Agostino e quel filo insanguinato che porta a Trapani
Rino Giacalone il . Criminalità
Tutti i delitti sono atroci, ma è tremendamente agghiacciante quello di Nino Agostino, 28 anni, il poliziotto del commissariato San Lorenzo di Palermo, ammazzato assieme alla moglie Ida Castelluccio, 22 anni, davanti ai familiari di lui, nella casa dei genitori a Villagrazia di Carini, il 5 agosto 1989. Resta atroce, senza verità e giustizia per quei mali che affliggono tutti i delitti eccellenti siciliani, ossia i depistaggi, i pezzi mancanti, come li definisce il giornalista Salvo Palazzolo, le indagini portate su terreni morti. Eppure basta sfogliare alcuni atti giudiziari che c’è un puzzle che si comincia a comporre davanti ai nostri occhi.
Cominciamo da Giovanni Falcone che davanti ai corpi crivellati di Nino Agostino e sua moglie Ida Castelluccio esclamo una frase precisa: “Quel ragazzo mi ha salvato la vita”. Dal ritrovamento di quella borsa piena di morte sulla scogliera dell’Addaura erano trascorsi appena 46 giorni, un mese e mezzo. Falcone parlava di quell’episodio che finì anche commentato in maniera sgarbata da qualcuno, come se quella borsa se la fosse messa lui, piena di esplosivo posata sugli scogli nel mare dell’Addaura davanti la casa del magistrato. Falcone disse invece che quella era opera di “menti raffinatissime”. Quando ammazzano Nino Agostino qualche suo superiore si affretta a dire che il poliziotto, sebbene assegnato ad un commissariato a presidio di un territorio di forte mafia, “non aveva mai svolto compiti particolari, né si stava occupando di speciali indagini”. I colleghi di Nino raccontano altro e nel suo portafoglio viene trovato un biglietto. C’è scritto: “Se mi succede qualcosa, guardate nel mio armadio”. Da quell’armadio salta fuori un manoscritto che gli investigatori sequestrano, ma che poi si perde.
Non si perdono invece le false informazioni, come quella che Nino prima di sposarsi con Ida era legato alla figlia di un mafioso. Nessuno parla invece di una conoscenza, vera, che Nino coltivava, quella con Emanuele Piazza, agente del Sisde, forse gladiatore che ascolta la confessione di un faccendiere. Piazza è scomparso nel marzo del 1990. Per un periodo avvocato di parte civile per il delitto Agostino è stato l’ex pm Carlo Palermo, il magistrato sfuggito alla strage mafiosa di Pizzolungo del 2 aprile 1985. Palermo scopre che quella sera di agosto Nino doveva essere in servizio, poi cambiò turno per partecipare alla festa di compleanno di sua sorella Flora, che compiva 18 anni. Una talpa avrebbe informato i killer di quel cambio turno. Ma il nome di Carlo Palermo fa parte di questa storia, anche per altro verso, proprio per quella strage di Pizzolungo della quale doveva essere la vittima e per le coincidenze che portano forse a Nino Agostino.
Addaura e Pizzolungo. La miscela esplosiva è la stessa, ed è la stessa anche di quella usata per la strage al Treno Rapido 904 del dicembre 1984, è la stessa che comparirà in via D’Amelio, strage Borsellino, il 19 luglio 1992.
Falcone aveva ragione a parlare di menti raffinatissime. Ci sono trame che attraversano questi episodi, connessioni tra mafia, massoneria e servizi segreti. C’entra Gladio, quantomeno come ricostruzione storica. A Trapani nel 1987 nacque una super struttura di Gladio, ne fanno parte gli agenti chiamati in codice K, chiamati così da chi li ha creati (si legge agli atti dell’indagine della Procura di Trapani su Gladio – centro Cas Scorpione) “perché dovevano essere pronti a uccidere o farsi uccidere”.
Il faccendiere Francesco Elmo indica Emanuele Piazza come un reclutatore di agenti per Gladio. Ma dice di più. Gladio «si sarebbe resa responsabile o comunque compartecipe, nel corso degli Anni Ottanta, di una serie di clamorosi episodi delittuosi avvenuti nella Sicilia occidentale, fallito attentato a Giovanni Falcone all’Addaura, uccisione dell’agente Agostino, omicidio Pierasanti Mattarella, omicidio La Torre, omicidio Chinnici, strage di Pizzolungo». Così si legge nella sentenza di primo grado sul delitto di Mauro Rostagno. E può aggiungersi anche l’omicidio dell’ex sindaco di Palermo e forse gladiatore Giuseppe Insalaco.
Nino Agostino faceva spesso il pendolare tra Palermo e Trapani. Si occupava di Gladio, come di Gladio si occupò pure Giovanni Falcone? E fin troppo a Gladio si era avvicinato anche Mauro Rostagno? Alti ufficiali hanno detto che Gladio si occupava di lotta alla mafia, ma proprio mentre a Trapani c’erano i gladiatori Cosa nostra era in auge e ogni giorno faceva sentire il proprio tanfo. Sopratutto, Gladio era operativa a Trapani proprio negli anni in cui i più pericolosi latitanti stavano nascosti in questa provincia, e nessuno riusciva a scovarli.
Il pentito Nino Giuffrè parlando di Trapani ha detto che qui la mafia stava in pace “perché c’erano i cani attaccati”, cioè, non c’erano indagini delle quali aver paura. E se qualcuno la pensava diversamente arrivavano i killer a togliere di mezzo il fastidio. E se non c’erano i killer, arrivavano i trasferimenti di chi ficcava il naso dove non vedeva. Come accadde a Saverio Montalbano, il dirigente della Squadra Mobile che aveva scoperto gli esecutori della strage mafiosa di Pizzolungo (che finiranno assolti in Cassazione dal giudice Carnevale) o ancora andò a scoprire la loggia segreta alla quale erano iscritti mafiosi e professionisti della Trapani bene.
E allora: cosa andava a fare a Trapani un semplice poliziotto come Nino Agostino? E cosa veniva a fare a Trapani Emanuele Piazza che frattanto aveva preparato una lista di 136 mafiosi latitanti? Anche per Piazza venne messa in giro una voce dissacratoria, era sparito perché aveva scelto di fuggire via con una donna. A cosa sia servita Gladio trapanese non lo si è scoperto. Certo se avesse operato in funzioni antimafia qualcosa sarebbe saltato fuori. E invece nulla.
Il giallo poi si è fatto ancora più fitto con l’omicidio in circostanze poco chiare del capo centro, il maresciallo Vincenzo Li Causi, morto in Somalia nel novembre 1993 alla vigilia di un suo ritorno in Italia per essere sentito dalla Procura di Trapani che indagava su Gladio. Il tritolo è la traccia da seguire per tentare di andare a fondo a queste storie. A Caltanissetta è in corso un processo contro il latitante Matteo Messina Denaro, per la strage di via D’Amelio. Mandò suoi emissari a Trapani a prendere in quel 1992 quello che era rimasto della miscela esplosiva di Pizzolungo, che veniva ancora custodita dal capo mafia Vincenzo Virga. Quel tritolo comparirà in via D’Amelio il 19 luglio 1992. La strage Borsellino non fu solo strage di mafia.
Mafia e non solo mafia, come spesso si sente a proposito di certi delitti siciliani. Si dice così da qualche tempo, dopo anni di clamorosi forfait investigativi, anche per il delitto di Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio. E quello che oggi noi scriviamo è solo la prima puntata.
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