È mafia
Ci davano per matti quando contavamo i morti a terra, i gambizzati, i pestaggi e le intimidazioni, gli incendi “spontanei” di attività commerciali, i fiumi di denaro e droga che invadevano la capitale. Ci davano dei visionari quando parlavamo di “Associazione Temporanea d’Impresa Criminale” insediata all’ombra del Cupolone da decenni e che coordinava e gestiva gli affari di tutte le mafie nazionali e molte di quelle estere non semplicemente presenti ma comodamente insediate a lucrare sulla nostra pelle. Ci hanno sottovalutato, noi che andavamo con la nostra penna nei quartieri a cercare di interpretare la trasformazione del tessuto sociale ed economico di Roma. La Mafia non c’era.
Oggi, con il riconoscimento dell’associazione mafiosa per i principali imputati del processo Mondo Mezzo da parte della corte di Appello di Roma, un minimo la realtà finalmente è stata ristabilita.
Ho perso il conto degli articoli che ho scritto per anni, sicuramente attorno al centinaio, raccontando semplicemente quello che era evidente a tutti quelli che per paura, pigrizia o interesse distoglievano lo sguardo. Ho perso il conto dei mesi di fatica e di fame a cui mi sono sottoposto per non mollare questa incredibile storia che colpiva e sfregiava la mia città. Quando con Floriana Bulfon scrissi il primo dei due libri che ho dedicato a Mafia Capitale (“Grande Raccordo Criminale”, edito da Imprimatur) durante le presentazioni ci guardavano allibiti. Lo scenario che mostravamo, quello che ha trovato piena conferma anche nella sentenza di oggi. E perfino 11 mesi dopo, quando scattarono per la prima volta le manette in tutta la città, la maggior parte delle persone che incontravamo (anche quelle che dovevano per ruolo e per formazione avere la capacità di capire) si rifiutava di accettare quello che era accaduto e continuava ad accadere. E sorrido ancora quando ripenso alla querela presentata nei miei confronti da due esponenti dell’attuale maggioranza che siede in Campidoglio reo di aver preso carta e penna per difendere Federica Angeli e il suo lavoro di cronista nella frontiera del Litorale Romano attaccata da un dossier (pubblicizzato e gran voce e poi sparito e mai presentato ufficialmente) dal M5S per attaccare la giornalista in prima linea e minacciata di morte dai clan locali.
Si, eravamo tutti matti. A dire quello che accadeva invece di farci “i cazzi nostri”.
Scriveva Marco Damilano nella prefazione del mio secondo libro (“Roma brucia. Mafia, corruzione e degrado. Il sistema di potere che stritola Roma”):
Oggi quel condominio sventrato, afflosciato, aggredito si trova a Roma. Fiumi di soldi sporchi, tangenti per oliare fondazioni partitiche e correntizie, le fragili carriere dei leader, unite all’intimidazione, ai politici a servizio e a busta paga. A Roma, scrive Orsatti, «le mafie hanno giocato la loro strategia di penetrazione e condizionamento anche sul piano economico, hanno stretto i rapporti con la politica e fatto politica, si sono intrecciate e rese protagoniste di trame e di progetti eversivi, hanno sperimentato una sorta di associazione temporanea d’impresa per raggiungere soldi e impunità… è fuorviante parlare di una Roma criminale, perché esiste un’Italia criminale di cui Roma è semplicemente la Capitale. Anche delle mafie».
Ė valsa la pena “farsi un mazzo tanto”? Non lo so, ma quando quello che hai scritto, detto e raccontato dopo anni trova conferma in una sentenza un filo di speranza non solo per Roma ma anche per il nostro lavoro riesco a trovarlo.
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