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Pizzolungo, le fiaccole della Memoria e dell’Impegno

Di Rino Giacalone il . Sicilia

«La mafia non spara, non uccide ma esiste, esiste ogni volta che c’è un diritto negato e sono tanti i diritti oggi ancora negati. La mafia si sconfigge camminando insieme come stiamo facendo in tanti oggi, parlare della mafia non deve suscitare fastidio perchè significa pretendere il rispetto di precisi diritti, quello alla felicità per esempio, a potere vivere autentici spazi liberi di cittadinanza attiva. Dobbiamo congiugare di più e con maggiore partecipazione il verbo fare».

Margherita Asta è coordinatrice di Libera, figlia e sorella delle vittime del tritolo mafioso del 2 aprile 1985. Con lei alla fiaccolata dell’1 aprile 2009 dedicata al ricordo c’era tanta gente: «C’è una sinergia che funziona e mi fa piacere – risponde Margherita Asta – sono contenta che scuola, associazionismo, sport, volontariato, istituzioni stanno tutti assieme. Vorrei essere ancora più contenta perchè ogni giorno dovrebbe essere come oggi, il ricordo e la rivendicazione dei diritti dovrebbero essere azioni quotidiane».

Affianco a lei per il secondo anno consecutivo, da quando per la verità il Comune di Erice, col sindaco Tranchida, ha dato il via alle giornate dedicate a ricordare la strage di Pizzolungo del 2 aprile 1985, c’era anche la vittima di quell’attentato, Carlo Palermo. Lui e la sua scorta riuscirono a salvarsi grazie al sacrificio di Barbara Rizzo e dei suoi figlioletti Salvatore e Giuseppe di 6 anni. Erano tutti e tre, mamma e figli, su di un’auto, la guidava Barbara, si trovarono, nel momento in cui i mafiosi assassini schiacciarono il tasto del timer dell’autobomba, ferma in una curva di Pizzolungo, tra il tritolo della mafia e il corteo di auto dove si trovava il magistrato. Furono massacrati in modo orribile. Oggi, 2 aprile 2009, 24 anni dopo, l’ex pm, ora avvocato, diventerà cittadino di Erice.

Nato ad Avellino, residente a Trento, per un periodo trapanese, adesso ericino. Cosa si sente davvero?

«L’affetto e la disponibilità manifestatami l’anno scorso – risponde Carlo Palermo –  mi hanno sorpreso e mi hanno fatto molto riflettere. Sono cose che non immaginavo di ricevere, per tanti anni ho vissuto in mezzo a delle perplessità, quando ero pm a Trapani non avevo l’affetto della gente, ma perchè ne fui privato. Talvolta facevo in quei giorni il paragone con quello che avevo lasciato a Trento di tanto diverso, tanto che poi è lì che sono tornato a lavorare da avvocato. Ecco scoprire queste cose, la gente che ti cerca, ti sta vicino, che mi dà opportunità di scoprire cose nuove, per me è diventata occasione seria per tornare volendo fare qualcosa di utile, di carattere sociale, in questo territorio dove ho finito di lavorare da magistrato».

Non ci vuol dire a cosa pensa di fare?

«Ne debbo parlare col sindaco intanto, ma è una ipotesi costruttiva, il pensiero che possa nascere qualcos’altro, di non sporadico che mi serva e ci serva a coltivare questo contatto e mi riempia quel vuoto che mi è rimasto dentro. È difficile spiegare agli altri cosa c’è dentro di me e cosa avverto, per qjesto deve esserci qaulcosa di nuovo per dare un senso alle cose che mi porto dentro che è intanto fatta da una grande voglia di vivere, mi ritrovo qui ad Erice a provare forti emozioni, voglio dunque dare un mio contributo, è esaltante scoprire che c’è molto in questo posto dove pensavo ci fosse il vuoto».

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