D’Alì, fissata l’udienza, appello da rifare
Processo D’Alì: si riparte dal secondo grado di giudizio. Dopo che a gennaio scorso la Cassazione ha cancellato la sentenza di prescrizione e assoluzione per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, il processo ripartirà il prossimo 17 ottobre, con uguale imputazione per l’ex sottosegretario all’Interno e senatore di Forza Italia dal 1994 fino al termine della scorsa legislatura. Il dibattimento si svolgerà dinanzi ai giudici della terza sezione della Corte di Appello di Palermo. Si continuerà col rito abbreviato.
D’Alì aveva raccolto lo stesso pronunciamento di prescrizione per i fatti sino al 1994 e di assoluzione per il periodo successivo e fino al 2011, sia a conclusione del giudizio di primo grado che del giudizio di appello. I pm Guido e Tarondo, in primo grado, e il pg Gozzo in appello, avevano chiesto una condanna a sette anni. Ma è arrivata in primo e secondo grado una sorta di sentenza “andreottiana” per la formula scelta, per l’appunto prescrizione e assoluzione. Decisioni però bocciate.
La Cassazione con le motivazioni depositate a marzo scorso, accogliendo l’appello della Procura generale di Palermo, ha spiegato che si trattava di una sentenza ricca di “cadute logiche”. “Rispetto alla gravità di tali condotte – ha scritto il collegio della Cassazione presieduto da Paolo Antonio Bruno – non appare logico operare una cesura netta tra i due periodi e non attribuire alcun rilievo postumo alla vicinanza di D’Alì a personaggi di primissimo piano nel panorama mafioso ed all’asservimento ad operazioni immobiliari ed economiche funzionali agli interessi della cosca che possono dirsi accertati”. La Cassazione ha fatto chiaro riferimento ai rapporti con i Messina Denaro e hanno sottolineato: “È un fatto accertato in sede processuale che D’Alì abbia svolto attività a beneficio del massimo esponente di Cosa Nostra del tempo, Salvatore Riina, nel contempo godendo della fiducia della consorteria. Tale attività era consistita nell’intestazione fittizia di un terreno in realtà trasferito molto tempo prima ad un esponente di primo piano di Cosa nostra che non poteva figurare quale intestatario per timore di confische; D’Alì si era prestato, prima, a mantenere la titolarità formale del terreno nonostante l’avvenuto trasferimento al mafioso e l’incasso sotto banco del prezzo e, poi, anni dopo rispetto al trasferimento di fatto, alla formalizzazione della compravendita nei riguardi di un prestanome, ricevendo il pagamento ufficiale di parte del prezzo in assegni e restituendolo in contanti, con un’utilità della cosca anche in termini di riciclaggio”.
Per la Cassazione il fatto che l’ex sottosegretario a gennaio del 1994 abbia terminato di ridare il denaro a Cosa nostra non può essere ritenuto uno spartiacque tra i rapporti provati con le cosche e la cessazione degli stessi. «Si dubita della logicità del ragionamento della Corte palermitana – si è letto nelle motivazioni – nel momento in cui non prende una posizione netta sulla rilevanza al supporto elettorale fornito da Cosa Nostra a D’Alì non solo nel 1994, ma anche a quello ricevuto nel 2001. La Corte non ha spiegato, infatti, se ed in che termini il rinnovato appoggio del 2001 sia stato ritenuto dimostrato e le ragioni per cui esso non avesse un significato contra reo sia come concretizzazione di un accordo politico mafioso, sia in termini di dimostrazione della persistente vicinanza dell’imputato alla cosca – a dispetto degli anni trascorsi dall’ultimo sostegno – e dell’utilità di quest’ultima ad appoggiarlo nuovamente». Secondo la Cassazione, gli elementi raccolti evidenzierebbero “un atteggiamento” dell’imputato, non solo di per sé incompatibile con l’osservanza dei doveri istituzionali di un senatore e sottosegretario, ma altresì sintonico con la vicinanza ed il “debito” che gravava sull’imputato nei confronti della consorteria che l’aveva sostenuto. «Si tratta di profili che l’approccio settoriale prescelto dalla corte d’appello – dice la Cassazione – non ha permesso di sceverare adeguatamente e logicamente nel suo complesso e che comunque la corte, negando la rinnovazione dell’istruttoria, come aveva chiesto ai giudici di appello il pg Gozzo, non ha consentito di approfondire come sarebbe stato necessario».
Tra le parti civili costituite nel processo c’è anche l’associazione Libera. Intanto il prossimo 28 giugno riprende il procedimento dinanzi al Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani dove D’Alì affronta la richiesta della Dda di Palermo che ha chiesto contro l’ex parlamentare l’applicazione per cinque anni dell’obbligo di dimora a Trapani. Utilizzando le stesse motivazioni con le quali i giudici di appello hanno sentenziato prescrizione e assoluzione, per i pm della Procura antimafia di Palermo D’Alì è un soggetto socialmente pericoloso. Nel corso del procedimento poi il pm Pierangelo Padova ha depositato ulteriori prove sui contatti che l’ex senatore avrebbe mantenuto con soggetti di Cosa nostra. Quella del 28 giugno dovrebbe essere l’ultima udienza, a seguire la decisione.
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