Migranti & Calabria: si riaccende la polemica
Ancora Calabria, ancora Migranti. Questa volta in provincia di Crotone, al centro di prima accoglienza di Sant’Anna ubicato lungo la Statale 106 che da Crotone conduce ad Isola Capo Rizzuto, di fronte all’omonimo aeroporto.
La struttura è una vecchia base dell’Aeronautica militare convertita nel 1999 in Centro di accoglienza, all’epoca degli sbarchi in Puglia dei kosovari. Nel maggio del 2007 il Viminale, giudicando inidonee le strutture, predispone la chiusura dei CPT di Crotone, Ragusa e Brindisi. Mentre le ultime due vengono destinate allo smantellamento, per Crotone si decide di mantenere il centro ma solo con funzioni di prima accoglienza.
Un’inchiesta di Fortress Europe dello scorso agosto, definisce il CPA Sant’Anna come il più grande d’Europa. E i numeri lo confermano, se pensiamo che dall’apertura ad oggi sono transitate più di 70.000 persone.
Il 4 agosto del 2008 si scopre che al centro di accoglienza ci sono circa 200 immigrati in più rispetto alla capienza prevista. All’epoca gli ospiti erano 1.758, provenienti per la gran parte da Lampedusa, così dislocati: 1.202 presso gli alloggi di emergenza del centro che avrebbe una capienza massima di 978 posti; 256 presso il Centro per richiedenti asilo (Cara); e infine dallo scorso giugno si aggiunge una tendopoli dove trovano posto altre 300 persone, circa trenta tende predisposte dal Ministero dell’Interno per fare fronte all’emergenza sbarchi in Sicilia.
Intorno all’ex centro di permanenza temporanea, gestito da Misericordie e Caritas, vi è un giro d’affari di circa 18 milioni di euro l’anno, l’indennità per ogni richiedente asilo infatti si aggira intorno ai 30 euro al giorno, ma lo Sprar è saturo perciò la gran parte dei richiedenti asilo piuttosto che transitare alla seconda fase di accoglienza, torna per strada con o senza documenti.
Veniamo ad oggi. Il decreto firmato lo scorso 23 febbraio da Maroni dispone che «parte dell’area demaniale sita nell’ex distaccamento dell’Aeronautica Militare “Sant’Anna” di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, finora usata come centro di prima accoglienza e per chi richiede asilo, sia individuata come centro di identificazione ed espulsione».
Presidente Loiero, da Rosarno a Riace, da Crotone a Caulonia, è ormai impossibile ignorare la “questione migranti” in questa Regione. La Calabria è pronta per affrontare questa situazione?
Non solo è pronta, la Calabria deve coglierla al volo perché quella dei migranti è un’occasione prima che una questione. Mi spiego: guardate cosa è successo nella Locride a cominciare da Riace, diventata ormai simbolo dell’accoglienza. Chi l’avrebbe mai detto che in una terra povera e conosciuta praticamente solo in negativo sarebbe arrivata una lezione di accoglienza, senso civico e dello Stato? Eppure è avvenuto, grazie alla lungimiranza dei sindaci certo – e mi piace ricordarlo sempre, a Stignano uno dei borghi dell’accoglienza insieme a Riace e Caulonia il sindaco è di centro destra – che hanno saputo far capire agli abitanti come i rifugiati potevano essere un’occasione di sviluppo prima di tutto. Poi l’integrazione o meglio la convivenza civile, la solidarietà sono venute praticamente da sole. Un automatismo che speriamo diventi contagioso. La Giunta ha appena approvato una proposta di legge che ora è all’esame del Consiglio è che va proprio in questo senso: mettere a sistema il cosiddetto modello Riace. Una proposta che si rivolge agli amministratori locali e quindi agli abitanti prima di tutto e che è volta ad incentivare progetti di sviluppo per il territorio a condizione che in quei progetti siano inclusi richiedenti asilo e rifugiati. Persone cioè che abbiamo il dovere di proteggere come dice la nostra Costituzione.
Dunque mentre l’esperienza di Rosarno ci mostra quale strada si prospetta se non ci sono sui territori adeguate politiche di accoglienza, Riace e Caulonia ci indicano la strada opposta, quella della tolleranza e dell’integrazione. In una regione già piegata dalle diverse problematiche inerenti al lavoro e alla criminalità organizzata, crede che i migranti possano essere quindi accolti come una risorsa e non come un problema?
