perdere” secondo libro di Andrea Carnì, presentato in anteprima a Libera Informazione ed edito da Falco Editore che vanta, per il tema trattato, le collaborazioni d’eccezione di Nuccio Barillà, Francesco Neri, Maurizio Torrealta e Alberto Vannucci e che vedrà la sua prima presentazione ufficiale il prossimo 12 dicembre a Reggio Calabria, la bella ed “amara” terra di Natale De Grazia, in occasione del 23° anniversario dalla sua scomparsa.

L’impegno giornalistico avutosi intorno al tema è stato apprezzabile ed ha reso testimonianza di un caso che stava quasi rischiando di passare inosservato”, dice Andrea citando le maggiori inchieste sviluppate sul tema delle navi a perdere e delle navi dei veleni, a firma – solo per richiamarne alcune – Baldessarro e Palladino. “Il problema delle precedenti e notevoli inchieste è stato quello di non storicizzare le vicende, cosa che invece i documenti ti chiedono di fare”, sottolinea Andrea. “Mi sono avvicinato al tema lavorando sulla documentazione declassificata e partendo dal principio secondo cui ogni fonte richiede una conoscenza storica. Così, ho sentito la necessità di procedere a ritroso”.

Il punto intorno al quale iniziano ad unirsi i diversi tasselli di questa storia è il dossier di Legambiente trasmesso alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta, su una serie di affondamenti sospetti di navi (88 in tutto), avvenuti tra il 1979 ed il 2000.

Affondamenti legati, come poi si scoprirà, al traffico illecito ed allo smaltimento di rifiuti “speciali”, intendendosi con questa espressione rifiuti tossico-nocivi, ma anche, in alcuni casi, quelli radioattivi. Questo è oggi uno dei business più redditizi della criminalità organizzata, anche di stampo mafioso, che in questa attività, però, non può essere autosufficiente. “Se è vero che le mafie agiscono e proliferano attraverso il traffico di rifiuti, è altrettanto vero che non gestiscono le centrali nucleari”. Nel presentare il tema, spiega Andrea, bisogna fare una distinzione che a molti sfugge, ma che forse rende meglio le complesse dinamiche che stanno dietro a questo fenomeno.

Spesso si presenta il caso delle navi dei veleni come sovrapponibile a quello delle navi a perdere: “le navi c.d. dei veleni riguardano il traffico di rifiuti pericolosi italiani ed europei verso paesi extra UE, mentre le navi c.d. a perdere riguardano più che il traffico, lo smaltimento illegale di rifiuti tossico-nocivi e radioattivi, attraverso l’affondamento nelle profondità marine”.

Entrambi i casi interessano soprattutto rotte per il traffico o lo smaltimento verso il Nord Africa con particolare attenzione per la Somalia o il Sahara occidentale, ma anche verso la Nigeria ed il Libano. Non è un caso che i paesi interessati quali recettori dei traffici, fossero, in quel periodo, palcoscenici di sanguinose guerre civili ed in totale assenza di assetti democratici.

Il lavoro di Andrea ha inoltre permesso di retrodatare il primo caso documentato dove si deve parlare di “navi dei veleni” al 1979 con l’affondamento della Klearchos a largo della Sardegna. Andrea spiega come fosse possibile, per la maggior parte, operare questi traffici e smaltimenti: “la tendenza era quella di caricare le navi con polveri di cemento o con granulato di marmo, materiali aventi delle caratteristiche tali da schermare la radioattività dei rifiuti da smaltire. Tale sistema, richiede due elementi di base, ovvero l’accurata scelta delle navi da far partire o inabissare e la corruzione di chi è chiamato a controllarne il carico”.

Un accurato racconto che parte da un’opera di “decostruzione”, soprattutto dei documenti, dei lavori e dei risultati (incompleti) ai quali sono pervenute, rispettivamente nel 2013 e nel 2017, le due Commissioni Parlamentari d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, ed investite di approfondire il caso degli affondamenti sospetti di navi straniere a largo delle coste calabresi partendo dal celebre “Relitto di Cetraro”, inizialmente identificato nel Cunski: “se si studia la documentazione declassificata, si arriverà a dei punti ciechi che richiederebbero la pubblicazione di documenti ulteriori per poter risalire ad un sistema consolidato che sembra non riferirsi a casi isolati e sconnessi tra loro, come molti, per fretta o imperizia, hanno voluto far credere”. I diversi passaggi che hanno portato ai risultati delle Commissioni, vanno interamente ripercorsi. Da qui si scopre che alcuni casi si intrecciano con altri e portano al disvelarsi di verità più ampie in materia di traffici illeciti di rifiuti e morti intorno alle quali, ancora oggi, gravitano molti interrogativi inevasi.

