La sicurezza del Paese deve essere la priorità del Governo che verrà
Interessante, come sempre, l’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia (DIA). Coinvolgente e per alcuni aspetti drammatica quella conclusiva della Commissione parlamentare antimafia, presentata agli inizi di febbraio scorso e comprendente anche una sintesi di un’altra inquietante relazione, approvata dalla stessa Commissione il 21 dicembre 2017, sulle infiltrazioni di cosa nostra e della ‘ndrangheta nella massoneria in Sicilia e Calabria. Si chiude così, almeno per ora, la rassegna sulla situazione davvero poco entusiasmante del nostro paese su alcuni settori della criminalità con la relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza, redatta dal Dipartimento per le Informazioni della Sicurezza- DIS (Presidenza del Consiglio dei Ministri), anche questa presentata a febbraio.
Nei prossimi due mesi, altri due importanti documenti (la relazione annuale della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga-DCSA e quella dell’Osservatorio europeo sulle droghe e le tossicodipendenze- EMCDDA che ha sede a Lisbona) andranno ad accrescere la conoscenza della criminalità organizzata su di un fenomeno devastante come il traffico/spaccio di stupefacenti in Italia e in ambito UE. Anche in questi casi il panorama sarà angosciante per la dimensione assunta dal commercio delle droghe, per la violenza che lo connota, per la straordinaria potenza che hanno assunto le diverse organizzazioni criminali e bande (italiane e straniere) che lo praticano.
Se il traffico internazionale di stupefacenti rimane la prima fonte di finanziamento “della malavita organizzata dal più marcato profilo affaristico” e “le forme criminali meno evolute sono rimaste ancorate ai più tradizionali strumenti di autofinanziamento, quali il racket delle attività commerciali e lo spaccio di stupefacenti (in questo senso la relazione del DIS), il problema dei problemi resta quello di una criminalità comune e organizzata sempre più invadenti e forti nonostante “l’azione incessante di contrasto da parte delle istituzioni”. Vedasi, per esempio, come sottolineato nella citata relazione, “l’ininterrotta azione di contrasto… le numerose e incisive operazioni di polizia giudiziaria” contro i sodalizi della camorra, della ‘ndrangheta, di cosa nostra e, in particolare, contro le frange residue dei casalesi colpiti da numerosi arresti che avrebbero incrinato l’organizzazione e da ultimo, la repressione contro i sodalizi criminali pugliesi, alcuni caratterizzati da “forme mafiose arcaiche”, ben strutturati e decisamente pericolosi. Insomma, se da anni è “incessante” questa attività di contrasto poliziesca e giudiziaria, con risultati anche particolarmente significativi, e se nonostante ciò la criminalità nelle varie forme e tipologie è cresciuta, se ne deve dedurre che il sistema sicurezza, sul piano strategico-politico e su quello tattico, vanno rivisti perché non hanno prodotto il risultato auspicabile, che dovrebbe essere almeno quello di contenere la criminalità entro limiti fisiologici.
Situazione che sembrerebbe ingiustificabile per il nostro paese “in cui operano le migliori forze di polizia e magistratura”, come afferma in un passaggio della sua ultima relazione la Commissione parlamentare antimafia). Tutto diventa più chiaro se si riflette sulla forte diminuzione negli ultimi quindici anni degli organici di polizia di stato e carabinieri, mai ripianati e fermi ai numeri del 1989, mentre aumentavano gli impegni collegati al fenomeno dell’immigrazione (rimpatri, espulsioni, accompagnamenti alle frontiere, vigilanza nei Centri Permanenti per il Rimpatrio) cui sono stati chiamati a far fronte centinaia di poliziotti e carabinieri, spesso anche impiegati in attività che ben potrebbero essere svolte da altri (vigilanza sedi istituzionali e altre sedi, autisti-tutela presso le prefetture, autisti di giudici e familiari, di ex parlamentari, inutili scorte a persone che non hanno più ruoli istituzionali).
Tutto ciò ha contribuito a quello “scadente controllo del territorio, specie in certe aree urbane” che ha fatto incancrenire situazioni che andavano affrontate tempestivamente con adeguate risorse umane e che, insieme alla inadeguatezza delle leggi esistenti e alla inefficienza dell’apparato giudiziario, ha costituito quel “combinato disposto” di fattori generatore di una situazione criminale non sopportabile in un paese che si dichiara democratico e civile. È ridicolo continuare a sostenere che i reati denunciati in Italia sono in calo negli ultimi anni perché passati dagli oltre 2.800.000 del 2014 ai circa 2.500.000 del 2017. La realtà è che molti cittadini non vanno più a denunciarli perché sfiduciati. La stessa sfiducia per cui moltissimi cittadini non sono andati a votare nelle recentissime elezioni politiche.
La camorra e quella “fame di sicurezza” della gente ignorata dalla politica
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