Strage di Pizzolungo, nuovo processo
La Dda di Caltanissetta ha stretto il cerchio contro il boss palermitano Vincenzo Galatolo: lo accusa la figlia
La notizia era nell’aria da quando proprio Libera Informazione l’anno scorso l’aveva rilanciata, prendendo spunto da un passaggio della relazione resa dall’allora Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti. La Procura antimafia di Caltanissetta ha aperto un nuovo procedimento sulla strage mafiosa di Pizzolungo del 1985. A coordinare l’inchiesta sono il procuratore aggiunto Gabriele Paci e il pm Pasquale Pacifico.
Ci sono un paio di confessioni pesanti: quella di Giovanna Galatolo, figlia del boss Vincenzo, e quella di un altro ex boss, Francesco Onorato. Hanno svelato nuovi particolari sullo scenario dell’attentato compiuto col tritolo il 2 aprile 1985 contro l’allora pubblico ministero Carlo Palermo, da appena 40 giorni alla Procura di Trapani. Morirono una donna, Barbara Rizzo Asta, trentenne, e i suoi due gemellini Salvatore e Giuseppe di appena sei anni. Erano a bordo dell’auto che fece da scudo all’auto con a bordo il magistrato al momento dell’esplosione.
Per questa strage sono stati condannati all’ergastolo come mandanti Totò Riina e Vincenzo Virga, il capo della Cupola siciliana e il boss a capo del mandamento mafioso di Trapani, ed ancora i boss palermitani Nino Madonia e Balduccio Di Maggio, reggenti dei mandamenti palermitani di Resuttana e San Giuseppe Jato. Gli esecutori , tutti appartenenti al clan mafioso di Alcamo, sono stati condannati in primo grado ma assolti nei successivi gradi di giudizio. A cancellare ogni accusa contro di loro una sentenza pronunciata in Cassazione dal giudice Corrado Carnevale. Ma gli esecutori, tra questi l’alcamese Nino Melodia, che aveva per i pentiti in mano il timer per scatenare l’esplosione di una auto imbottita di tritolo, lasciata ferma sulla strada di Pizzolungo che ogni giorno il pm Palermo percorreva scortato, e il castellammarese Gioacchino Calabrò, nella cui officina venne imbottita di tritolo l’autobomba, e rimasto condannato solo per l’accusa di ricettazione di quell’auto che dopo essere stata rubata arrivò nella sua officina, erano proprio quelli che furono condannati in primo grado, si legge nella sentenza che ha mandato all’ergastolo Virga e Riina. Però non possono essere più processati.
Al giudizio della Corte di Assise di Caltanissetta si avvicina adesso il boss palermitano Vincenzo Galatolo, accusato in primis dalla figlia Giovanna. I pm nisseni hanno raccolto le sue dichiarazioni. Ma ci sono anche le dichiarazioni di un altro ex boss palermitano, Francesco Onorato. Enzo Galatolo è boss dell’Acquasanta di Palermo, condannato all’ergastolo per l’omicidio del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa e coinvolto nel tentato attentato a Falcone compiuto all’Addaura nel 1989. Giovanna, sua figlia, è la donna che ha riconosciuto il famigerato, e oramai defunto, Giovanni Aiello, cosiddetto “faccia da mostro”, personaggio inquietante nella storia dell’omicidio dell’agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio.
Francesco Onorato è il killer dell’eurodeputato Salvo Lima ed è lui che conosce la verità sulla scomparsa dell’agente del Sisde Emanuele Piazza, il poliziotto che si occupava dei segreti sulla Gladio trapanese. Onorato è stato sentito anche nell’ambito del processo in corso sulla cosiddetta trattativa, citato dal pm Nino Di Matteo. Sul quotidiano La Repubblica sono finite scritte le dichiarazioni di Giovanna Galatolo: «Non appena il telegiornale diede la notizia — ha messo a verbale — mia madre iniziò a urlare I bambini non si toccano; mio padre le saltò addosso, cominciò a picchiarla, voleva dare fuoco alla casa». «Avevo vent’anni – ha raccontato Giovanna – a casa sentivo mio padre che diceva quel giudice è un cornuto. Poi, si verificò l’attentato. E mi resi conto, anche mia madre capì. Non si dava pace».
L’accusa di strage contro Vincenzo Galatolo, formalizzata con l’avviso di conclusione delle indagini, non si ferma solo all’ipotesi che Galatolo sia stato il mandante, ma aggiunge che lui abbia per primo pensato ed ideato l’attentato al magistrato Carlo Palermo.
Una strage, quella di Pizzolungo, da inserire nell’ambito della strategia di attacco alle Istituzioni condotta dalla mafia anche per favorire quei poteri occulti nascosti all’interno dello stesso Stato democratico. Poteri che avevano, ed hanno, come unico fine quello di condizionare la Democrazia e togliere ai cittadini spazi di libertà sanciti dalla Costituzione.
Il nostro è un Paese che nella sua crescita e formazione è stato segnato da “trattative” condotte da uomini dello Stato con le varie forme di criminalità. Pizzolungo è prova di una di queste trattative. Pizzolungo fa parte della strategia mafiosa e terroristica condotta da Cosa Nostra: è il punto d’inizio di un filo di morte che si è disteso in Sicilia tra il 1985 ed il 1992, passando per il fallito attentato al giudice Falcone, all’Addaura, nel 1989, e terminando con l’attentato di via D’Amelio dove fu ucciso il procuratore Borsellino.
Il tritolo di Pizzolungo e dell’Addaura è uguale a quello impiegato il 19 luglio 1992, «tritolo» di marca militare, tenuto nascosto in una cava di Camporeale. È lo stesso tritolo usato per la prima volta nel 1984 per l’attentato al treno rapido 904. Stragi dove si allungano le ombre degli intrecci tra mafia, poteri forti come la massoneria, i grandi riciclaggi e i traffici di droga e di armi. Trame delle quali Carlo Palermo si stava occupando da anni, dapprima dall’ufficio istruzione di Trento e poi dalla Procura di Trapani, dove arrivò dopo che qualche “manina” era riuscita a fermare le sue indagini trentine dove si era imbattuto in mafiosi siciliani, in contatto con mafie estere, dell’Est europeo, e i grandi riciclatori come il cassiere del Psi Federico Mac De Palmestein, uomo che spuntò poi nel 1992 all’epoca delle indagini sulla tangentopoli milanese.
Adesso Francesco Onorato e Giovanna Galatolo, che sembrano essere a conoscenza di molti segreti di Cosa nostra e delle trattative con pezzi dello Stato, potrebbero quindi ridare luce alle verità ancora nascoste attorno alla strage di Pizzolungo. E sui rapporti tra mafia e poteri istituzionali Francesco Onorato una cosa l’ha già detta, durante un processo a Palermo: “Non è mai esistita una trattativa fra mafia e Stato, c’è sempre stata una convivenza fra la mafia e lo Stato”. E chi non faceva parte di quella convivenza o chi la poteva ostacolare è ovvio che doveva essere eliminato.
Per la strage di Pizzolungo resta l’impronta dell’intervento di Cosa nostra sui giudici di Caltanissetta della Corte di Assise di Appello che mandarono assolti gli esecutori. Il pentito Leonardo Messina riferì che al capo mafia di Caltanissetta, Piddu Madonia, giunse la sollecitazione di Riina perchè si occupasse di quel processo, adesso ci sono anche le dichiarazioni di Giovanni Brusca. Una sentenza pilotata dalla mafia? “Quella sentenza è stata aggiustata” ha detto ai magistrati il pentito Giovanni Brusca.
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