Antimafia, i reduci e i complici
Come un nastro che riavvolge la memoria, quella dei vivi e quella dei morti. Ma soprattutto quella dei vivi perché raccontare la storia dell’antimafia è anche parlare di loro; dei vivi. Magistrati, politici, giornalisti, associazioni, comitati, reti che hanno condotto dalla prima linea alle retrovie un’antimafia di cose fatte, volute, cercate mentre si dipanava – alternandosi – anche un’antimafia delle occasioni mancate, scomposte, disgregate. Ne parliamo con Claudio Fava*, europarlamentare, giornalista e scrittore autore de “I Disarmati”.
Partiamo da un’immagine. Sulla copertina del libri “I Disarmati“’c’è lo slogan coniato da Aldo Pecora all’indomani della morte del vice presidente della Regione Calabria Franco Fortugno “E adesso ammazzateci tutti”. Perché questa scelta?
Mi sembra una delle espressioni più provocatorie e più felici che abbia saputo costruire il movimento Antimafia in questi anni. Questa è una situazione in cui tu devi parlare con assoluta chiarezza, senza metafore o giri di parole, senza fingere buoni sentimenti ad una mafia che ha fatto terra bruciata nella società, che ha considerato questa società bottino di guerra, che ritiene di essere padrona della vita e della morte, oltre che dell’economia, della dignità, dei diritti. Tu devi dire: Va bene, dietro questo striscione ci sono facce di ragazzi che hanno 15 anni, come se fossero i nostri figli. Ammazzateci tutti. Cioè sfidarli, come hanno fatto i ragazzi di Addio pizzo: volantini sulle serrande dei negozi in cui scrivono: Un popolo che paga (il pizzo, ndr)è un popolo senza dignità. Nessuna tolleranza nei confronti di chi ritiene che si possa convivere con la mafia e dunque la capacità di sfidare la mafia, portarla allo scoperto, mostrarla in tutta la sua miserabile essenza, senza alcuna mitologia Mi piaceva questa foto e questa immagine per un libro e per un titolo che, invece, racconta i molti che hanno preferito lasciarsi disarmare, le mani rimaste in tasca,. gli sguardi che sono andati a poggiare altrove. Racconta quelli che non hanno avuto la prontezza, la freschezza, il coraggio dei ragazzi di Locri. Nel libro si racconta la storia dell’Antimafia, fatta di momenti alti ma anche di grandi fughe, di chi avrebbe potuto e dovuto fare e ha scelto di non fare. E’ una storia più che dei morti e degli eroi di mafia, una storia dei vivi ma anche di chi ha lasciato che molte occasioni si consumassero inutilmente.
Quanto incide nel fenomeno mafioso l’atteggiamento incolore della società? E’ peggio la “zona grigia” o la complicità?
E’ peggio una “zona grigia”.Una complicità manifesta, esibita che spesso diventa quasi uno status symbol. Mostrarti complice del mafioso a volte ti dà la forza, ti serve, nella politica negli affari, nel tuo ruolo sociale. E’ molto più insidiosa, più pericolosa, più dannosa l’area grigia, quei 100 passi fra carnefice e vittima entro i quali trovi anche gli onest’uomini, la gente perbene che, però, al momento opportuno, invece di dire tace, invece di compiere il gesto tiene le mani in tasca, invece di guardare in faccia le cose si gira dall’altra parte. La mafia si è nutrita di zona grigia, di un luogo in cui le responsabilità erano di tanti insospettabili che hanno deciso di lasciarsi disarmare, come racconto in questo libro, che avrebbero potuto fare, da giornalista, da politico, la loro parte.
E’ il limite di questo tempo: c’è un noi e un loro che separa e che sottrae anche responsabilità.
Il Ministero dell’ Istruzione ha bandito un concorso in memoria dei giudici Falcone e Morvillo chiedendo alle scuole di scrivere un articolo “Il giorno dopo la sconfitta della mafia”. Cosa scriverebbe Claudio Fava in questo giorno?
Un titolo potrebbe essere “Ricominciamo”. Si tratta di ricostruire dalle fondamenta l’idea del vivere civile affrancato dalla mafia, la pienezza del tuo destino, dei tuoi diritti, una responsabilità di riappropriarci fino in fondo della nostra vita. Sarebbe una stagione di grande forza, grande dignità, grande responsabilità, grande fatica perché credo che vivere sotto il tallone della mafia, per qualcuno, sia anche più semplice, più comodo. Sono altri che pensano per te, sono altri a cui hai consegnato la tua esistenza: alla fine ti senti in pace con te stesso, non hai bisogno di metterti in gioco ogni giorno. Il primo giorno di una terra liberata dalla mafia è un giorno in cui ciascuno torna ad essere fino in fondo cittadino e vive la pienezza delle sue responsabilità.
Alla luce del fallimento elettorale del PD, quale deve essere la proposta politica della sinistra per non giungere alle prossime elezioni con una sconfitta annunciata?
Quello che abbiamo messo in campo, “Sinistra e Libertà” una sinistra che non guarda al passato, che non è luogo di culto dell’identità, che non gioca a mostrare i propri trofei, i propri simboli, le proprie bandiere, come se fossero un modo per interpretare le storie del nostro Paese, una sinistra che ha messo in gioco i propri linguaggi modificandoli, che ha capito che occorre unirsi, ma unirsi in coerenza, quindi evitare fughe nostalgiche di una sinistra puramente e orgogliosamente antagonista ma capire come si possa costruire una sinistra che è anche capacità e responsabilità di governo se ci sono occasioni, è capace del rigore dell’opposizione quando si è all’opposizione, che è capace di rimettere al centro di questo Paese la questione morale, di riappropriarsi delle nostre parole. La parola libertà è una parola nostra, non appartiene a Berlusconi solo per essere stata sventolata dal predellino di un auto. Ricominciamo a mettere in fila l’alfabeto delle nostre parole, riempiendolo dei loro contenuti. Libertà non di edificare un piano in più nelle villette abusive ma libertà dalle mafie, per esempio.
*Claudio Fava, figlio di Pippo Fava, giornalista ucciso nel 1984 a Catania da Cosa nostra. Fava è attualmente parlamentare europeo. Autore del libro “I disarmati. Storia dell’antimafia. I reduci e i complici” è stato intervistato alla presentazione del libro, Facoltà di Lingue e letterature straniere di Catania, 28 marzo 2009.
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