Petra Kelly, l’ultima profeta della Politica
È con grande piacere che scrivo due righe di recensione dell’opera Petra Kelly. Ripensare l’ecopacifismo, scritta dall’avvocatessa Valentina Cavanna a partire dalle sue ricerche di laurea (ed. Interno 4, 2017, 166 pagine). L’opera consta di tre parti: una sul percorso biografico di Petra Kelly, una seconda sulle origini del suo pensiero, e la terza è una rassegna dei suoi discorsi e dei suoi scritti[1].
Per chi non conosce questo nome, basta dire che Petra Kelly è stata la fondatrice dei verdi tedeschi, Die Grünen, l’esperienza partitica dell’ecologismo politico più importante dell’Occidente, ed a cui si sono ispirati e misurati altri movimenti progressisti e per i diritti post-comunisti e post-ideologici. Ed ancora, per chi non conosce Petra Kelly, è bene ricordare che è scomparsa prematuramente in condizioni tragiche nel lontano 1992, trovata morta con il suo compagno Gert Bastian, il famoso militare tedesco che aveva abbracciato la nonviolenza, nella casa di Bonn. Nell’appartamento, una pistola. Le indagini stabilirono che Bastian avesse ucciso Petra nel sonno, uccidendosi quindi a sua volta. Non tutti ci credono. La stessa Laura Cima, leader dei Verdi italiani alla loro apparizione, e che ha curato la postfazione al libro di Valentina, sospetta che anche Petra Kelly appartenga a quella generazione che dimostrò per la prima volta che il mondo si potesse radicalmente cambiare, e molti dei quali vennero per questo fatti fuori, platealmente – come i Kennedy o i Martin Luther King – o meno platealmente, come tanti altri. Anche il fondatore dei Verdi italiani, Alexander Langer, scomparve tragicamente, tre anni dopo la morte di Petra, questa volta per mano suicida. Perché comincio questo scritto con notizie di morte? Perché Petra Kelly è l’espressione dell’ultima generazione della speranza e della giustizia in politica fatta carne in senso evangelico, senza sconti e senza rinunce. Oggi, personaggi così ci mancano profondamente, e se alcuni non ne sentono la mancanza, è perché non sanno che siano esistiti o che possano esistere. Oggi la politica si fa perpetuando se stessi e i privilegi acquisiti, oppure sulla pelle dei neri, oppure ancora alimentando le paure collettive. Petra Kelly è tutto quanto manca al provincialismo del Belpaese che calza scarpe di pelle lucidata. Oggi la politica si fa offendendo l’avversario, semplificando le questioni e fabbricando capri espiatori. Oggi si grida, non si analizza. Peggio, si dimentica, si rimuove. Mentre sto scrivendo queste righe, continuano i bombardamenti del regime criminale di Damasco e dei suoi alleati sulle città ribelli (più di duecento morti negli ultimi cinque giorni[2]) e la rottura di ogni tregua ha lasciato campo libero agli scontri su più fronti, e non un solo candidato alle elezioni parlamentari italiane o esponente governativo affronta la questione. Si parla di rastrellamenti, rimpatri, non dell’aggressiva espansione dei regimi autoritari attorno all’Europa, causa principale degli esodi di massa. Petra Kelly è stata una delle ultime personalità civili che faceva politica guardando alla Storia e non alla cronaca.
Provo sofferenza nello scrivere questo, ma è così. Petra Kelly oggi, con la sua testimonianza viva e passionale fondata sulla nonviolenza, un femminismo non ideologico e l’ecologismo sarebbe fagocitata da fake news e blasfemie misogine servite in abbondanza sui Social Media. Una delle più grandi eredità di Petra Kelly è stata quella di pensare ed agire oltre le frontiere, di portare l’esperienza dell’ecologismo politico a analizzare, denunciare e proporre soluzioni oltre le entità nazionali o i governi regionali e locali, a dichiarare che se una soluzione c’è, quella sta nel “noi + loro”, nell’insieme e non nella separazione delle parti. A partire dalla sua esperienza alle Istituzioni comunitarie europee e da quella sua capacità di essere leader di opinione allo stesso tempo in America e in Europa, grazie anche all’adolescenza vissuta Oltreoceano con la mamma e il suo padrino, cittadino americano. Se non si guarda oltre le frontiere nazionali, l’emergere dei Verdi sarebbe difficile da spiegare, perché l’ecologismo politico ha abbracciato tutte le questioni che non possono avere una soluzione localmente isolata: dalla crisi dell’ecosistema Terra e del clima alla corsa agli armamenti, dalla cultura autoritaria di stampo patriarcale alla conversione del sistema energetico e dei modelli di sviluppo, dalla riforma della democrazia rappresentativa al riconoscimento dei diritti delle minoranze.