Due nomi su tutti, ricorrenti anche nel lavoro di Andrea, sono quelli di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: “quando penso a loro, come al capitano De Grazia, penso che siano state fatte delle gravi omissioni da parte di uno Stato che vuol dirsi democratico. Ed il motore che mi ha spinto ad intraprendere questo lavoro è stata la mia volontà di contribuire a restituire verità alle loro storie”.

Si concretizza in questo senso la collaborazione di Maurizio Torrealta che lega al tema le perplessità e gli interrogativi intorno all’uccisione della giornalista italiana e del suo operatore in Somalia. È stato come se per quel caso si volesse trovare “un colpevole ad ogni costo”, poiché un colpevole era necessario, anche più della ricerca della verità rivelatasi comunque più forte. Le inchieste di Ilaria Alpi denunciavano un sistema evidente di “mala cooperazione” dove uno Stato, il nostro, stanziava fondi volti a favorire la ripresa e la crescita economica della Somalia in ossequio ad interessi, appunto, sommersi: “dalle ricerche emerge come la 21 Oktobar, ammiraglia della flotta della Shifco sulla quale stavano indagando i due reporter, fosse stata avvistata a largo del porto di Livorno al momento del disastro del Moby Prince.”

“Cose storte” è il tentativo di dare risposta ad una serie di domande che, a poco a poco, si è evoluto in un “costante sognare”. Sogno, almeno in parte, divenuto realtà potendo contare anche sulle collaborazioni di Nuccio Barillà, firmatario ed anima alla base dell’esposto di Legambiente che diede avvio al Proc. penale n. 2114/94 R.G.N.R. e del sostituto procuratore Francesco Neri che di quel procedimento coordinò le indagini. Proprio Barillà, dedica un’ampia parte del suo contributo alla figura di Natale De Grazia, non soltanto al capitano instancabile e giusto, ma soprattutto all’uomo. Un tributo privo di qualsiasi retorica per ricordare la persona intorno alla quale si annoda il filo che tiene stretto il comune impegno dei redattori.

Impegno iniziato tra i “banchi di scuola” del Master in Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione dell’Università di Pisa. Ecco spiegata anche la collaborazione di Alberto Vannucci che ha seguito Andrea nell’elaborazione dell’archivio “Mare Nero” che ha dato impulso al progetto: “tutta la parte finale del libro è dedicata all’archivio dei documenti raccolti affinché il lettore possa approfondire il tema e di per sé accorgersi che vi sono ancora delle parti mancanti che richiedono una maggiore attenzione da parte di tutti, ma soprattutto uno sforzo in più da parte degli addetti ai lavori; è giusto che lo Stato e la Magistratura riprendano in mano le indagini, ma anche che il cittadino inizi ad interessarsi a queste vicende che non possono essere dimenticate”.

Anche in funzione di questo archivio, confessa Andrea, “il libro avrebbe dovuto chiamarsi Mare Nero, ma dopo aver osservato, nel lavoro di De Grazia, il suo bisogno di andare sempre a toccare con mano e sistemare le cose storte, ho sentito il grande senso di umanità che sta dietro a questa vicenda che di lì in poi è diventata parte di me”.

Un lavoro che raccoglie e classifica i dati, mappa le vicende, riscopre le testimonianze ed unisce i pezzi e le coscienze di chi sente ancora viva la necessità di avere delle risposte. Un “contropensiero” rispetto a chi, ancora oggi, presenta come una “bufala” la vicenda delle navi a perdere creata ad hoc per infangare l’immagine della Calabria mentre il vicino-lontano Mediterraneo pullula di esempi simili dei quali nessuno parla. Un “pensiero fake” che risuona come quel celebre ritornello intriso di vergogna che abbiamo sentito cantare mentre le nostre coscienze lentamente abbandonavano una terra al suo triste destino. Un destino che può essere ribaltato da chi, come Andrea, non sopporta le cose storte e cerca la verità attraverso un lavoro che non offre solo risultati, ma implora soprattutto un aiuto al fine di diventare punto di (ri-)partenza.

“Cose storte” non va soltanto letto, ma vissuto sulla propria pelle.

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