Ecco l’ultimo articolo di Ján Kuciak, il reporter slovacco ucciso a Bratislava
“Quattordici anni fa, un italiano di nome Carmine Cinnante arrivò nella città di Michalovce. Una mattina partì con la sua Fiat da un villaggio di Novosad, a circa 40 chilometri da Michalovce, dove si trovava con la sua ragazza Lýdia. Cinnante stava andando in l’Italia. Fu raggiunto da uno slovacco chiamato Ján, a cui aveva promesso un lavoro. Nel distretto di Michalovce una persona su quattro in età lavorativa era disoccupata in quel momento. Quando la coppia viaggiava su una strada di campagna, avvicinandosi alla strada principale tra i villaggi di Porostov e Ostrov nel distretto di Sobrance, notarono una pattuglia della polizia.
La loro Fiat Punto bianca con targa italiana fece un’improvvisa inversione di marcia. Il poliziotto si insospettì del comportamento degli uomini, fermarono la macchina e la controllarono. Sul sedile posteriore trovarono una valigetta di legno nera con una pistola, 50 proiettili e una rivista. Era un modello di mitragliatrice cecoslovacca funzionale con un puntatore laser, ma con un numero di produzione distrutto. Secondo gli esperti, la valigetta è stata realizzata appositamente per conservare la mitragliatrice. Cinnante fu accusato di possesso illecito di un’arma e il giudice del tribunale distrettuale di Michalovce lo condannò a due anni in libertà vigilata”.
Comincia così l’ultimo articolo di Ján Kuciak, reporter di Aktuality.sk quello che come gli inquirenti temono, lo ha condannato a morte. Il 27enne reporter slovacco aveva ricostruito gli affari della ’ndrangheta italiana in Slovacchia, con ‘tentacoli così lunghi da arrivare alla politica’, come recitava il titolo della sua inchiesta, pubblicata oggi in inglese da Politico.com. L’aneddoto dell’arma e di quell’arresto singolare lo incuriosisce. E lo porta ad indagare gli affari di alcuni italiani nel suo Paese, sospettando che quegli imprenditori riciclino denaro della malavita in Slovacchia, ma non riuscendo mai ad averne le prove prima della sua morte.
Giovedì la polizia slovacca ha arrestato sette italiani, tutti citati nella sua inchiesta: i poliziotti stanotte hanno fatto irruzione in casa dell’imprenditore Antonio Vadalà, calabrese da anni trasferito in Slovacchia, del fratello Bruno e del cugino Pietro Catroppa. Kuciak li aveva accusati di avere rapporti con la ‘ndrangheta e di gestire milioni di euro di fondi comunitari. Il capo della polizia slovacca, Tibor Gaspar, ha aggiunto che le persone arrestate sono tutti uomini, di età compresa tra i 26 ei 62 anni. A Michalovce e Trebisov sono stati arrestati anche Sebastiano Vadalà, Diego Roda, Antonio Roda e Pietro Catroppa (leggi qui chi sono gli arrestati)
Ci riesce tramite Mária Trošková, con cui fonda una società (la Gia Management) che però la donna lascia l’anno successivo per diventare assistente parlamentare di un importante politico slovacco, Viliam Jasaň. Troskova, ex finalista di miss universo 2007, fu segnalata a Jasan da un amico comune, ma né il politico né l’ex modella hanno mai detto chi. La donna fa carriera velocemente, fino ad arrivare nel team dei nove dell’ufficio centrale del primo ministro Robert Fico, dove poco dopo arriverà anche Jasan.
“La relazione tra Jasaň e Vadalà può essere dimostrata”, scrive il reporter nel suo ultimo articolo, “soprattutto nelle attività commerciali. Il politico del partito SMER-SD al governo era proprietario di una società di sicurezza privata, Prodest. Vadala e i suoi colleghi hanno recentemente rilevato questa azienda. Inoltre, il figlio di Jasaň, Slavomír, ha ancora una joint venture con gli italiani, chiamata AVJ Real. Inoltre, quando una delle aziende di Vadala è fallita di recente, è stato rivelato che Vadala ha affermato di essere in debito con un servizio di sicurezza privato in cui Jasaň e suo figlio Slavomír sono stati coinvolti in passato. Ciò significa che due persone molto vicine ad un uomo venuto in Slovacchia, accusato di avere legami e di essere coinvolto con la mafia italiana, hanno accesso quotidiano al primo ministro della Slovacchia Robert Fico, che le ha scelte personalmente”.
Questa ultima parte è quella centrale della sua inchiesta, e la domanda che più inquietava il giornalista, colpito dal fatto che un imprenditore italiano, in qualche modo vicino al crimine organizzato, potesse vantare conoscenze così ad alto livello nel mondo delle istituzioni slovacche.
Gli uomini di cui fa i nomi il reporter hanno cominciato a fare affari facendosi finanziare con i fondi europei, di cui la Slovacchia è beneficiaria. Questa la tesi di Kuciak. Con i piani di sviluppo Ue gli imprenditori italiani hanno fatto buoni affari, fino a diventare nomi noti del panorama imprenditoriale slovacco.
“Antonino Vadala e Carmine Cinnante non sono i soli ad agire in Slovacchia. Nella parte orientale del paese operano altri quattro rappresentanti della famiglia italiana della Calabria, culla della ‘Ndrangheta. Oltre ai Vadala e ai Cinnantes, ci sono anche le famiglie Roda e Catroppa. L’agricoltura è diventata la loro attività principale in Slovacchia. Possedevano o ancora possedevano dozzine di società. La loro proprietà varia in decine di milioni di euro. Gestiscono centinaia di migliaia di ettari di terra, per i quali ricevono milioni di sussidi”, dallo stato e dall’Ue.
Il sospetto del giornalista, quello con cui si chiude il lungo articolo, ancora una bozza perché non ha mai avuto la possibilità di finirlo, è che i soldi a quelle aziende, oltre che dallo stato e dalla Ue, arrivino anche dalle formazioni criminali calabresi, che utilizzerebbero quei business per fare riciclaggio di denaro che arriva dalla droga e dai traffici illeciti. Accuse che ora la giustizia slovacca tenterà di verificare. La pressione politica è già altissima. Mentre scriviamo non sappiamo se tra gli arrestati figurano anche questi ultimi nomi citati da Kuciak.
L’ultima frase del suo articolo è: “Nel 2017, i nomi dei familiari di Antonino Vadala sono comparsi in un mandato di arresto per 18 membri della banda che dovevano contrabbandare centinaia di chilogrammi di cocaina in Europa per la ‘Ndrangheta. I Vadala sono menzionati solo nel mandato di arresto. I dettagli del caso non sono ancora noti”. L’articolo non è mai stato finito.
Dopo la pubblicazione del reportage postumo, Marina Troskova e Viliam Jasan, le due figure più esposte si sono dimesse dai loro incarichi. Non sono state le uniche teste a cadere: anche il ministro della cultura, Marek Madaric, ha annunciato le sue dimissioni. “Dopo quello che è successo, non riesco ad immaginare di rimanere in carica come ministro. La mia decisione è collegata all’assassinio del giornalista”, ha detto Madaric. In Slovacchia, la morte del giovane reporter sta provocando un terremoto politico e le opposizioni reclamano le dimissioni anche del ministro dell’interno e del capo della polizia.
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