Il decreto legge sulla sicurezza di Salvini
Il 24 settembre scorso è stato approvato in seno al Consiglio dei Ministri il decreto legge sulla immigrazione e sulla sicurezza ampiamente pubblicizzato nelle settimane passate dallo stesso ministro dell’interno Salvini che lo ha fortemente voluto. Il provvedimento in questione prevede, tra l’altro, l’abrogazione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari, l’aumento del periodo di trattenimento nei Cpr (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), l’ampliamento dei reati per i quali si potranno negare o revocare i permessi di soggiorno di protezione internazionale. Tutto questo nella strategia politica “salviniana” tesa ad assicurare una maggiore sicurezza ai cittadini, a bloccare il flusso di migranti provenienti dal nord Africa (drasticamente ridotto in questi nove mesi del 2018), a rimpatriare tutti gli stranieri irregolari presenti sul territorio nazionale (operazione impossibile).
Le cose, in realtà, non sono così semplici come si cerca di farle passare. Il decreto in questione interviene dunque sulla materia della sicurezza pubblica, della prevenzione e del contrasto al terrorismo, sulla criminalità mafiosa, apportando modifiche al Codice Antimafia e alle misure di prevenzione personale di cui al decreto legislativo 159 del 6 settembre 2011. Se qualcuno pensava a nuovi, straordinari arruolamenti nella Polizia di Stato e nell’Arma dei Carabinieri, per migliorare realmente la prevenzione attraverso la presenza sulle strade di uomini in divisa, resterà deluso. Nessuna previsione del genere (i 2.100 agenti di polizia previsti per febbraio 2019 sono quelli che termineranno i corsi iniziati all’inizio di quest’anno) anche se nel preambolo del decreto si parla “di norme per rafforzare i dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica”.
Comunque, in attesa di vedere più poliziotti e carabinieri – attesa che sarà piuttosto lunga, di anni, se non si affronta seriamente il tema – le norme colmano alcuni vuoti esistenti, per esempio in tema di obbligatorietà da parte degli esercenti gli autonoleggi a segnalare al sistema informatico centralizzato (CED, Centro Elaborazione Dati)) del Dipartimento della Pubblica Sicurezza i dati del documento di identità esibito da chi chiede il noleggio. Evidente la finalità di prevenzione di episodi di terrorismo – con l’utilizzo, appunto, di furgoni e mezzi pesanti – che si sono registrati negli ultimi anni in alcuni Paesi europei. Oltre alla estensione territoriale del c.d. Daspo (acronimo di Divieto di accedere alle manifestazioni Sportive, disposto dal Questore) alle “aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli” e ai “presidi sanitari”, viene introdotta la norma che consente agli addetti ai servizi di polizia stradale della polizia locale, in possesso della qualifica di agenti di pubblica sicurezza, di accedere al CED “per verificare eventuali provvedimenti di ricerca o di rintraccio esistenti nei confronti delle persone controllate”. Attività, dunque, circoscritta e attribuibile soltanto ad un numero ristretto di operatori delle polizie locali, individuati con decreto del Ministro dell’Interno e soltanto in Comuni con una popolazione superiore a centomila abitanti (particolare incomprensibile).
Insomma, pare di capire che resta una sostanziale patina di “diffidenza” statale a concedere di più in tema di accesso agli archivi centrali delle forze di polizia, giustificata probabilmente anche dalla politicizzazione che caratterizza i Corpi di polizia locale che, come noto, dipendono dai Sindaci. Altre norme apportano modifiche all’art. 633 del c.p. (“Invasione di terreni o edifici”) inasprendo la sanzione penale ( reclusione fino a quattro anni e multa) nella ipotesi aggravata di cui al secondo comma, mentre si prevedono “piani operativi”, nazionale e provinciali per la prevenzione e il contrasto del fenomeno delle occupazioni arbitrarie di immobili. Fenomeno che, come noto, è stato accantonato per anni e presenta, oggi, situazioni di particolare criticità e drammaticità in diverse città.
Nel decreto ci saremmo aspettati qualche ritocco alla legislazione sugli stupefacenti, per reprimere energicamente il fenomeno criminale del narcotraffico, in particolare dello spaccio che è il grande problema criminale che più preoccupa la gente e vede impegnate le forze di polizia. E basterebbe dare uno sguardo più attento alla rassegna stampa locale pubblicata, quotidianamente, sul sito della Polizia di Stato per rendersi conto di quanto detto. È il narcotraffico e la violenza che lo accompagna il vero problema della insicurezza da affrontare. Ci saremmo aspettati anche un maggior rigore nei confronti di quei cittadini comunitari che si rendono responsabili di gravi delitti (ricordo la recente rapina in villa a Lanciano e la violenza sessuale a Milano, ad opera di alcuni malviventi romeni) apportando le conseguenti modifiche agli artt. 20 e 21 del D.L.vo 6 febbraio 2007 n°30 che prevedono una macchinosa procedura per un provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale adottabile per “motivi imperativi di pubblica sicurezza” (specificati nel comma 3 dell’art.20), per “altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza” o “per motivi di sicurezza dello Stato” ( quest’ultimo di competenza del Ministro dell’Interno). Rigore, e qualche dubbio sui profili di costituzionalità di alcune norme, che, invece si rilevano nella parte del decreto riguardante l’immigrazione.
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