Rosarno e Riace sono due realtà molto distanti, per certi versi imparagonabili. A Rosarno i migranti sono arrivati, anno dopo anno, sempre più numerosi per lavorare alla raccolta degli agrumi e per loro Rosarno spesso rappresenta l’ultima spiaggia. Chi arriva lì non solo è senza lavoro ma anche senza permesso di soggiorno. Un irregolare, insomma. E dunque con una situazione molto diversa da quella di un rifugiato politico. Questo però non dà a nessuno il diritto di ignorarli, come invece è avvenuto. Soprattutto se si considera che si tratta di persone venute solo a lavorare nei nostri campi e che quindi contribuiscono all’economia della regione, esattamente come hanno contribuito i lavoratori della Piana protagonisti delle nobili lotte contadine degli anni 50-60 fino ai 70. E in più sono persone miti e oneste, a dicembre denunciando i loro aggressori hanno dato una lezione di civiltà che non dovremmo dimenticare. Sono stato presso l’ex Cartiera di Rosarno pochi giorni fa e lo spettacolo che ho visto ce l’ho sempre davanti agli occhi. Ma davvero si può pensare di far finta di niente rispetto a persone che vivono in una città di cartone senza acqua, luce né gas. Non sono garantiti gli standard minimi di sopravvivenza. In queste condizioni la Regione – una Regione a risorse limitatissime come la Calabria – ha stanziato 50 mila euro per far fronte alle esigenze degli africani di Rosarno. Il tutto nel totale immobilismo del Viminale al quale pure ci eravamo rivolti, pochi mesi fa, all’inizio di febbraio. Ma a parte una disponibilità del prefetto Mario Morcone, non era successo nulla. Alla fine ci era stato detto che non c’erano soldi. Ora, quando fra l’altro gli stagionali quasi non ci sono più, Maroni si decide a stanziare 200 mila euro. Meglio tardi che mai, magari li stanzia per chi tornerà il prossimo anno. Vedremo.
Veniamo a Crotone. Secondo Maroni la modifica, apportata con l’ultimo decreto, si rende necessaria «perché i Cie funzionanti non sono al momento sufficienti a soddisfare le esigenze e dunque occorre attivare ulteriori strutture». Ma è davvero un passaggio obbligatorio?
Certo che no, a nostro giudizio. Il centro sinistra quando era al governo aveva fatto scelte opposte. Il Ministro Amato ad esempio aveva impostato la sua politica sul superamento dei Cpt (attuali Cie) come dimostra il fatto che alcuni – compreso il Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto – erano stati chiusi per inagibilità senza che ne fossero aperti di nuovi. Proprio perché l’idea era di pensare ad un sistema di accoglienza diverso da queste strutture. E poi il fallimento delle scelte di Maroni è sotto gli occhi di tutti, non si può fingere di non accorgersene. Basta guardare cosa è successo a Lampedusa dove l’accoglienza è letteralmente andata in fumo con l’incendio di buona parte del Centro qualche mese fa. Quell’incendio non è forse scoppiato in seguito alla decisione di Maroni di trasformare la struttura da centro di primo soccorso e accoglienza in Cie? Ma qualcuno si è chiesto cosa significhi essere rinchiuso in un Cie? Significa es
sere privati della libertà personale, senza aver commesso alcun crimine e con unica prospettiva: essere rimpatriati. Quanto pensate si possa resistere prima di ribellarsi?
Infine, i fatti dimostrano come non basti un decreto per trasformare un centro di prima accoglienza in un centro di identificazione ed espulsione. I Cie sono strutturati sulla falsa riga delle carceri e non ne esistono di 800 persone.
Lei ha dichiarato che “dei 10 Cie annunciati in tutto il territorio nazionale, non ne e’ stato aperto neanche uno. E questo per la resistenza degli enti locali, che non li hanno voluti sul proprio territorio”. Non si giungerà prima della fine di maggio allo stanziamento dei fondi necessari a compiere i lavori, essendo stato quest’ultimo inserito nel ddl sulla sicurezza. C’è quindi ancora il tempo per opporsi a questa operazione?
Come Regione mi sono opposto da subito e pubblicamente, la mia prima presa di posizione in merito è proprio del 23 febbraio, quando Maroni – proprio in seguito all’incendio di Lampedusa – decise di mandare a Crotone chi non poteva più essere ospitato sull’isola e aprì il Cie all’improvviso, d’imperio. Purtroppo è nelle sue competenze, la Regione non ha poteri per fermarlo, può solo opporsi. Ed è quello che ho fatto. E non solo in difesa dei migranti, si badi bene. Ma anche per tutelare i diritti della popolazione locale. A Crotone e dintorni da mesi c’è una situazione di tensione per quel Centro che gli abitanti vivono come un corpo estraneo, calato dall’alto, imposto. Nessuna politica improntata all’integrazione, alla conoscenza reciproca è stata messa in atto. E con una struttura perennemente sovraffollata la situazione non può che degenerare. Maroni per tutta risposta che fa? Ne fa arrivare altri e appronta un Cie sempre all’interno di quella struttura. La stessa, ricordo, che era stata chiusa dal Viminale due anni fa per inagibilità.
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