I neoparlamentari leggano l’ultima relazione dell’Antimafia
Se potessi dare un piccolo suggerimento ai nuovi parlamentari su come impiegare proficuamente parte del loro tempo in questi giorni convulsi della politica nazionale, con i vari leader alla ricerca di improbabili coalizioni di Governo, in attesa del loro insediamento ufficiale, direi loro di leggere e studiare (già solo questo può far storcere il naso a molti), con particolare attenzione, le oltre 600 pagine della relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia, approvata all’unanimità il 7 febbraio scorso e trasmessa, il giorno seguente, alle Presidenze di Camera e Senato. Il documento, se letto con la dovuta concentrazione, consentirebbe di comprendere perché siamo diventati “tra i paesi democratici quello più appetibile per i criminali” e , quindi, dedurne che i temi dell’ordine pubblico e della sicurezza sono quelli prioritari, se si vuole avere una remota possibilità di uscire dalla palude in cui è sprofondata l’Italia.
Pessimista un po’ per indole, un po’ per quanto visto in oltre 40 anni di servizio in una delle istituzioni statali più salde (la Polizia di Stato), il senso di scoramento è cresciuto dopo aver letto alcuni passaggi dell’articolata ed esaustiva relazione Bindi (l’onorevole Rosy Bindi ha presieduto la Commissione), sicuramente la più completa di tutte le relazioni redatte dalle Commissioni, a partire dalla prima risalente al 1962. Si comprenderebbe, così, quale è stata “l’evoluzione del metodo mafioso tra intimidazioni, corruzione e area grigia”, delle “mafie di oggi”, di quelle italiane e straniere, della loro “colonizzazione” in gran parte delle regioni del nord e nel mondo. Si capirebbe anche di più sui collegamenti tra mafie e massoneria, tra mafie e politica locale, tra mafia e calcio, tra mafia e risorse pubbliche. Ed ancora, si comprenderebbero le difficoltà che tuttora si incontrano nel recupero delle ricchezze mafiose e nella gestione dei beni sequestrati e confiscati (problema di cui si parla da molti anni), ma anche le potenzialità per fare “argine alle mafie” che ci sono nel mondo della cultura, dell’informazione, della religione.
Un capitolo è dedicato ai delitti e alle stragi di carattere politico-mafioso degli anni 1992-1993, con la sottolineatura espressa nelle conclusioni che “non si può dimenticare che la nostra Costituzione non potrà dirsi pienamente attuata nei suoi valori fondanti di democrazia e libertà, se non sarà fatta piena luce” su quei tragici accadimenti. E la ricorrenza, nel 2018, dei settanta anni dall’entrata in vigore della Costituzione dovrebbe essere di ulteriore stimolo nella ricerca della verità.
Subito dopo, il capitolo riservato alle “conclusioni” dell’importante lavoro fatto dalla Commissione, pronta a ricordare a tutti come “la forza delle mafie è anche fuori dalle mafie che hanno agito in passato anche come agenzia di servizi criminali, in forza di quella ‘quota di sovranità’ che in certi momenti sono state in grado di esercitare, con la corruzione, la minaccia o la violenza, in determinati territori o in spazi economici o amministrativi”.
L’auspicio, poi, di non trascurare i punti, in tema di rapporto tra mafia e politica, della trasparenza e della selezione delle candidature a livello locale, in occasione di ogni tornata elettorale. Una politica autentica dovrebbe “sentire la lotta alle mafie come una sua priorità, in quanto esse rubano il bene comune, togliendo speranza e dignità alle persone”, ammoniva Papa Francesco il 21 settembre 2017, nel suo discorso ai componenti la Commissione antimafia. Anche su questo punto bene farebbero a riflettere tutti i neo parlamentari eletti da pochi giorni.
Riflessioni che si impongono anche su quelle quattro pagine della relazione riservate al “peso dell’economia criminale:la mafia entra nel Pil?”.Ci sono voluti oltre 3 anni ( dal settembre 2014, da quando fu assunta una direttiva dalle autorità europee di statistica), ma, alla fine, anche la Commissione antimafia (quindi il Parlamento), ha riconosciuto l’assurdità (l’immoralità) di un Pil nazionale aumentato di un punto percentuale grazie ai proventi stimati provenienti dal narcotraffico, dalla prostituzione, dal contrabbando di sigarette. L’auspicio è che “nella prossima legislatura si avvii una profonda riflessione da parte della politica affinché il nostro Paese non ceda ulteriormente alla suggestione di un ricalcolo del Pil, apparentemente più favorevole sul solo piano dei conti nazionali, che possa apparire come una forma di “legalizzazione” statistica di quei proventi mafiosi” che, con grande fatica, magistrati e forze di polizia sottraggono ai centri mafiosi.
Non mancherà certo il lavoro per tutti i nuovi deputati e senatori che, a più riprese, nella lunga e rissosa campagna elettorale, hanno parlato di maggiore sicurezza per il nostro paese. È bene però che anche chi avesse sottaciuto il tema, ne riconoscesse la rilevanza. A tutti, quindi l’augurio di un proficuo lavoro, perché in esso riponiamo le nostre residue speranze.
Trackback dal tuo sito.