La sfida di Petra Kelly fu di trattare la politica per quello che dovrebbe essere, un mezzo. Il suo partito era da lei definito un “non-partito”, e la sua missione doveva essere quella di ridurre gli squilibri e tutelare l’umanità da ingiustizie, derive violente e rischi di frattura; e tutto questo Petra lo interpretava convinta che la questione di genere fosse dirimente, che il mondo dovesse essere guardato con occhi di donna, perché il patriarcato, il dominio del maschile è la forma di discriminazione più antica e profonda della storia dell’umanità. Fin dagli anni ´70, Petra sarà paladina dei diritti delle donne nelle istituzioni europee, e la sua azione combinava la ricerca della rappresentanza istituzionale con l’immaginazione al potere, metodi di lavoro efficienti e la disobbedienza civile creativa di fronte a ciò che non era giusto. Non solo, negli anni ’80 Petra difese la tesi che il partito dei Verdi dovesse occuparsi dei più deboli, degli anziani, delle donne, dei giovani, dei disoccupati, dei lavoratori stranieri e delle loro famiglie. Un’adesione totale all’idea della politica come arte dell’inclusione e della tutela dell’interesse collettivo combattendo discriminazioni, conflitti e divisioni. Questo valeva più di ogni idea di nazione, stato, classe o appartenenza etno-religiosa. La sua radicalità, che non significava ottusità né estremismo, così come la sua notorietà e la travolgente passione con cui si esprimeva, le causarono inimicizie anche tra i compagni di partito.
Petra era in fondo una voce profetica, e come tale destinata ad essere capita in parte, o in ritardo. Pensiamo a quando, in occasione dell’attribuzione dell’Alternative Nobel Prize assegnato dalla fondazione svedese Right Livelihood (1982), “per aver ideato ed attuato una nuova visione che unisce le preoccupazioni ecologiche a disarmo, giustizia sociale e diritti umani”[3], nel discorso di accettazione Petra parla di una repubblica nonviolenta ed ecologica quale orizzonte dell’intrapresa politica. E dichiarerà che per costruire una tale repubblica, occorre l’emancipazione sia delle donne, che degli uomini. Ebbene, quanti dei nostri uomini contemporanei (io sono, sigh, uno di quelli) non si è ancora emancipato, prigioniero delle sue logiche di potere, di modelli sociali ottocenteschi, di ideologie che hanno devastato le nazioni e la Terra, e di ambizioni da capobranco. Alexander Langer, scrivendo una lettera pubblica di commiato dopo la scomparsa di Petra Kelly, dirà: “Forse è troppo arduo essere dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono…”[4].
È difficile certo, ma è per questo che un personaggio come Petra Kelly manca all’Europa e al mondo intero. Hanno vinto gli altri, gli interpreti della Ragion di Stato in giacca, cravatta e cerone, e i ridimensionatori dei crimini compiuti in suo nome e spiegati contraffacendo parole e dichiarazioni. Ed è ancora per questo che ci troviamo e ci sentiamo soli davanti a un fascismo di nuovo all’uscio di casa. Ora spetta a noi. Mi auguro che questo libro giri e sia utilizzato per promuovere dibattito sul senso della Politica e sul destino dell’Umanità. Qui in Italia, dobbiamo cominciare già oggi. Petra scomparve tragicamente. I prossimi a farlo potremmo essere noi, che ci indigniamo per la violenza che si diffonde senza sosta e nelle forme più sofisticate, e che temiamo che un giorno potremmo esser costretti a difenderci da soli. Leggere Petra Kelly. Ripensare l’ecopacifismo non è solo un buon esercizio per sentirsi vivi, ma è anche un modo di rispondere al segnale d’allerta, alla voce profetica. Per il resto, Petra non c’è più, e toccherà a noi fare la nostra parte.
Firenze, 10 febbraio 2018.
[1] Con introduzione del prof. Alberto De Sanctis e due contributi del prof. Stephen Milder e della scrittrice e attivista Laura Cima.
[2] Fonte: Al Jazeera Arabic.
[3] Pag. 94 del testo di Cavanna.
[4] A. Langer, “Addio, Petra Kelly”, in Il Manifesto, 21 ottobre 1992.
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